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Economia delle news

Stefano Quintarelli ha scritto un importante post per rispondere alla domanda: i giornali (quotidiani) possono sopravvivere solo con internet? La sua risposta è “no”, “dipende”, in realtà pochi.

Molte delle conclusioni dipendono dalle definizioni di partenza.
1. Se le news sono commodity, il settore tende fatalmente alla concentrazione.
2. Il prodotto dei giornali sono i mediagrammi, contenuti che possono essere fruiti su diversi supporti. Quindi la loro monetizzazione dipende dalla capacità di rivendere il prodotto su diversi supporti.
3. I diversi supporti sono adatti alle diverse ergonomie e dunque demografie. La carta è usata dagli utenti più anziani, il digitale dai meno anziani. La demografia stabilisce il risultato finale, a sfavore della carta.

La conclusione è una nuova definizione di editore: “colui che monetizza l’attenzione del cliente. (nel massimo numero di modi e occasioni possibili)”.

Ne consegue un’immagine finalmente chiara di uno scenario strategico per un editore di notizie di servizio. Come il Sole 24 Ore, al cui prodotto Stefano esplicitamente si riferisce parlando dell’informazione cui si riferisce. Ma è consapevole che ci sono “giornali e giornali” e che dunque le sue conclusioni valgono soprattutto per gli editori che si occupano di informazioni di servizio.

Mi piacerebbe aggiungere qualche considerazione.

Che cos’è l’informazione di servizio? E’ l’informazione della quale si può fare qualcosa, cioè in base alla quale si prende una decisione (sul lavoro o per la vita personale). Il problema è che si perndono decisioni in base al contenuto specifico dell’informazione, all’interpretazione dell’informazione, al momento in cui si riceve quell’informazione, alla credibilità dell’informazione. Inoltre, l’informazione di servizio è anche quella che prepara a prendere meglio le decisioni in futuro: dunque è formativa. Infine è informazione di sevizio anche quella che ispira i lettori a generare nuovi pensieri che a loro volta provocheranno nuove visioni della realtà che consentiranno loro di prendere decisioni innovative. Insomma: il servizio dell’informazione è relativo alla qualità dell’informazione, all’ergonomia dell’accesso all’informazione, al quadro interpretativo nel quale quell’informazione è compresa. I giornali di servizio influiscono su tutte queste dimensioni: dalle decisioni immediate e quotidiane, in qualche misura routinarie, relative a una situazione attuale, fino alle decisioni rare e difficili, fondamentalmente innovative, in ogni caso relative a una visione orientata alla costruzione del futuro. Il che significa che l’informazione è di servizio solo quando serve effettivamente, o si ritiene che possa servire, o si scopre che è servita. O ispira un nuovo modo di valutare che cosa serve fare, imparare, immaginare.

La conquista dell’attenzione che l’editore deve monetizzare in tanti modi è dunque un oggetto molto complesso, anche nel caso limitato dell’informazione di servizio. Ed è complesso, come dice Stefano, definire i confini dei business nei quali quell’attenzione viene monetizzata.

Carlo Alberto Carnevale Maffè si interroga su quali siano i mercati nei quali opera l’editore. E concorda con Stefano quando dice che le forme di monetizzazione devono essere le più varie. Ma aggiunge alcune categorie di ragionamento. C’è il servizio di dare un’informazione, c’è la sua autorevolezza. In quali mercati si scambiano questi valori?

Evidentemente, lo specifico dato dell’informazione è in un mercato definito dall’efficienza con la quale si distribuiscono le notizie. Come dice Stefano è una tecnologia crossmediale che consente al pubblico di essere raggiunto o di raggiungere le notizie in molti modi diversi.

Tra l’altro le fonti dei dati si moltiplicano. Perché ogni generatore di dati può decidere di metterli a disposizione del pubblico senza farsi intermediare da un editore (il che avviene: dalla borsa di Milano alla Camera dei Deputati).

Il digitale infatti non incide soltando sulla distribuzione delle notizie da parte degli editori, ma da parte di tutti coloro che possono condividere notizie. Comprese le fonti abituali dei giornali.

In questo contesto, il servizio può essere:
1. servire il pubblico con un algoritmo che consenta di trovare velocemente le notizie, soprattutto quando il pubblico sa quali notizie cerca
2. servire il pubblico con una redazione che metta in fila le notizie nel modo migliore per l’utente che non vuole perdere tempo a pensare quali sono estattamente le notizie che cerca

E’ chiaro che il lavoro umano può vincere quando entra in campo non solo l’efficiente reperimento dei dati ma anche una sorta di giudizio sulla loro importanza.

L’autorevolezza dipende da una storia di servizio corretto e di interpretazioni ragionevoli. I beni esperienza non valgono in quanto se ne conosce il costo o il prezzo, ma in quando il pubblico sa per esperienza che chi li offre ha dimostrato di offrire beni che hanno valore.

Le fonti dell’autorevolezza sono nella ricerca necessaria a curare correttamene la valutazione delle notizie, nella qualità del design dell’interfaccia per l’accesso a quelle notizie, nella trasparenza del metodo interpretativo adottato dalla redazione.

In sintesi. Ci sono diversi mercati.

Quando si parla di dati informativi, notizie secche in quadri interpretativi stabili, risultati attesi di fenomeni conosciuti, il servizio è fondamentalmente orientato a ridurre al minimo il tempo necessario al pubblico per sapere quello che vuole sapere. E l’attenzione è relativa agli interessi precisi e noti dell’utente. In questo mercato, si vede una forte concentrazione. Si fanno bassi margini e si vince con gli alti volumi. La qualità e il design sono orientati a massimizzare la comodità per il pubblico di usare i dati, conoscerli proprio quando servono, dare la possibilità di agire nel quadro di un’attività abituale o prevedibile. Il valore è nell’affidabilità, comodità, usabilità delle notizie. In questo mercato vincono in pochi: i più efficienti e tecnologicamente innovativi. Di solito, gli editori che si occupano di questo comparto temono la concorrenza di Google.

Quando si parla di autorevolezza il discorso cambia. Autorevolezza non è affidabilità. L’autorevolezza serve se spinge l’azione e il pensiero oltre l’immediato e l’abituale. Un modo per valutare l’autorevolezza è la penetrazione delle notizie nella conversazione che gli utenti coltivano con i loro pari. E una notizia di servizio è autorevole non quanto spinge a un’azione immediata, ma genera un pensiero che l’utente trova importante, tanto da discuterne con gli altri o addirittura tanto da spingerlo a cambiare idea intorno alle azioni che dovrà compiere in futuro. L’autorevolezza vale per i gruppi di utenti simili e diventa una sorta di canale di coordinamento. Oppure vale per gli individui e diventa ispirazione al cambiamento, all’approfondimento, al miglioramento di se. In questo senso, gli editori che si occupano di lavorare sull’autorevolezza possono fare un valore aggiunto maggiore, ma devono dimostrare di valerlo investendo in ricerca, innovazione, qualità dell’informazione. E spesso questo riesce per temi specialistici. Il caso dell’Economist è probabilmente un esempio di questo tipo di editore. E l’Economist non è preoccupato della concorrenza di Google.

Il giornale efficiente e affidabile è uno strumento. Il giornale autorevole è una voce che parla dopo avere fatto una ricerca profonda e riconoscibile.

Nel primo caso ci sarà concentrazione. Basso valore e alto volume. Nel secondo caso ci sarà concentrazione forse per ogni settore, ma i settori sono molti.

In tutti i casi, i costi andranno aggiustati ai ricavi.

I giornali non spariscono se non quando i costi superano il fatturato per un tempo più lungo di quanto consenta il capitale. E il tempo si allunga man mano che gli editori riescono a ridurre i costi. O a moltiplicare il fatturato entrando in nuovi mercati.

Il nuovo equilibrio non è in vista.

Ma la storia insegna che l’editoria è nata dal controllo della stampa e si è evoluta con la definizione del copyright. Oggi la tecnologia non è più controllata dagli editori e il copyright è messo in discussione non solo dalla pirateria, ma anche dalle nuove opportunità che si aprono per gli autori e le fonti di informazione.

Inoltre, la scarsità non è più lo spazio sul quale si può pubblicare, che era controllato dagli editori; quello che è scarso è piuttosto il tempo, l’attenzione e la capacità di riconoscere autorevolezza, cioè è più relativa alle risorse del pubblico: il baricentro, nell’equilibrio nella determinazione del valore, è passato dall’offerta alla domanda.

Per questi motivi, il business degli editori è davvero difficile.

Lo scenario numero uno è che i nuovi controllori della nuova tecnologia siano in grado di evolvere in editori: l’autore del libro venduto a un dollaro in più di un milione di copie direttamente sulla piattaforma di Amazon è un caso che fa pensare a un’evoluzione del genere. E’ stato l’autore a farsi pubblicità via Twitter e a conquistare attenzione e lettori. E Amazon gli ha garantito una percentuale molto superiore a quella che gli avrebbero concesso gli editori tradizionali.

Lo scenario numero due è che gli editori evolvano. Imparando a innovare. Imparando la nuova tecnologia e le sue logiche. Abbattendo i costi. E scegliendo se giocare sul mercato dei volumi a basso valore aggiunto oppure se cercare alto valore aggiunto: puntando sull’autorevolezza, dunque investendo in ricerca, metodo, qualità del design. Capacità di giocare su molti display e molti media. Capacità di ispirare.

Indubbiamente, lo stanno tentando. La questione non è sapere se spariranno i giornali. La questione è se i giornali faranno in tempo a evolvere, prima di finire i soldi.

In Italia, dove l’evoluzione è lenta, i giornali possono andare più veloci. O adeguarsi ai ritmi del resto del sistema. Nel primo caso sono favoriti. Nel secondo sono parte del problema.

Le sole domande sbagliate sono quelle che riguardano la supposta contrapposizione tra carta e digitale. Perché non c’è contrapposizione. Imho.

Casomai il tema è come si valorizzano i vari tipi di servizio sui vari tipi di tecnologia.

Si può dire con certezza che il valore monetario percepito da chi compra il giornale di carta è ancora superiore al valore percepito di chi usa il sito. E che le formule sul tablet o in pdf, per qualche motivo, sono in grado di avvicinarsi al valore percepito della carta.

Per quale motivo? Perché alludono al design della carta. Alludono cioè al servizio di gerarchizzazione, visione panoramica delle notizie, limitatezza del numero di notizie da sapere, interpretazione. Il valore monetario percepito nelle versioni per tablet o contiene quel qualcosa in più della somma degli articoli cui gli utenti sono abituati dal tempo della carta.

C’è l’eredità del mix tradizionale di servizio di accesso alle singole notizie e di autorevolezza del prodotto che le impacchetta in un insieme dotato a sua volta di senso. Capace di far parlare di sé. Che ispira.

E allora si può pensare che per questa via si possa riconfigurare il giornale digitale in modo che a partire dall’allusione al giornale tradizionale possa conquistare anche in digitale un valore d’uso e un valore di ispirazione per il quale gli utenti siano disposti a pagare (denaro e tempo), il che si traduce in un biglietto di entrata o in pubblicità di maggior valore.

Per i siti, la velocità di utilizzo e la infinità di notizie, il tempo reale e la mancanza di confini, riduce la percezione di un servizio interpretativo e mette il giornale a confronto troppo ravvicinato con altri servizi che partono da strutture di costo e modelli di business molto diversi. I siti servono, se servono, a inserire le notizie nel flusso delle attività quotidiane delle persone. Creando un ambiente in più che può avere senso economico se trova una monetizzazione diversa dalla semplice pubblicità. Può essere un canale di vendita? Può essere un club? Può far conoscere altri prodotti a maggior valore aggiunto? Di certo, fa raggiungere al brand un numero di persone superiore. E su questo, solo su questo, si può lavorare.

Se tutto questo è vero, i prodotti sono diversi come i diversi servizi che svolgono. Non è tanto vero che si possono usare le stesse notizie sui diversi device. E’ vero che si devono tagliare le notizie in modo diverso per i diversi scopi che hanno. E che gli editori devono tentare non di rivendere in tanti modi le stesse notizie, ma le stesse competenze delle redazioni.

Le conseguenze sulla struttura redazionale sono importanti. I gruppi di lavoro, composti di redattori, designer e programmatori, abilitano gli autori competenti delle loro materie a pubblicare ciò che il pubblico cerca nei diversi device. Servizio immediato e in tempo reale sul sito, autorevolezza e unicità sulla carta e il tablet. Ne vengono fuori matrici di lavoro attraverso le quali i giornalisti sono suddivisi in squadre organizzate per competenze contenutistiche e per piattaforme di fruizione.

Ma attenzione. Alla fine, il lavoro ad alto volume e basso valore aggiunto porta fatalmente alla concentrazione degli operatori del mercato. Mentre ciò che distingue e mantiene in vita la diversità delle voci resta la ricerca costante dell’autorevolezza.

E l’autorevolezza non è più data. Si conquista: con la ricerca che prepara la generazione di contenuti, con l’innovazione tecnologica che porta gli editori tradizionali a comprendere meglio la nuova tecnologia (l’acquisto di Zite da parte di Cnn è parte di questo), con la trasformazione del design in modo che sia percepito il valore dell’insieme del giornale e non solo la somma delle notizie che lo compongono…

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  • Chapeaux! Molto interessante davvero in termini di visione a tutto tondo del tema.
    Oggi ho pubblicato, riferendomi al tuo articolo ed a quello di Stefano Quntarelli, la seconda parte di analisi di scenario specificatamente dedicata, dopo quella relativa alla carta, all’online. Come sempre ogni tua coinsiderazione e commento è assolutamente auspicato oltre che gradito.
    Un abbraccio
    Pier Luca

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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