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Stephen Holmes. Democrazia. L’equilibrio dei poteri non è un dato ma un processo.

Stephen Holmes termina il suo “Poteri e contropoteri in democrazia” (Codice) citando Benjamin Constant: «una società che si consola per la perdita della libertà politica limitandosi a godere dei frutti della ibertà personale, rischia di perderle entrambe». E poiché siamo in una fase in cui si rischia proprio questo tipo di sviluppo, vale davvero la pena di rifletterci attentamente.

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L’equilibrio dei poteri serve a impedire una dinamica dittatoriale. Il fatto per esempio che il potere esecutivo e legislativo dipendano insieme da un unico centro di potere, il sistema dei partiti, è una possibile fonte di disequilibrio. E Juan Carlos De Martin ne fa cenno nel suo importante post su “Democrazia (debole) e internet)“. Il fatto poi che il potere esecutivo e quello legislativo, dipendano dall’unico centro di potere costituito dal sistema dei partiti che a sua volta dipende in maniera sempre più precisa e puntuale dalle lobby finanziarie ed economiche (un fenomeno del quale il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama si è lamentato spesso, ricorda Holmes), mette ancora più a rischio l’equilibrio dei poteri democratici previsto dalla costituzione repubblicana.

La mancanza di equilibrio dei poteri, cioè la sua concentrazione, genera corruzione e inefficienza. Ma se il sistema che controlla un eccessivo potere vuole mantenersi in controllo della situazione deve tentare di assorbire nella sua orbita anche altri poteri, meno spesso citati a livello costituzionale ma che costituiscono un elemento qualificante di qualunque equilibrio del potere: per esempio il potere dell’informazione. In un paese dalla democrazia instabile e con poteri molto poco equilibrati come l’Italia, questo è particolarmente evidente.

E non per niente si spera molto in internet, nella trasparenza dei dati, nell’apertura a nuove iniziative editoriali e informative, con la partecipazione di molti cittadini, per riequilibrare la situazione. L’asimmetria dell’informazione è una delle questioni classiche della qualità del funzionamento dei sistemi democratici e di mercato. Non è risolvibilen una volta per tutto, a quanto pare, perché è a sua volta un lavoro perennemente in corso.

Il punto è che la distruzione dell’equilibrio è più facile della sua costruzione. Perché il rispetto dell’equilibrio dei poteri è, certamente, garantito dalla legge, ma è soprattutto garantito da una cultura diffusa che esalta l’indipendenza dei poteri e dei loro rappresentanti mentre aborrisce le ingerenze e le confusioni. Negli ultimi venti-trenta anni, in Italia, si è data molta più importanza ad altre cose che non al rispetto dell’equilibrio dei poteri. E questo si è degradato. Per ricostruirlo non basta una nuova norma: occorre una nuova cultura.

Internet non è un generatore automatico di equilibrio dei poteri. Casomai è un’opportunità per ottenerlo e salvaguardarlo. Perché sottolinea il vantaggio che tutti traggono dal bene comune e mostra in modo evidente che il contributo di ciascuno può contare nel processo di manutenzione e miglioramento di quel bene comune. Inoltre, favorisce le iniziative innovative volte a ripristinare forme di equilibrio informativo che erano state conculcate o che non erano mai state possibili.

Ma il rispetto per l’equilibrio dei poteri, per le opinioni diverse, per il metodo condiviso che è necessario per migliorare la conoscenza su come stanno le cose, è un fenomeno di manutenzione e maturazione culturale. E nella generazione di tale maturazione, la tecnologia può non essere ininfluente, anche se di certo non è sufficiente. Nella società contemporanea c’è bisogno di comprendere in che senso non è ininfluente – e di che altro c’è bisogno – per alimentare un processo culturale che ripristini il rispetto per l’equilibrio dei poteri e il miglioramento del senso civico.

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  • Buonasera.
    “… nel formarsi delle comunità, il conseguente uso di agire con violenza si è propagato, assumendo oltre che un aspetto negativo individuale anche un importante significato collettivo preoccupante. Non solo, ma con la scelta istituzionale di usare il potere violento, anche le motivazioni che stimolano la violenza si sono complicate divenendo non più e solo istintive, cioè soggette al bisogno e alla difesa, come ancora oggi lo sono per le bestie, ma purtroppo e piuttosto deliberatamente, sono divenute assolutamente volontarie, prepotenti e bellicose, scatenate da vendette, rappresaglie e bramosie di dominio …”.

    Se vogliamo intendere che le varie forme di potere, cui noi oggi tutti, e così malauguratamente, sottostiamo, debbano assolutamente coesistere, e se dovremmo davvero ritenere di dover acconsentire a loro anche se in equilibrio, allora io credo sarebbe stato meglio il non costituirsi di alcuna comunità.
    Buonasera.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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