Clay Shirky. Big Think. “La gente non è molto brava a ragionare velocemente. Ma è bravissima a emozionarsi velocemente. E man mano che i media diventano più veloci, diventano anche più emozionali”.
Daniel Kahneman dice che è molto più probabile che una decisione sia presa in base all’intuizione che in base al ragionamento. E i media sono responsabili di una grande quantità di conoscenze ovvie che costituiscono il materiale di base per l’intuizione.
Siamo tra l’ecologia dell’attenzione e la strategia della disattenzione. (cfr anche Economia della felicità).
Eppero’ tutta la filosofia del XX secolo e’ una distruzione della differenza tra intuizione e ragionamento. In fondo, l’intuizione e’ un’inferenza analoga al ragionamento. “Abduttiva”, diceva quello.
Su questo stesso tema ti segnalo anche un’ intervista che Shirky aveva fatto un mese fa su come i social media aumentano la percezione emotiva delle news. Lo trovi qui: http://ideasproject.com/content.webui?id=3527
Se ho ben compreso la tesi di Kahneman e l’insight di Shirky che vado a fondere semplificando: velocità/emozionalità/intuizione unite alla crescente disponibilità di informazioni (stimoli) saranno in grado di determinare la crescita esponenziale di opzioni colte nel presente, al volo, per evitare l’angoscia del dubbio, visto che gli esseri umani mal sopportano l’incertezza derivante dal sostenere pensieri inconciliabili sullo stesso oggetto, il che sarebbe invece prerogativa del ragionamento…
Ciò mi riporta in qualche modo alla polarità fra posizione schizoparanoide (scissione dell’oggetto, proiezione, rifiuto di ambivalenza/incertezza) e posizione depressiva (riconoscimento dell’oggetto nella sua interezza, accoglimento e accettazione dell’ambivalenza) della tesi di Melanie Klein, in una prospettiva psicodinamica, con riferimento allo sviluppo del Sé.
Non a caso, mi pare, al polo opposto di questa intuizione veloce di cui si sta discutendo, sembra collocarsi proprio una posizione che, se estremizzata, è depressiva (il ‘ragionamento’ con tutto il suo portato di dubbio e lentezza).
Rischio di ‘derive patologiche’ se si avrà applicazione generalizzata della strategia della disattenzione, che lavora presumibilmente sulle proiezioni collettive piuttosto che sulle prospettive di sviluppo dei singoli nei loro contesti. Necessità di correttivi sistematici che tendano a preservare e valorizzare le facoltà riflessive (creando profondità e spessore temporale oltre che significatività in senso spaziale: raccordando passato presente e futuro e reinterpretando i confini, che sono comunque, concettualmente, ineliminabili ancorché perpetuamente modificabili.
Non volevo dimostrare niente, solo disegnare il mio tracciato mentale dopo aver letto gli allegati.
Una concezione ‘meccanicistica’ della curiosità umana mi risulta aberrante. Quasi le intuizioni indotte da un determinato modo di scrivere o proporre articoli, potessero guadagnarsi un significativo valore statistico. Da utilizzare, alla fine, per finalità economico-commerciali. La curiosità ti appartiene dalla nascita, volente o nolente, e non può essere codificata. Anche se lo dice Daniel Kahneman non posso esimermi dal ritenere un coglionata il suo assunto
A me pare che Shirky con le sue intuizioni sia dentro un paradigma narrativistico, basato quindi essenzialmente su processi discorsivi, anche se il retrogusto è poi quello di uno che si spinge quasi a ‘prevedere’ ciò che accadrà come se esistessero essenzialmente legami di tipo causa-effetto tipici invece di un paradigma meccanicistico. Quanto a Kahneman, a quanto pare ha adottato un approccio sperimentale dimostrando come gli esseri umani nel processo decisionale infrangano sistematicamente alcuni principi razionali. Aberrante è che si voglia trarne conclusioni semplicistiche per finalità economico-commerciali, sì, però – banalizzo – se fosse vero il contrario di ciò che dice Kahneman – ossia che il comportamento economico è sempre razionale e finalizzato al raggiungimento della massima utilità, forse non staremmo neanche qui a parlare.
Tamara qual’è il paradigma narrativistico? Non credo nel senso inteso come metodo desk comunemente inteso dalla discipline umanistiche. E’ fuor di dubbio che la componente ideografica prevarichi quella nomologica, siamo nell’interpretativo spinto. I maggiori topic delle sue tesi tirano in ballo l’esperienza del consumo con driver tecnologici, il valore dei costi e dei benefici nei ruoli dello scambio, molta economia senza statistica insomma e tanta sociologia del progresso tecnico. Almeno a me così sembra. Se per paradigma narrativo intendi il metodo ermeneutico della comprensione invece della spiegazione sì, anche perché ipotesi di scenario non implicano relazioni cause effetto lineari, ma correlazioni di fattori che non hanno lo statuto di variabili, sono più generici e irriducibili.