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Il metodo democratico. La governance di internet. La credibilità dei politici

Non è una grande scoperta. I politici faticano a essere credibili. Da una parte ce la mettono tutta per disperdere il loro capitale di credibilità, adottando una serie di comportamenti criticabili, o peggio. Da un’altra parte appaiono incapaci di incidere davvero sulla realtà che dovrebbero governare. Le promesse mancate, le cose fatte che non bastano mai, la grandezza dei problemi e l’impotenza del potere. Gli stati sembrano superati dalle aggregazioni sovranazionali ed erosi dalle altre dimensioni del potere, politiche o finanziarie. La realtà che dovrebbe essere governata sembra andare più veloce della politica e sembra estendersi molto oltre i confini di qualunque struttura politica. Molti politici puntano a lanciare slogan relativi a principi facili o difficili da accettare, in modo che le loro proposte possano apparire durevoli: ma è un approccio abbastanza antico. Altri politici tentano di evitare le discussioni di principio e di concentrarsi su discorsi sul metodo: più che dire cosa faranno se eletti, cercano di dire come si organizzerebbero per informarsi, deliberare e decidere. Un tentativo di passare dall’etica all’epistemologia nella politica. Il secondo approccio è molto meno diffuso del primo. Se ne discute un po’ a Bruxelles, parlando di “science based policy”.

Un’applicazione di questo approccio potrebbe essere tentata per un argomento che si presta particolarmente bene.

Ci sarebbe da pensare alla questione della governance di internet. Il tradizionale principio multistakeholder è ancora e sempre fondamentale. Ma la molteplicità degli stakeholder è molto più numerosa di quanto non fosse nell’ultimo decennio del secolo scorso. Negli anni Novanta una soluzione molto avanzata – realizzata per esempio in Brasile – era la costituzione di un organismo che portasse a discutere di governance di internet persone che rappresentassero la politica, la società civile, il sistema dei tecnici e quello delle aziende private. Ma oggi ha ancora senso che una ventina di persone che rappresentano pochi punti di vista decida per la vastità dei temi toccati da internet?

In realtà, le regole che governano internet derivano da molte forze. Il codice scritto dai privati, le norme scritte dalle istituzioni, il prodotto del contributo degli utenti che talvolta diventa un sistema di canoni di comportamento, e così via. Del resto, per la quantità di interazioni che internet consente con i più diversi anfratti della vita sociale, culturale, economica, le regole di internet sono profondamente influenzate dalle regole di tutte, o quasi, le comunità e le loro dimensioni operative. Sicché un buon punto di partenza per comprendere come sviluppare la governance di internet, oggi, è una meditazione sull’evoluzione dei diritti umani in internet.

La Dichiarazione italiana dei diritti in internet, votata all’unanimità dalla Camera dei deputati, è arrivata a conquistare spazio di attenzione a livello europeo. Anzi per la verità è portata a esempio al Parlamento europeo per sviluppare una carta dei diritti in internet europea. Il Parlamento europeo “invita le istituzioni europee ad avviare un processo partecipativo al fine di elaborare una Carta europea dei diritti in Internet, facendo riferimento, tra gli altri testi, alla Dichiarazione dei diritti in Internet pubblicata dalla Camera dei deputati italiana il 28 luglio 2015, che sancisce tutti i diritti fondamentali nella nuova epoca digitale, al fine di promuovere e garantire a tutti i diritti relativi alla sfera digitale, tra cui il vero e proprio diritto di accesso a Internet e alla neutralità della rete”. Nella Dichiarazione italiana ci sono almeno tre principi utili per la governance: la garanzia della net neutrality, la richiesta di interoperabilità delle piattaforme che hanno caratteristiche da “utility”, la necessità di operare una valutazione di impatto digitale nei casi in cui nuove norme abbiano possibili conseguenze sull’intero ecosistema della rete.

Come far valere questi diritti? Occorre informazione, partecipazione, deliberazione e sostegno per le persone che devono conoscere i loro diritti in internet. Con una larghezza di temi e una profondità di conoscenza che non può essere riassunta tutta in un solo organismo. Ci vuole qualcosa di più ampio. Più contemporaneo.

Una discussione a Palazzo Chigi, presenti tra gli altri anche Antonello Giacomelli e Diego Piacentini, ha evidenziato la possibilità che invece di un organismo – del genere che andava bene negli anni Novanta – si arrivi a costruire un metodo utile a creare forme di consultazione, deliberazione e collaborazione ampia che possano servire a fondare una pratica davvero multistakeholder allargata all’enorme varietà dei temi e delle comunità interessate a internet. Del resto, una piattaforma con un buon metodo civico per discutere in rete, sulla rete, potrebbe essere un’interessante dimensione di una democrazia più consapevole delle sfide organizzative e teoriche poste dalla contemporaneità. È tempo di sviluppare un progetto in materia.

(Nella foto la Biblioteca Malatestiana di Cesena)

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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