Il settimanale the Economist esce con una storia di copertina che parla della fine della legge di Moore. Per 50 anni, più o meno, un’osservazione spannometrica di Gordon Moore secondo la quale la capacità di elaborazione dei microprocessori raddoppiava regolarmente a parità di prezzo – la periodicità è variata nel tempo tra i 18 mesi e i due anni – ha governato il progresso nel mondo dei computer. Ma secondo l’Economist sta già rallentando ed è destinata a non valere più (Economist).
Ovviamente l’industria tecnologica non si da per vinta. E continua a spingere per il miglioramento delle prestazioni, attuando strategie diverse, in termini di software e di architetture hardware, oppure cercando innovazioni radicali come il computing quantico. Ma il punto non è certo che il miglioramento tecnologico rallenti. Il punto è che non ha più lo stesso percorso, logaritmicamente lineare, ineluttabilmente esponenziale.
Il punto è che per 50 anni, più o meno, il ritmo dell’intera industria informatica è stato battuto dalla legge di Moore. E che l’Intel se n’è fatta interprete e leader. In un’industria a elevatissimo tasso di innovazione si poteva assistere a una cacofonia di tentativi disordinati, mentre si è vista per decenni una certa armonia: Gordon Moore ha fatto da direttore d’orchestra.
La fine della legge di Moore apre a una nuova fase dello sviluppo tecnologico perché richiede una leadership meno univocamente tecnologica e più culturale.
Internet aveva reso tutto questo ineluttabile. La molteplicità dei percorsi innovativi – dallo hardware al software, dalle telecomunicazioni fisse alle reti mobili, dalle piattaforme globali alle applicazioni più o meno specialistiche, e così via – hanno reso meno diritta la strada del progresso e meno prevedibile il suo sviluppo futuro. Ma per sostenere i costi dell’innovazione molte aziende hanno bisogno di poter avere dei punti di riferimento: hanno bisogno di leader. Ma questi sono sempre meno soltanto tecnologici, appunto, e sempre più diventano culturali: i leader determinano meno il futuro con l’ingegneria e lo costruiscono di più interpretandolo, immaginandolo, raccontandolo e contribuendo con i fatti a costruire una visione comune.
I prossimi 50 anni saranno probabilmente segnati da un ricongiungimento della cultura tecnica e quella umanistica: una vera e propria fusione dei due approcci. Necessaria per la nuova fase dello sviluppo. E chiunque racconti di sapere che il futuro sarà dettato dalla curva esponenziale dovrebbe ricordare che ogni fase di espansione esponenziale raggiunge prima o poi una fase di rallentamento asintotico.
L’interpretazione si applicherà probabilmente alle frontiere: robotica, big data, internet delle cose, intelligenza artificiale, piattaforme di intelligenza collettiva, sharing economy e così via. E potrà aprire opportunità alle quali il vecchio mondo scandito da chip e sistemi operativi non lasciava molti spiragli.
Vedi dunque:
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