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Harvard: le aziende dovranno assumere più umanisti

L’idea è chiara: i computer sono destinati a sostituire molte operazioni tecniche e anche diverse attività di produzione di tecnologia. Quali capacità umane serviranno? Creatività, empatia, ascolto, visione… Capacità che si alimentano di cultura umanistica. Lo dice Tom Perrault sulla Harvard Business Review.

“In today’s digitally driven world, companies are competing ferociously for technological skills. They believe the ability to create the hard code that makes a product come to life is at the heart of their success. Without code, after all, you merely have ideas on a napkin or a dream in your head.

It’s the same with data analysts and business intelligence engineers. What’s more important than taking the massive amounts of data that a company receives every day and making sense of it? Decoding this data, everyone tells us, will help companies pinpoint exactly what each consumer wants and will inform a product’s creation in turn.

The current emphasis on these skills seems totally rational, as nothing happens without them and no company can ever hope to be successful in their absence. But what companies forget is that this won’t be true forever. In fact, it won’t be long before these very skills become commoditized. In the future, computers will take over more and more of these tasks, including programming and data crunching. The things that are foundational to a company’s success today will be replaced and automated by a machine tomorrow.

But there will be a limit to how far computers can replace human capabilities, at least in the near long term. What can’t be replaced in any organization imaginable in the future is precisely what seems overlooked today: liberal arts skills, such as creativity, empathy, listening, and vision. These skills, not digital or technological ones, will hold the keys to a company’s future success. And yet companies aren’t hiring for them. This is a problem for today’s digital companies, and it’s only going to get worse”.

Attenzione, però. Non è un’analisi che possa essere consolatoria per quelle aziende italiane che abbiano più avvocati che ingegneri. Il punto di questo articolo non è che non servono gli ingegneri. Il punto è che il lavoro degli ingegneri è ciò che sta costruendo oggi il futuro. Quindi le aziende che oggi non capiscono la tecnologia sono fuori dal tempo. Immaginando che cosa sarà il mondo che stiamo costruendo, Perrault, pensa che diverranno più necessarie le skill umanistiche: ma in un mondo digitalizzato. Dunque stiamo parlando di digital humanities.

Vedi:
To be, or how to be: that is the question – digital humanities, identità, media
Digital Humanities, Bocconi e Bruxelles

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  • Proprio domenica ho trovato un video su youtbe in cui Damon Horowitz, che ora é Director of Engineering per Google raccontava di come a un certo punto della sua carriera di Sviluppatore ha deciso di dedicare 4 anni della sua vita a un dottorato in filosofia. Il video si trova qui https://www.youtube.com/watch?v=9DBt9mVdgnI
    Il discorso è di 5 anni fa, ma resta validissimo e si sposa bene con quanto scrivi. Dice Horowitz in un passaggio del suo intervento a Stanford:
    “I no longer assume that I know what is good for my users, or that they share my interest. My team uses the resources throughout the development of products to understand the concerns and activities of the people that use what we do. It is a form of applied cultural anthropology.”

    Sará che io sono una che ha studiato lettere e antropologia, ma ho sempre lavorato nei media, con i media, e ora addirittura in una software company, ma queste sue parole sono importanti. La complessitá non è né scientifica né letteraria, ma umana 🙂

  • Io credo che mentre nel contesto statunitense la prevalenza è dei tecnici, in quello italiano – in Europa molto meno – la parte del leone la fanno gli “umanisti”, quando non dei personaggi senza arte nè parte, ma ben ammanigliati.
    Il fatto però che questi umanisti siano, per la gran parte, laureati in legge pone i termini del problema sotto un’ottica assai particolare, nella quale la dialettica e la moral suasion prendono il sopravvento sul rigore, sia quello scientifico che quello filosofico, creando i presupposti per le derive più assurde.
    Altrove, in Europa, hanno la prevalenza gli economisti, che si piccano di essere scienziati mentre, al servizio di una ideologia, sostengono tesi screditate dalla realtà fattuale, che è sotto gli occhi di tutti, tranne dei loro naturalmente.
    Per come la vedo io più che discutere della percentuale di tecnici dovremmo stabilire che è necessario un mix armonioso tra umanisti e scienziati, che devono indagare e comprendere i due corni del sapere umano, ma senza gerarchie pretestuose preconfezionate.
    I tecnici sono necessari, ma in genere soffrono di una visione strettamente congiunturale di ciò di cui si occupano.

  • Uno degli esempi che faccio sempre, a supporto di quanto detto, è questa immagine
    http://static1.squarespace.com/static/501d8695c4aaff0be5e54bcd/t/521250f2e4b088f3b6700897/1376932083760/apple-technology-liberal-arts.jpg
    che ha usato Jobs.
    Molti traducono liberal arts come sinonimo dì humanities.
    Ma questa indicazione è stata dimenticata da molti, accecati solo dal lato business, senza tener conto o capire che se non ci sono solide fondamenta culturali, le tecnologie avranno vita corta, saranno vuote, non risponderanno a vere esigenze ma solo a bisogni indotti.

  • Il futuro è interdisciplinarità, crowdsourcing, open access open source non extraction, non esclusione, non capitalismo, non consumo, rigenerazione, redesign… e se vogliamo usare i Big data correttamente e migliorare una marea di cose come anche l’interpretazione di una storia antica (facendo uso degli algoritmi che andranno a ricavare tutte le storie possibili su un particolare mosaico di Pompei e andranno a cercare in cinese armeno russo latino greco storie che possano toccare quell’illustrazione in quel mosaico, CI VORRA’ qualcuno che sappia che domande fare agli umani per usare l’algoritmo…

    Human Intelligence è fatta di interdisciplinarità da sempre. Ma è da decenni che dico … da un secolo almeno o comunque dal 1750 che “ragioniamo” a compartimenti stagni. Sveglia…

    Io do stesso fatt che io do significati che lui non vede di quello che io faccio … ad esempio uno studioso di greco che sta approfondendo il mito nell’adriatico presso trieste dove si dice antichi popoli giunsero vicino alle fonti che gettavano improvvisamento dalla roccia in mare (carsismo … presso il mare) e mescolo le sue visioni con esperienze di Speoleologia avrò comprensioni avrò sapere nuovo, avrò epifania e molto di piu avrò meraviglia .. avrò COMUNICAZIONE.

    Oggi non comunichiamo piu. Interdisciplinarità è fondamentale. Mi fermo qui anche se avrei altro da scrivere.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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