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C’è vita dopo lo smartphone

C’è vita dopo lo smartphone? Questa tecnologia tanto potente, attraente, invadente sarà superata? Anche in questo blog se n’è parlato qualche volta. Per esempio nel novembre del 2018. Per questo è un piccolo piacere intellettuale vedere che altri, ben più autorevoli, si pongono lo stesso problema. Lo smartphone è una tecnologia che ha davvero innovato. Ma niente è eterno. Ed è sempre interessante immaginare come potrebbe essere il dopo. Specialmente se quello che esiste nel presente comincia a prendere uno spazio eccessivo e alimenta la voglia di liberazione. Se n’è occupato, appunto, questa settimana anche l’Economist: After the smartphone.


Ci sono alcune domande che fanno da sottotesto alla questione della prossima mega-tecnologia:

  • A che cosa serve pensare alle prossime grandi tecnologie in un contesto che non crede più al vecchio ritornello del progresso, secondo il quale le nuove tecnologie sono sempre migliori delle precedenti?
  • La ricontestualizzazione e relativizzazione di questo genere di problemi nel nuovo mondo della transizione ecologica e sociale segnala che in effetti l’umanità sta facendo un salto di consapevolezza?
  • A parte tutto, qual è il criterio per capire che forma avrà il prossimo sistema di gadget? Possibile che gli occhiali a realtà aumentata siano davvero la prossima grande cosa? E quanto è importante?

Il presente è appesantito da problemi ben più gravi. La guerra vista dal mondo con le immagini raccolte e inviate con gli smartphone è una nuova incarnazione dello spettacolo dell’orrore. La narrazione non è diventata più oggettiva. Non è diventata più profonda. Ma indubbiamente, in qualche modo, sembra rendere più vicina tutta la vicenda. Del resto, durante la pandemia, lo smartphone era stato candidato a diventare lo strumento perfetto del tracciamento, salvo poi accorgersi che lo strumento non è il risultato. È talmente presente e normale, lo smartphone, nella vita di tutti i giorni di metà del mondo che probabilmente è anche uno dei terreni di riflessione sul modo con il quale si affrontano le possibilità anormali. Pensare al dopo smartphone significa anche pensare alle modalità con le quali si possono affrontare meglio i problemi complessi che l’umanità dovrà comprendere, per poi deliberare, decidere e agire. Perché lo smartphone fa parte della categoria di tecnologie che si sono messe al servizio del modo con il quale le persone pensano insieme, talvolta purtroppo diventando anche una tecnologia che mette al suo servizio le persone che si trovano a pensare da sole.

Di certo, rispetto a qualche anno fa si ha l’impressione che il nuovo contesto storico abbia spiazzato la discussione sulle tecnologie che saranno capaci in futuro di ripetere l’impresa di conquistare uno spazio di immaginario e di vita concreta così ampio come è riuscito allo smartphone.

In questo spiazzamento, si rischia di dire: ma chissenefrega del prossimo grande gadget? Ci sono problemi ben più grandi e importanti. E questo è giusto. Anzi proprio questa nuova mentalità, che solo quindici anni fa non era attuale, è il segno della novità di contesto che potrebbe generare il cambiamento. Perché non è la singola tecnologia a cambiare radicalmente la storia, ma il suo rapporto con il contesto. In un’epoca nella quale ci si rende conto ormai che quello che è importante lo è per la sua posizione strategica nelle dinamiche evolutive, i problemi complessi sono i più importanti e l’ecologia dei media emerge in tutta la sua importanza. Come tutte le ecologie, l’ecologia dei media riguarda le relazioni tra gli elementi. Non riguarda tanto il singolo gadget quanto le sue relazioni con il resto. E poiché le grandi sfide dell’umanità non si supereranno se non attraverso un grande lavoro di collaborazione tra le menti degli umani, allora ogni grande fenomeno che interviene sulla comunicazione tra quelle menti ha una sua importanza. Se una piattaforma – per interfaccia e algoritmi, per modello di business o di ingaggio – contribuiusce in modo favorevole o sfavorevole alla generazione di informazione di qualità e collegamenti tra le persone adatti a sviluppare sane forme di deliberazione, allora quella piattaforma è importante anche per prevedere con quale atteggiamento culturale e pratico le persone si impegneranno nell’affrontare le sfide importanti. Saranno tribù che non si parlano o cercheranno il terreno comune?

È tutt’altro che irrilevante. Tanto per fare un esempio, l’interfaccia che inviti continuamente le persone a votare sì o no, like o niente, numero di stellette per definire il gradimento, in un certo senso allude alla polarizzazione. Lo si è visto abbondantemente. Se poi questo viene sottolineato dagli algoritmi di raccomandazione che radicalizzano le preferenze “personali” diventa un argomento da prendere sul serio.

La produzione di echo-chamber e fake news, hate speech e dipendenze, semplici banalità che fanno perdere tempo, sono fenomeni complessi, ma in parte connessi anche alla forma dell’internet mobile, un medium tra i più coinvolgenti della storia. Cioè si tratta di indagare il futuro (del medium) composto dal terminale (smartphone) e dall’infrastruttura (piattaforma).

Quello che c’è dopo lo smartphone non si trova dunque cercando il prossimo gadget ma il prossimo sistema articolato di gadget, piattaforme, sistemi incentivanti, priorità sociali ed economiche.

Abbiamo visto che il pc, un tempo incontrastato elemento strategico dell’ecosistema digitale, è stato spiazzato dall’internet mobile abilitata dallo smartphone. La generazione di ricchezza che si è così creata non cessa di attirare l’attenzione di coloro che potrebbero riuscire a pensare la prossima grande cosa. Logico, ma ormai insufficiente. Per ragionare intorno a quello che ci sarà in futuro occorre parlare di ciò che condurrà all’adozione di una proposta innovativa, non tanto a quale sarà quest’ultima. Il momento cruciale per l’innovazione del futuro è proprio quello della comunicazione: non una comunicazione limitata a trasportare il messaggio da A a B, ma una comunicazione che mette davvero insieme le menti, o almeno le conoscenze, per condurre all’adozione o al rifiuto.

È un problema complesso. Non è soltanto tecnologia. È società. È economia. È abitudine. È potere.

Lo smartphone si è intromesso nelle relazioni sociali anche troppo, ha aperto la strada ad alcuni innovatori, ma ha rilanciato l’attenzione per l’innovazione delle grandi aziende: che cosa fanno le grandi aziende tecnologiche? Alimentano o soffocano l’innovazione?

Evidentemente, a giudicare dalle decisioni europee, tipo il Digital Markets Act, l’innovazione possibile va alimentata e il rischio che i grandi la soffochino è importante.

È un classico: cercare di conoscere il futuro guardando a che cosa fanno i potenti. In questo caso, i potenti sono Google (Alphabet), Facebook (Meta), Apple, Amazon, Microsoft. Di certo, da questa gente viene fuori che il futuro può essere qualcosa come Alexa, un’interfaccia audio, oppure occhiali per realtà aumentata.

In entrambi i casi, le idee strategiche sembrano arrivare proprio dai giganti citati. Che cosa possiamo dire in proposito?

Da tempo si immagina che i gadget potrebbero essere destinati a perdere valore e a perdere centralità strategica. Il punto emergente è sempre il contatto con l’analogico del corpo umano in relazione alla struttura della piattaforma da usare. Tanto per fare un esempio, l’avanzata di TikTok su Facebook (quella che ha fatto perdere 200 miliardi di capitalizzazione all’azienda di Mark Zuckerberg) è anche la riduzione delle opzioni per il singolo utente e l’aumento dell’attività decisionale della piattaforma: un fenomeno connesso alla riduzione dello spazio e del tempo di interazione concesso dall’uso efficiente dello smartphone. Va notato che l’interfaccia vocale riduce ancora di più le opzioni (troppo lungo e faticoso l’esplorare molte alternative a voce). Non è necessariamente sgradito. Ma certamente riduttivo rispetto alle possibilità aperte dalla vastità delle conoscenze disponibili in rete. Sicché il prossimo avanzamento della capacità di pensare insieme delle persone non avverrà con uno strumento disegnato solo per fare aumentare i soldi che le aziende digitali guadagnano. Avverrà probabilmente come un atto di liberazione.

Poiché la liberazione non è la difesa della libertà ma la sua conquista, la prossima piattaforma non è soltanto un occhiale o una voce connessa a internet. È una via non autoreferenziale per conoscere meglio insieme. E questo potrebbe essere davvero una rivoluzione. Al centro dunque le nuove piattaforme della qualità. Rese interoperabili dalla nuova distribuzione del controllo sui dati personali. Con a quel punto sì, un nuovo sistema di interfacce che servano facilmente tutti i sensi: non solo la vista, per esempio, ma tutti i sensi contemporaneamente. Inoltre potrebbe essere un oggetto più comodo, dunque un oggetto che non si porta in giro, perché ormai l’accesso alle piattaforme si troverà dappertutto (sul tavolo del bar e sulla parete dell’ascensore, sul banco di scuola e sul tavolo da cucina, e così via). Piattaforme soprattutto più intelligenti, non votate a raccogliere dati ma a svolgere un servizio.

Una grande innovazione si esprime nel linguaggio della contemporaneità. Intercetta quello che fa da sfondo ai pensieri dei potenziali utenti. E offre una risposta attraente.

Purtroppo la battaglia contro le novità autoreferenziali è tutt’altro che terminata. Ma di certo è cominciata. Con il grande cambio di contesto culturale, sociale, economico, ecologico che si è avviato.

1 Commento

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  • Grazie per le tue riflessioni. Le prime cose che stimolano la mia curiosità sono: una volta appurato che “troppo smartphone” fa male a tutti, ci sarà uno strumento immersivo (tipo il libro, per intenderci) che avanzerà a colmare questo vuoto?
    Una volta capito che per far crescere in modo sano i nostri figli serve riflettere bene su come un utilizzo che non è tenuto sotto controllo è da evitare, avanzeranno altre tecnologie alternative?
    Secondo te possiamo pensare che l’entusiasmo nei confronti di questo dispositivo possa diminuire?

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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