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Fare il bello e il cattivo tempo: parlare del clima è fare Politica

Il costo economico degli eventi atmosferici estremi collegati all’emergenza climatica è passato nel mondo da 1,6 mila miliardi di dollari nel decennio 2000-2010, a 2,5 mila miliardi nel decennio 2011-2020. Si tratta di tempeste, alluvioni, siccità e incendi selvaggi. Il calcolo si trova nel Rapporto Annuale 2020, “Weather, Climate & Catastrophe Insight”, di Aon, specialista in soluzioni riassicurative. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) aveva reso noto qualche settimana prima che, secondo i calcoli degli scienziati del clima, un aumento di temperatura media globale di un grado e mezzo rispetto all’epoca preindustriale è ormai inevitabile per la metà del secolo. Ma non è inevitabile superare quella soglia (Statista, Aon).

Da qui alla metà del secolo, ci saranno sempre maggiori probabilità di fenomeni atmosferici estremi. E i costi aumenteranno. Per non superare la già problematica soglia del grado e mezzo ed evitare così che le catastrofi diventino ancora peggiori e più frequenti e meno prevedibili, occorrono investimenti giganteschi per cambiare il sistema di produzione dell’energia e il consumo di risorse planetarie che genera emissioni di gas-serra. E occorrerà una fortissima capacità innovativa, da parte dei centri di ricerca e delle aziende, per evitare che questo cambiamento si accompagni a un peggioramento della qualità della vita. Venture capital e startup, da parte loro, dovranno creare nuovi mercati e consentire ai sistemi di compiere dei salti di paradigma significativi. Come mostra uno scenario pubblicato da New Scientist per visualizzare la vita quotidiana in un posto come l’Inghilterra nel 2050, non sarà tutto piacevole, ma alcuni cambiamenti creeranno una qualità della vita migliori di quelle attuali. Il confort delle case e dei sistemi di mobilità sarà probabilmente migliore. Persino il sistema democratico locale potrebbe trovare le condizioni per migliorare, data la quantità di decisioni importanti e pragmatiche che dovranno essere compiute per favorire l’adattamento alle mutate condizioni climatiche (New Scientist, testo).

Ma per fare in modo che non si superi quel grado e mezzo occorre che il mondo si muova deciso fin da ora nella direzione necessaria ad azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050. E questo sta avvenendo con decisione crescente, ma pur sempre scarsa rispetto al necessario. Molte compagnie di idrocarburi continuano ad accrescere la produzione e a investire nella scoperta di nuovi giacimenti di petrolio anche se spesso pianificano poi di vendere i diritti di sfruttamento per non apparire inquinanti, anche se di fatto consentono ad altri di inquinare. Paesi giganteschi come Cina e India non sono ancora pronti a promettere di arrivare anche loro a emissioni nette di CO2 per il 2050. E sebbene Spagna, Francia, Germania, Svezia, Regno Unito, Danimarca, Ungheria, Lussemburgo, Giappone, Canada, Nuova Zelanda, oltre all’insieme dell’Unione Europea, abbiano votato e approvato leggi per arrivare alla neutralità di CO2 entro il 2050, paesi come l’Italia, il Brasile, gli Stati Uniti, la Finlandia e l’Austria, con molti altri, si sono limitati a scrivere in documenti ufficiali che a loro volta vogliono raggiungere lo stesso obiettivo (Netzerotracker). 

Ma non è con i documenti ufficiali che si arriva al risultato. Occorre favorire quell’innovazione, senza mezzi termini. Per cambiare radicalmente il modo di vivere e smettere di sfruttare insensatamente il pianeta. E siccome tutto questo richiede un ripensamento abbastanza radicale di assetti di potere, evidentemente siamo di fronte a una discussione sul potere delle multinazionali, dei sistemi finanziari e delle aggregazioni politiche.

In particolare, in un contesto in cui l’interesse che conta è quello del pianeta, che non è la somma degli stati ma è molto di più, forse occorre ripensare il concetto di stato-nazione e ridisegnare il suo potere (ma su questo intendo scrivere un post nei prossimi giorni).

Image by Free-Photos from Pixabay

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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