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Piattaforme della polarizzazione

Appunti per un intervento alla Festa della Scienza e Filosofia, domenica 25 aprile 2021. Il lavoro del futuro.

Dopo l’accelerazione digitale del 2020 – che si è realizzata per rispondere in tutta fretta alla crisi aperta dalle clausure decise per salvare il sistema sanitario dal picco di richieste di intervento dovuto alla pandemia – le impressioni sono chiare: il digitale è essenziale, ma la vita è troppo complessa per poter essere compressa nelle piattaforme digitali. Sicché come minimo si parla di organizzazione ibrida del lavoro. E ci mancherebbe.

Per molte ragioni si può dire che il lavoro del futuro è il progetto del futuro. L’adeguamento della preparazione delle persone a questa nuova condizione nella quale il lavoro non è svolgere alcune mansioni ma partecipare a una progettazione complessa, in continua evoluzione, sulla spinta di dinamiche tecnologiche, sociali, economiche, culturali, ecologiche, diventa il primo capitolo di ogni ragionamento in materia.

L’esperienza del lavoro da remoto del 2020 insegna alcune cose in termini di progettazione:
1. Se non si fa nulla, l’organizzazione del lavoro del futuro viene affidata a chi progetta le piattaforme sulle quali si svolge il lavoro; le piattaforme per le riunioni e le piattaforme per l’incontro di domanda e offerta di servizi sono le più importanti. Se non si fa nulla, saranno le varie Teams e Zoom a organizzare il lavoro di ufficio prevalentemente con collaboratori stabili in organizzazioni strutturate, mentre saranno le varie Amazon e Deliveroo a organizzare l’incontro di domanda e offerta di servizi gestendo i lavoratori “indipendenti”.
2. Se si vuole trasformare il lavoro da remoto in una forma più intelligente di lavoro, l’utilizzo delle piattaforme non va subito ma progettato; il che significa che il management abbandona le classiche modalità di gestione di tempi e metodi per includerle in un più ampio sistema di attività di animazione della squadra creativa di lavoro, con progettazione di spazi e format di collaborazione, tempi di apprendimento e restituzione delle esperienze, definizione condivisa di obiettivi di lungo e breve termine, innovazione continua, e così via. Leadership, strategia e gioco di squadra al posto di operazioni abituali e gestione di prossimità con presenzialismo.
3. Le prossime piattaforme non saranno necessariamente standard proprietari di pochi mega gruppi ma potranno emergere dalla progettazione distribuita, con architetture a misura di organizzazione locale e connessione globale, in contesti ibridi e creativamente stimolanti.

Ma tutto questo è solo una parte del problema. Perché i due generi di piattaforme di cui si è parlato alludono a due generi di riprogettazione piuttosto diversi. Il primo genere potrebbe essere definito nel contesto dell’economia della conoscenza, nel quale il valore si concentra sull’immateriale e viene generato dalla ricerca, dal design, dalla creatività, dall’informazione, dal pensiero organizzativo, dalla generazione di senso, e così via. Il secondo genere di piattaforme gestisce la logistica dell’accesso ai servizi della cura della persona, avviene nel territorio e trova il valore nell’elevato volume di piccole transazioni. La separazione tra le due dimensioni rischia di trasformarsi in una polarizzazione sociale insolubile.

Perché le dinamiche dell’innovazione per la dimensione dell’economia della conoscenza sono profondamente diverse da quelle che avvengono nell’economia della cura. La seconda ha bisogno di un lavoro da remoto efficiente e poco costoso, la prima di lavoro creativo e coinvolto. Le logiche economiche sono strutturalmente diverse. La soddisfazione umana ed economica che si può trarre dall’una e dall’altra è molto diversa. Il passaggio dall’una all’altra dimensione si può fare nel tempo sempre più difficile.

Vedi:
Il lavoro del futuro: intelligente o distante

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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