Era il 28 luglio del 2014, alle 11,30. La prima riunione della Commissione di studio della Camera dei deputati che doveva lavorare – come allora scriveva la Segreteria istituzionale della Presidente della Camera dei deputati – alla redazione di principi e linee guida in tema di garanzie, diritti e doveri per l’uso di Internet. Nella sala della Biblioteca della Presidente in Palazzo Montecitorio c’erano i membri della Commissione. Persone diverse per esperienza e valori. Deputati di ogni gruppo parlamentare. Esperti di consumerismo, tecnici della rete, giuristi, rappresentanti di compagnie di telecomunicazioni, giornalisti, attivisti. Alcuni erano interessati a introdurre nuovi “doveri” per chi usa internet. Altri volevano inventare “garanzie” per le persone in rete. Altri ancora pensavano alla rete come un grande progresso al quale tutti hanno diritto di accedere. Mondi mentali e culturali diversi. Che però sono riusciti a deliberare su questioni molto complesse e sfaccettate, a scegliere su problemi intricatissimi e densi di interessi contrastanti, a produrre e pubblicare esattamente un anno dopo, il 28 luglio 2015, una Dichiarazione dei diritti in internet, senza che il titolo fosse appesantito da questioni di “garanzie” e “doveri”. Con una chiave di lettura inclusiva, netta, senza compromessi.
Come è stato possibile? È successo perché fin da quel 28 luglio del 2014 i membri della Commissione hanno ascoltato le parole del professor Stefano Rodotà e sono stati illuminati. Il suo pensiero veniva da lontano, sorgeva da un’esperienza umanamente autentica al servizio della cultura dei diritti, aveva una forza intellettualmente inarrestabile. Interessi diversi, valori pregiudiziali, linguaggi incomunicanti si sono trovati inclusi in un flusso culturale generato da un uomo che li ha guidati senza alcun potere ma solo per via di autorevolezza. Anche questo è stato Stefano Rodotà.
Umanità, ragione, cultura, impegno, curiosità, prospettiva, rispetto. Tanti di noi vogliono migliorarsi e non hanno sempre chiaro a chi ispirarsi. L’esempio di Stefano Rodotà è presente.
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