Nella complessità della vita contemporanea, i confini tra la concretezza e l’astrazione diventano più labili. Per esempio nel lavoro, nell’economia quotidiana. I mestieri, nella pratica, vanno imparati e soprattutto i giovani chiedono informazioni su come svolgerli bene. Ma tra le mille difficoltà del mondo attuale, per svolgerli bene occorre pensare, insieme, con la testa di chi li svolge, di chi li finanzia e di chi ne fruisce: è un salto di astrazione che serve alla concretezza.
È il caso del mondo della comunicazione, dell’informazione, della ricerca… I vecchi mondi che davano da lavorare a chi si occupava di queste cose sembrano in difficoltà, eppure c’è sempre più bisogno di queste cose. E quindi occorre svilupparle pensando con una mente aperta, che contiene sia il produttore che il fruitore. Il lavoro culturale è un problema culturale.
Nei giorni scorsi, sono stato al master di comunicazione della scienza a Padova. Mi sono accorto del fenomeno in modo molto pratico. C’è un pregiudizio pessimista: che non ci sia lavoro per chi presenti un curriculum che attesta la preparazione a svolgere il mestiere di comunicatore scientifico. Fare i comunicati stampa delle aziende o dei centri che fanno ricerca è un mestiere che incontra sempre più difficoltà, per la trasformazione dei giornali ai quali i comunicati stampa sono rivolti, per la quantità crescente e insostenibile di comunicati stampa che arrivano in continuazione ai giornali sempre meno numerosi e sempre peggio staffati, per la complessità del contesto economico, scientifico e culturale al quale quei comunicati dovrebbero dare un contributo di chiarezza e che invece rischiano di alimentare, aggiungendosi all’information overload…
L’impressione è che il gruppo di persone che vogliono imparare a comunicare la scienza debba evolvere in un progetto culturale più ampio.
Ci si deve rendere conto dell’influenza della struttura delle piattaforme che si usano per condividere l’informazione sul risultato informativo. Devono accettare il fatto che ogni gesto informativo è tale solo nel momento in cui è adottato dal pubblico che se ne dovrebbe fare qualcosa: l’informazione non esiste quando è inviata, ma quando è riuscita a conquistare un posto nel tempo, nell’attenzione e nel riconoscimento di rilevanza della comunità cui è rivolta. Si deve coltivare la consapevolezza del fatto che solo lavorando in un mondo di senso in cui si riconoscono produttori, finanziatori e fruitori di informazione si riesce a costruire una condivisione vera. E poiché siamo nell’epoca della post-truth, il metodo scientifico non si limita ad essere il sottotesto delle informazioni scientifiche ma è anche il messaggio di fondo della cultura che fa da contesto e da obiettivo per il loro lavoro.
La comunicazione della scienza non è più soltanto la funzione di chi trasmette i fatti prodotti dalla scienza a chi non li conosce. Si occupa del contesto culturale, combatte a favore di un atteggiamento aperto e orientato alla verifica fattuale delle ipotesi (non alla ripetizione delle credenze), spinge per l’accuratezza dell’informazione e per la curiosità intorno alle scoperte scientifiche.
(Nella foto, il Piovego è autunnale)
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