Il modello matematico che si usa per studiare la distanza tra aspettative e realtà è di solito basato sulla velocità. Ma dovrebbe essere basato sull’accelerazione. Questo cambia le previsioni e soprattutto la soddisfazione.
Per esempio. Le previsioni à la Mantellini sull’impossibilità di un contributo intelligente della politica italiana su internet sono basate su un metodo che prolunga il passato in una linea che prosegue verso il futuro. Non è una forma di scetticismo, è un metodo di previsione. (Che forse è migliorabile, ma questo lo vediamo dopo).
Il contesto teoretico di questo genere di “scetticismo razionale” è abbastanza chiaro: in passato, la politica politicante ha mantenuto alte le aspettative, ma le realizzazioni sono state deludenti. A fronte di questo fatto, per mantenere il controllo, si dovevano rilanciare le aspettative (magari cambiando governo) per allontanare di un po’ il momento della fatale delusione. Non è un modello che vale per il 100% dei casi: in qualche caso, mettiamo nel 2% dei casi, forse per errore, si arriva a una conclusione concreta e si apre la porta alla delusione. Il 98% della politica, dice infatti Mante, è una lunga chiacchiera che rilancia costantemente l’attenzione verso le aspettative e nasconde i motivi di delusione. Il 2% invece per qualche motivo esce dal circolo teatrale della politica ed entra nella realtà della policy: ma poiché siamo in Italia, dice Mante, nella maggior parte dei casi porta alla luce i motivi di delusione. Solo in casi sporadici arriva a un risultato soddisfacente. Proiettando in avanti questa esperienza non resta che astenersi dalla politica e dal tentativo di raggiungere qualche obiettivo, almeno nel settore che riguarda internet. E’ un approccio basato sulla linearità della velocità alla quale va di solito la politica italiana.
Coerentemente con questo approccio, Mante suggerisce di non fare nulla e aspettare che altri decidano. Questi altri per Mante sono all’estero (chissà se pensa all’Icann, all’Nsa, o ai regolatori degli stati stranieri oppure alle grandi piattaforme come Google e Facebook, questo Mante non lo dice). Degli italiani che oggi decidono sull’internet, come la Telecom Italia e gli altri grandi operatori, Mante non si cura, anche se sono proprio i principali generatori di alcune importanti regole sull’uso di internet in questo paese, per esempio quelle che regolano attualmente il diritto all’accesso. Questi operatori potrebbero fare altre regole se per esempio non fossero costretti da un regolatore a salvaguardare la net neutrality. Il punto a questo proposito è: se non le fa lo stato, le regole le fanno i privati e le piattaforme. Qualcuno le fa.
Inoltre, le cose non succedono in modo lineare, ma in modo geometrico. Se si apre un momento storico particolare, le nuove regole esplodono: ci si ricorderà di come, poco prima dell’avvento di internet, l’allora monopolista del servizio telefonico introdusse la Tut per far pagare le telefonate urbane a tempo. Quella regola rese molto costoso connettersi a internet con il modem, abbattendo le possibilità di un accesso universale a internet e aprendo la strada a nuove regole inventate da operatori che usavano l’interconnessione per offrire internet gratis in cambio di una quota di traffico di terminazione. Un esplosione di regole nuove, accelerate, avvenute in un particolare contesto storico, di fronte alle quali il regolatore pubblico non fece molto altro che deregolamentare e lasciar fare. Fu un grande momento positivo per internet, finito nella bolla, ma indubbiamente interessante. Le fase successive sono state scandite da altre accelerazioni: l’adsl, l’umts, l’avvento di Google, l’avvento di Facebook, l’internet mobile in versione Apple e poi Android, i cookies che seguono le persone ovunque vadano, l’Nsa… In un mondo fatto di accelerazioni, alcune tecnologiche, altre economiche, altre culturali, è improbabile che le previsioni basate sull’approccio lineare abbiano senso.
Che cosa se ne deduce sul piano delle regole pubbliche? Che sicuramente le regole pubbliche che inseguono i fenomeni non sono destinate a deludere, peggio: sono destinate quasi sempre a far danni. Sono invece interessanti le regole pensate per indirizzare proattivamente i fenomeni o per costruire un contesto di lunga durata per i fenomeni. L’approccio costituzionale è di questo tipo.
Ci sono fatti politici proattivi. Quando colgono i fenomeni interpretando i momenti storici di accelerazione. I casi in cui una policy proattiva ha modellato nuove opportunità non mancano. La normativa sulle startup, fatta da un ministro, uno staff adeguato, una task force (ne ero orgogliosamente parte), riunioni e consultazioni, un nuovo ministro con staff adeguato, un insieme di leggi e regolamenti attuativi portati a termine nel corso di un paio d’anni, ha effettivamente creato uno scenario nuovo per una delle questioni centrali anche per la realtà internettiana italiana: la possibilità di partecipare alla generazione di innovazioni con la logica delle startup. Se la gente della task force non avesse partecipato perché partiva da un approccio previsivo lineare la cosa non sarebbe venuta come è venuta. In realtà, l’approccio fu orientato all’interpretazione di un momento storico che avrebbe visto un’accelerazione di fenomeni e che poteva essere favorito da una normativa liberalizzante proattiva. Analogamente, per motivi diversi, è andata alla fatturazione elettronica, che potrebbe avere l’effetto significativo di facilitare l’accelerazione dei pagamenti della pubblica amministrazione ai fornitori. E se non ci avesse lavorato un’unità di missione (ne ero orgogliosamente parte) non sarebbe andata in fondo come è andata. I risultati delle azioni di una policy proattiva, insomma, possono avere risultati positivi. Quello che conta è valutare quei risultati in quanto tali. Se funzionano bene, se non funzionano male: ma questo è un lavoro da fare. Le probabilità che la policy riesca non sono pari a zero. Non è molto importante, invece, valutare i risultati delle policy in relazione alle aspettative elevate che si formano nel teatro politico. Anzi, varrebbe la pena di non considerare le aspettative per niente.
La grande politica è chiamata però a formulare una visione. E’ chiamata a cogliere i segni dei tempi e le accelerazioni che rendono possibile ciò che sembrava impossibile. Segni che giungono dalla società e dalla storia del presente, qualche volta anche dagli esperti, intellettuali, visionari che interpretano un momento storico e che contribuiscono per quanto sono capaci. Certo, non è detto che questi debbano stare nei tavoli. Se ci capitano non sarà certo per trasformarsi in qualcosa che non sono. Sarà casomai per portare le loro riflessioni. E sperare che servano a qualcosa. Le probabilità, nei momenti di accelerazione, non sono pari a zero. Imho.
Vedi anche:
Aspettative e realtà: la guida dell’Agid e tutto il resto dell’agenda
Gli intellettuali e il potere nel nuovo contesto culturale. Riflessioni molto personali
Gli intellettuali e l’ecologia dei media
Grazie Luca dei commenti.
Un paio di ulteriori precisazioni.
1 La constatazione dei risultati deludenti della politica delle reti in Italia contenute nel mio post non riguardano il futuro. Arrivano solo al presente. Ed il bilancio del presente non può essere che negativo e molto sbilanciato verso il peggio (a dispetto del numero modesto ma reale di iniziative costruttive che tu citi nella parte finale del post tutte riferite all’ultimo paio d’anni). Il futuro, detto banalmente, passa attraverso un ricambio della classe politica e non attraverso una sua impossibile illuminazione.
2 Chi sono secondo me gli altri che decidono, chiedi? Né Google o Facebook. ovviamente (apprezzo la punzecchiatura e il paradosso, grazie), e nemmeno Telecom Italia o gli altri operatori. Credo che l’UE, con tutti i suoi limiti (ma anche, estremizzando, le strutture di controllo come ICANN) siano infinitamente meno pericolose del legiferare sulla rete nostrano (parlo del processi parlamentari ma anche delle attività regolamentari di Agcom o del garante Privacy). Quanto a TI non mi pare che le telco in generale abbiano avuto in questi anni un grande influsso sulla politica delle reti (se escludiamo forse la legge Gasparri sul wifi di molti anni fa) e immagino e spero che continueranno a non averne troppo. In ogni caso anche qui la risposta è no, nessuna azienda privata deve condizionare le scelte culturale (perché di questo si tratta) dei cittadini.
3 Sull’approccio costituzionale la discussione potrebbe essere lunghissima, non la farò per l’ennesima volta. Dico solo che io semplicemente non ci credo. Ma a parte questo chiedersi come mai nessuno al mondo abbia idee del genere potrebbe forse aiutare a rimettere nella giusta ottica i temi in discussione e un certo nostrano e difficilmente spiegabile egocentrismo.
Per finire riferendosi questa volta al futuro: io credo debba esistere una scelta governativa coraggiosa che orienti il Parlamento sulla politica delle reti, che si faccia carico di un divario culturale che non è ovviamente solo dei cittadini ma anche dei parlamentari stessi ai quali spesso imputiamo atteggiamenti insensati che sono invece maggioritari nel Paese.
Cosa può fare oggi questa politica? Intanto – come dicevo – tappare le falle, poi investire sulla cultura digitale, e poi dettare una agenda di cose da fare conseguente.
Abbiamo alternative? Secondo me, nessuna.
baci
M.
grazie Mante.. sul punto 3 tieni presente che non è vero che nessuno al mondo abbia idee del genere.. il brasile ha perso la coppa ma ha fatto il marco civil.. al punto 2 ti segnalo quanto facciano le telco per cambiare la politica delle reti combattendo per l’abolizione della neutralità della rete (è la battaglia fondamentale)
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