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La scienza dell’immaginazione

Giuseppe Ungaretti si preoccupava nel 1953 delle conseguenze culturali dell’elettronica: un tempo l’immaginazione precedeva il progresso tecnologico; ma se le macchine generano innovazione che va più veloce dell’immaginazione e rispondono alle domande meglio delle persone, gli esseri umani finiranno col pensare come macchine e perderanno la loro dimensione poetica (vedi un post precedente con le citazioni).

Molti se ne preoccupano oggi (vedi la risposta annuale di Edge).

La risposta è probabilmente nell’accelerazione dello sviluppo dell’immaginazione. Si può fare prima di tutto migliorando le scuole, la formazione, le strutture dell’informazione (vedi la discussione sulla scuola e il fantastico discorso di Ken Robinson). C’entra con la dimensione del gioco (vedi Ortoleva).

Ma non è solo questione di spingere sull’acceleratore. E’ anche un tema di comprensione di come nei fatti si sviluppa l’innovazione. Il metodo fondamentale di chi sviluppa l’innovazione dimostrando i risultati migliori, come Roberto Cingolani e il suo IIT, guidano la ricerca sulla base di una consapevolezza di lungo termine e avviano i team che si occupano dei nuovi progetti dedicando sistematicamente il lavoro iniziale a una profonda riflessione e condivisione della visione.

Era particolarmente adeguato ascoltare Cingolani che spiegava questo metodo e ne esemplificava l’applicazione ai progetti di ricerca dell’IIT nel corso di Arte e Scienza a Bologna. Perché è chiaro che accostando la ricerca scientifica e la ricerca artistica si trova che hanno qualcosa in comune. E’ in una dimensione dell’immaginazione. Ed è certamente nel processo di elaborazione della visione: cioè nel momento in cui l’immaginazione allenata e concreta degli scienziati, degli innovatori, degli artisti, riconosce un’opportunità che sposta i limiti del possibile.

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  • Il temna dell’accellerazione è ormai il filo conduttore di ogni riflessione attorno alla torsione che il digitale impone al pensiero. Proprio il riferimento a Cingolani e alle sue realizzazioni di nanotecnologie ci indicano che siamo vicini ad una soglia di trascendenza tecnologica. Non molto lontana dai timori a cui alludeva Bill Joy, il vice presidente di Sun Microsystem in un suo saggio su Wired all’inizio del millennio, quando faceva intendere che con la progressione della legge di Moore nel campo dell’intelligenza artificiale entro il 20040 non saremo in grado di controllare le potenze generate.A quel punto non si tratterà più ne di arte ne di scienza ma di umanità. Il tema che si pone, sotto varie forme è ormai quello della negoziazione dell’algoritmo. Esistono forme e procedure che rendano i processi cognitivi sintetizzati in organismi digitali in qualche modo controllabili nella fase creativa? così come nel ‘900 la potenza industriale venne in qualche modo relativizzata dal conflitto sociale esiste oggi un soggetto in grado di confrontarsi in base a valori ed interessi sociali distinti dallo sviluppo tecnologico? Queste considerazioni potremmo già attualizzarle nel campo della comunicazione e del giornalismo, dove la transizione verso sistemi automatizzati avviene ormai in maniera esponenziale. Se come ci dice lev Manovich, ormai tutto il pensiero umano è formattato e supportato dal software chi e come pensa il software?

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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