Riportano che al Monaco Media Forum si è parlato molto di una possibilità della quale si cercano tracce da molto tempo. Pare che gli investimenti nella produzione di contenuti siano destinati ad aumentare. Perché si stanno chiarendo i nuovi connotati del mercato più complicato della rete. (PaidContent)
Non stiamo parlando di piattaforme per i contenuti. Ma proprio della produzione di contenuti. Sette tendenze individuate (e sette perplessità allegate):
1. Branded content
Nuove forme di pubblicità appoggiate su contenuti che cercano contemporaneamente di essere credibili e favorevoli alle aziende inserzioniste. Vere e proprie collaborazioni che cercano di essere leali nei confronti del pubblico e nei confronti delle imprese. Può essere possibile solo nel caso che le aziende sappiano limitarsi da sole nella volontà di intervenire sul contenuto, sappiano comprendere che la credibilità non si paga ma si conquista.
2. Social professional content
Gli esperti che si trovano attraverso le reti sociali si riconoscono e meritano un pagamento, perché emergono per qualità nell’oceano di segnali amatoriali. Questi professionisti però devono mettersi al servizio del pubblico, seguire i loro pezzi con attenzione nei social, farli viaggiare e rispondere alle sollecitazioni che arrivano dalle reti sociali.
3. Content marketplace
I produttori di contenuti ascoltano la rete e le reazioni del pubblico, offrendo immediatamente approfondimenti e nuove informazioni intorno agli argomenti che si dimostrano più interessanti. A questo proposito la perplessità riguarda il fatto che inseguendo le reazioni immediate del pubblico si rischia di sottovalutare le cose importanti a favore delle cose interessanti.
4. Mobile reading
In un contesto mobile i contenuti si leggono più spesso e possono conquistare lettori paganti. Non è una vera e propria novità. Per riuscire molti editori si accontentano di vendere pacchetti di contenuti in bundle con altri servizi, come gli abbonamenti telefonici. La vendita diretta di contenuti sembra ancora legata al concetto di libri, piuttosto che a quello di giornali. Ma il movimento è in atto.
5. Content e commerce
A quanto pare, il contenuto che accompagna alla scelta di acquistare online è piuttosto quotato e capace di conquistare attenzione e credibilità. Il web non sarà mai ricco con la pubblicità, ma collegandosi con le vendite dirette di prodotti può aumentare l’arpu dei lettori.
6. Pagamenti mobili
Nuove forme per i pagamenti avanzano. E il costo delle transazioni è destinato a diminuire. Questo apre uno spazio vero che prima era frenato. Ma occorre saperlo sfruttare.
7. Costi in ribasso
Tutto questo può valere qulcosa a una condizione fondamentale: le strutture dei costi devono essere molto più basse di quelle che si potevano permettere gli editori di una volta. Ed effettivamente le strutture dei costi dei nuovi editori sono molto più basse. La perplessità è questa: fintantoché si abbassano i costi di piattaforma il passaggio è chiaramente positivo, se questo si riversa sui costi dell’autorialità tende a essere limitante.
Per i giornali cartacei, il passaggio è doloroso, evidentemente. La singola mossa che aumenta la redditività è ridurre la carta che viene stampata, visto che non c’è più la pubblicità che prima motivava vaste foliazioni. E la sua conseguenza è lo spostamento di una parte del servizio che era cartaceo nel mondo digitale con una logica che consenta di far pagare l’accesso. I notiziari attuali online sono destinati probabilmente a restare gratuiti, anche perché di pubblicità ne trovano ancora. Ma i nuovi servizi emergenti dallo spostamento verso il digitale di ciò che non ci sta più sulla carta. E gli allegati che veramente la gente vuole leggere su carta andranno riconfigurati in modo che abbiano un prezzo adeguato al costo. La logica degli abbonamenti sarà sempre più importante di quella dell’edicola. E la connessione tra lettura mobile e approfondimenti a pagamento sarà sempre più importante: soprattutto i tablet andranno coltivati per questa funzione visto che appaiono in grado di offrire un servizio che la gente vuole usare per un tempo abbastanza lungo (i giornali sul web sono letti troppo in fretta per meritare un pagamento, i giornali su tablet forse riescono a ottenerlo se sono fatti davvero bene). Ma tutto questo è solo un insieme di ipotesi: la vera storia è che l’editoria diventa un artigianato sperimentale, non un’industria lineare alla vecchia maniera. E diventa sempre più internazionale, nonostante le persistenti divisioni linguistiche dei mercati. Intanto, nuovi editori non cesseranno di affacciarsi sul mercato partendo da strutture di costi già contenute by design. E per gli autori si tratterà di coltivare una competenza e una consapevolezza allargata anche alle strutture mediatiche e di business adatte al nuovo contesto.
Maybe content is king and context is emperor, but the public is a Republic.
ps. Ecco perché, invece, il venture capitalist Fred Wilson della Union Square Ventures, non investe in contenuti (GigaOm).
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[…] sta andando la comunicazione? Nel suo blog Luca De Biase commenta alcune tendenze emerse durante il Monaco Media Forum che potrebbero essere […]
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[…] aver capito male – è troppo “orientata al mercato”; il punto di vista di un Luca De Biase di un paio d’anni fa – che poi è anche la risposta che sento di dare – può […]
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