Carlo Rognoni e Paolo Gentiloni introducono un convegno organizzato dal Pd sulla televisione nell’epoca di internet. «Un governo italiano non può non pensare a questo tema» dice Rognoni. «I temi della concentrazione del potere e del ruolo del servizio pubblico non sono archiviati di fronte all’enorme cambiamento generato da internet» dice Gentiloni. «Ma ne sorgono di nuovi. L’allocazione più intelligente dello spettro delle frequenze. Il modello di business dei contenuti. Il copyright. La protezione dei dati».
Augusto Preta conferma che il motore dell’innovazione è internet. E osserva che alla luce dei cambiamenti introdotti da internet nella televisione si sta combattendo una battaglia globale tra i grandi player: quelli che fanno tecnologie e piattaforme digitali per conquistare spazi nella struttura televisiva del futuro e i broadcaster che devono ridefinire la loro posizione di mercato. Il punto è che stiamo parlando di un’offerta non lineare (cioè senza palinsesto lineare). Cioè di una modalità di fruizione della televisione completamente diversa da quella tradizionale. In questo contesto i broadcaster hanno punti di forza e di debolezza: sono deboli per la loro tradizionale mancanza di flessibilità, ma hanno il vantaggio di avere una solida base di abbonati, hanno contenuti pregiati, sono bravi ad aggregare i contenuti in modo che siano graditi agli utenti. Problemi: net neutrality, copyright… I giochi non sono fatti. Si fanno ora. Le somme si tireranno forse tra un paio d’anni. Dalle decisioni che i broadcaster prendono oggi dipende il loro futuro.
Leonardo Chiariglione passa a Nicola D’Angelo in attesa di avere un aiuto per installare sul computer la sua presentazione.
D’Angelo: «Non sono così convinto che oggi siamo capaci di prevedere gli scenari che si realizzeranno in futuro. Non abbiamo ancora colto l’effetto della congiuntura economica. Se la crisi per esempio blocca la nuova larga banda cambia anche la possibilità di immaginare il futuro. Lo sviluppo tecnologico non è necessariamente indipendente dalle regole: le regole invece danno la forma al sistema delle piattaforme internettiane. La rete non si è sviluppata fuori dalle regole: aveva le sue regole. E poiché il tema delle regole è centrale siamo indietro – si veda la mancanza della tv via cavo dovuta ai monopolisti telefonici che l’hanno impedita: con una conseguente arretratezza del mercato dei contenuti. Se non sappiamo quali saranno le regole non sappiamo quale sarà lo scenario. E poi, internet produce un nuovo problema per il servizio pubblico: internet offre ogni opportunità di accesso ai contenuti di orientamento pubblico ma crea nuovi bisogni di servizio pubblico; per esempio si può migliorare la qualità e l’affidabilità dell’informazione sulla base del lavoro giornalistico del servizio pubblico? E anche il livello minimo di servizio va pensato: il servizio pubblico se ne dovrebbe occupare? Quindi il servizio pubblico deve occuparsi di accesso? E se i contenuti di mercato vanno nella direzione del pagamento per l’accesso, il servizio pubblico deve continuare a garantire contenuti di qualità e che restano gratuiti? E poi non dovrebbe, il servizio pubblico, favorire la produzione digitale nazionale? E non è detto che il servizio pubblico vada svolto solo da un soggetto: il servizio pubblico può essere messo a gara? Ma teniamo presente che le grandi piattaforme hanno forza molto più grande di quella dei broadcaster e della Rai. Teniamo dunque presente che le regole antitrust più serie. Le regole insomma sono fondamentali per comprendere come sarà il futuro. E le regole devono essere pensate per l’insieme dell’ecosistema digitale». (già…).
Nicola D’Angelo non dimentica una nota fondamentale. «La neutralità della rete, una regola che garantisce che la rete non può discriminare i contenuti che passano, è necessaria. E dunque dobbiamo garantire una quota di banda a best effort e neutrale che mantenga in funzione un’area della rete che non si può gestire in modo distriminatorio».
E termina con un suggerimento al governo: «Quando si pensa all’agenda digitale non si può non pensare a come far crescere le piccole e grandi aziende nazionali che operano nella rete digitale».
Leonardo Chiariglione parla di storia del copyright. Dice che molti autori da duemila anni a questa parte hanno combattuto i plagiari e richiesto protezione per i loro diritti sulle loro opere. Ma lo stato ha concesso loro un privilegio sempre e limitato nel tempo. Da qualche tempo, però, gli stati occidentali non fanno che aumentare la lunghezza del copyright e moltiplicare le nuove leggi a protezione del copyright. Con risultati molto dubbi. «Adesso basta», suggerisce Chiariglione. Ma le cose sono sempre più complicate. «Finora erano gli editori a chiedere protezione per il copyright. Ora anche le aziende informatiche stanno diventando media company e cominciano a collaborare anch’esse alla tensione attorno agli interessi del copyright. E gli italiani? Dovrebbero sviluppare soluzioni che siano favorevoli alla loro economia: in passato avevamo presentato Digital Media in Italia. Le cui idee sono ancora valide». (vedi il sito Chiariglione e Dmin.it). Insomma: Chiariglione propone una piattaforma italiana intelligente che favorisca la capacità creativa economica italiana e le piccole imprese che si possono sviluppare con i media digitali, i micropagamenti, le forme di protezione ragionevoli del copyright.
Ragazzi avete visto che prima puntata pazzesca per “The River” su Sky Uno? http://www.facebook.com/theriversky?sk=app_190322544333196