Internet ha dato una spinta straordinaria alla nostra capacità di fare le cose insieme. La memoria si costruisce collettivamente (e la strategia di memorizzazione si affida al “collettivo” che produce ciò che si trova con Google e Wikipedia); l’informazione si scambia (e quello che sappiamo su come stanno le cose dipende sempre più da quello che passa nel nostro grafo sociale); lo stesso atto creativo e inventivo diventa un processo che si struttura sulle relazioni tra chi propone un’idea e chi la usa conferendole senso (forse è sempre stato così, ma la logica della versione beta è oggi più che mai una realtà).
Mentre dedichiamo un sacco di tempo alla comprensione di questa dimensione collettiva che stiamo costruendo, siamo meno attenti a quello che succede alla dimensione individuale. E quando ci pensiamo ci viene un leggero panico. Come se l’individuo soffrisse perché teme di sciogliersi nella comunità.
L’identità e la coscienza personale, la qualità delle relazioni tra “me” e “noi”, il rapporto con la storia e l’ambente nel quale viviamo come soggetti individuali, sono però elementi fondamentali della nostra ricerca della felicità.
Dedicare più tempo a riequilibrare la dimensione individuale, in arretramento, con la dimensione collettiva, in avanzamento, è un bisogno emergente. Purché sia svolto cogliendo l’occasione della meravigliosa crescita della dimensione sociale e non contrastandola antistoricamente.
Secondo me, il progetto del riequilibrio parte da alcune pratiche “terapeutiche” che riguardano:
1. storie: la nostra capacità di raccontare e ascoltare storie; le storie sono uno dei ponti tra il collettivo e l’individuale ma offrono un percorso lineare tra le vicende, dunque coincidente con la struttura “analogica” della persona, che decodifica più facilmente una vicenda lineare che una vicenda complessa.
2. progetto: la nostra capacità di coltivare visioni e realizzarle, quindi di essere soggetto e non oggetto del cambiamento, si coltiva praticando il progetto, il design.
3. sperimentazione: l’unico modo che abbiamo per convivere con il dubbio, l’incertezza, l’ignoto è trattarlo da ricercatori; dunque sperimetando; e vivendo l’esperimento con una mentalità (se non una metodologia) scientifica.
Per la stessa serie:
intelligenze collettive
individuo e comunità a firenze
individuo e comunità: io e noi…
mi vengono in mente Lifton e Valkenburg …
” Si vivono così mutevoli forme di coscienza, Io proteiforme (R.J.Lifton), flessibile, capace di adattarsi continuamente alle nuove circostanze (on-line)…un Digital Io …
esplicitando le possibili forme dell’auto-racconto del sè, o sviluppando nuove relazioni qualitativamente significative
( Valkenburg,Peter)”
Prof Daniele Pauletto
http://mentelab.blogspot.com
Complimenti articolo bellissimo.
Consiglio la lettura di http://www.blogtherapy.it