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Il paesaggio della conoscenza

A Digital Accademia si discute della forma dell’ambiente che stiamo costruendo. Conosciamo la storia del paesaggio agrario. Abbiamo l’esperienza del paesaggio industriale. Ma che forma avrà il paesaggio dell’epoca della conoscenza?

Le aziende che lavorano su internet sono tutt’altro che prive di geografia. Le persone vivono sul territorio. Le iniziative che creano, nel territorio, diventano generazione di idee, relazioni, scambi di conoscenza. Riccardo Donadon con la sua H-Farm dimostra che il luogo è una piattaforma generativa. Come dicono anche all’Ocse, la globalizzazione non è più vista come omogeneizzazione del pianeta, ma come competizione tra i territori. E i territori competono puntando sui motivi della loro unicità.

Questi motivi di unicità, che sostanziano il valore e la competitività dei territori, sono profondamente legati alla conoscenza incarnata nelle persone che agiscono nelle piattaforme territoriali e sedimentati nella storia scritta sul territorio dalle persone che vi hanno vissuto.

Renata Codello, soprintendente ai beni artistici, architettonici e paesaggistici di Venezia, racconta la sua funzione che a sua volta si trasforma. Il suo lavoro era concentrato sulla cura dei “vincoli”: come riesce a trasformarli in opportunità? «Il paesaggio è una sequenza infinita di domande di tutti i tipi. Superiamo l’idea di paesaggio come contenitore. E del resto il senso e l’impronta data da Venezia al paesaggio non è mai stato contenuto all’interno di confini precisi».

Continua Codello: «Essere qui, per me, è una liberazione. Corriamo rischi chiarissimi se continuiamo a pensare che la pianificazione del territorio sia possibile, mentre è chiaramente frutto di un pensiero fallito. Il paesaggio non è l'”antico”, è un sistema di interrelazioni che si percepisce come valore identitario: perché è capace di creare valore condiviso. Il Veneto è ricco di storia, come sappiamo, ma è anche una regione che consuma il territorio in modo primitivo. L’idea di sviluppo è stata equivocata con il consumo illimitato di risorse comuni. E molte infrastrutture si sono fatte senza consapevolezza del territorio. Questo più che consumo è saccheggio. Lo stesso sviluppo industriale veneto, basato sulle piccole e piccolissime imprese – casa e capannone – che hanno occupato il territorio e trasformato una regione dalla quale prima si emigrava, ha forse fatto la sua epoca. Dobbiamo pensare a un nuovo equilibrio. I centri storici non bastano a garantire un senso identitario. La costruzione del paesaggio che immaginiamo per il futuro è diventata più complessa: il rapporto con la natura e la percezione che il luogo è in grado di produrre sulle persone sono atti di cultura. La contemporaneità ci dice che questa costruzione del paesaggio come atto di cultura dipende dalla ricostruzione della prospettiva di futuro. Nell’epoca della conoscenza i luoghi più complessi sono quelli nei quali si possono creare le soluzioni eccellenti. Venezia è la città più contemporanea del mondo, è relazionale per definizione ed è il luogo nel quale le persone tornerebbero a vivere». Se l’epoca della conoscenza che crea la domanda di quello che Venezia può offrire, Venezia deve darsi un’economia della conoscenza per poter offrire spazio a chi vorrebbe venirci  vivere.

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  • . . .Occorre tirarsi fuori dal fosso / per i propri capelli
    Rovesciare se stessi / da dentro in fuori
    Ed essere capaci di vedere / ogni cosa con occhi nuovi. . .
    gli “occhi nuovi” (come ha detto la brava sacha al convivio) sono dote indispensabile x tirarsi “FUORI DAL FOSSO” e vedere “. . .tra una selva di capannoni dello sprawl. . .” l’ unico albero di ciliegie.
    E se ancora non c’è, PIANTARLO!

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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