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Felicità con misura

La misura della felicità è oggetto di uno studio dell’Office for National Statistics britannico. L’inadeguatezza delle misure tradizionali è ormai evidente. Il Pil non è più la bussola della quale la gente avverte il bisogno. Ma sostituirlo resta un problema enorme.

E’ un po’ come un sistema operativo standard di fatto: difficile sostituirlo anche quando ce ne sono in giro di migliori, a causa dell’effetto-rete.

L’Office for National Statistics propone molte considerazioni importanti e dimostra che l’elaborazione è in corso (via Vincos). E mette a disposizione una well-being knowledge bank, con reports e working paper.

Il bello è il punto di partenza: vogliono arrivare a un set di misure che siano riconoscibili come davvero importanti per la popolazione.

Si parla dei bambini, dell’ineguaglianza, della salute, dell’equilibrio tra lavoro e vita sociale. E molte altre cose.

I numeri offrono un modo fantastico per raccontare i fatti. Purché appunto i concetti che misurano siano comprensibili, interessanti, vicini a chi li usa, orientati a fornire una prospettiva d’azione che sia davvero importante.

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  • Attenzione a gettare panico in assenza di certezze. Il PIL è assolutamente adeguato perché fornisce una misura calcolata con dati certi. L’indice di felicità considera percezioni soggettive, può dire tutto e niente se non viene trattato adeguatamente durante le fasi di analisi con adeguate ponderazioni. Va altresì detto che le variabili considerate dal PIL potrebbero risultare le stesse che descrivono lo stato dell’arte nell’indice di felicità, quindi idonee per misurare la realtà sotto osservazione.
    Serve tempo, serve cautela.

  • @Daniele: confesso di non aver ancora guardato il lavoro inglese. Però in linea di principio, un indice della felicità non è necessariamente una cosa così soggettiva. Misure oggettive della “felicità” o meglio del benessere ci sono e sono ben note. Ad esempio la speranza di vita, (meglio la speranza di vita in buona salute, calcolata dall’OMS), tassi di malattie croniche o del lavoro, differenza fra il livello di istruzione maschile/femminile, e potrei continuare.
    Tutti indici che mostrano già da tempo un noto fenomeno: sono strettamente correlati all’andamento del PIL pro-capite fino ad una certa soglia di PIL (insomma,, finché un paese è relativamente povero, se cresce il PIL migliorano anche questi indici). Poi, mentre cresce il PIL, quelli cominciano a crescere meno o addirittura a peggiorare.

  • @Corrado, non voglio sfatare l’enfasi attorno agli indici delle felicità, tengo solo a precisare – da stastistico – che non è tutto oro quello che luccica. I problemi da risolvere sono tanti, se manca anche una certa preparazione di fondo si rischia di fare tiro al piattello.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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