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Editori e piattaforme

Stefano Quintarelli propone una discussione sull’evoluzione dei concetti di editore e piattaforma nel passaggio dal web 1.0 al web 2.0.

Le funzioni sono relativamente chiare:
1. La piattaforma è un sistema tecnologico che consente di pubblicare, trasmettere, far pagare, raccogliere pubblicità, personalizzare, cercare… ecc ecc… Una sorta di mix di connessione, hardware, sofware, organizzazione e offerta commerciale.
2. L’autore è chi crea l’opera e dunque ha originariamente il diritto d’autore
3. L’editore è chi acquista i diritti degli autori e li rivende (direttamente al pubblico o indirettamente alla pubblicità), pagando la piattaforma e gli autori.

Dimentico qualcosa?

Le piattaforme si trasformano nel senso di facilitare tutte le operazioni. Quella più evidente con il web 2.0 è la facilitazione della pubblicazione, ma ce ne sono molte altre meno evidenti. Con la grande facilitazione alla pubblicazione offerta dalle nuove piattaforme, gli autori si sono moltiplicati e hanno spesso trovato il modo di interagire direttamente con il pubblico saltando gli editori tradizionali. Le piattaforme si sono appropriate della funzione di monetizzazione pubblicitaria (e in qualche caso anche la vendita di contenuti). In quel momento sono diventate editori? Secondo la definizione riportata sopra: no, se lasciano agli autori la piena disponibilità del loro diritto d’autore facendo solo da marketplace; sì, se acquistano il diritto d’autore e lo rivendono. Quando diventano editori hanno le responsabilità degli editori. Quando sono piattaforme vale la regola del commercio elettronico. Imho.

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  • Salve, ringrazio Stefano Quintarelli per le preziose riflessioni e lo invito a conoscere il progetto Net1News.org: la piattaforma diventa editore, i giornalisti diventano editori e partecipano agli utili. Ci faccia sapere cosa ne pensa.
    Grazie
    Giuseppe Rizzo
    Net1News project

  • la società digitale sta evolvendo in forme di economia immateriale,
    in economie digitali basate sull’abbondanza delle risorse disponibili, e non sulla scarsità,quindi
    sul gratis di Chris Anderson,
    (difficile, da accettar ),
    le informazioni e i contenuti, al di là di chi li produce, sono gratis non monetizzabili …
    anche perchè l’autore tende a sparire,
    l’informazione web2.0 una volta pubblicata evolve e subisce trasformazioni/elaborazione dal basso da molti utenti, wikipedia insegna …, andando a perdersi l’origine, l’autore,
    è l’editore …
    Mentelab

  • Io credo che il passaggio significativo, al di là di 1.0 o 2.0, sia sempre legato al ruolo della tecnologia: se è puramente autoreferenziale (si programma per programmare, si lanciano servizi tanto per lanciare servizi) allora l’utilità e la reale efficacia vengono brutalmente mortificate, viceversa se si progetta con in mente l’obiettivo e soprattutto il modo d’uso che si farà della tecnologia in questione allora cambia tutto e il progresso si tocca con mano. Facebook, Wikipedia e via così hanno raggiunto un simile successo perchè hanno permesso a TUTTI di poter approcciare in un modo pratico, veloce e con ritorni (soddisfazione personale, possibilità di imparare, dialogo con simili) molto alti.

  • In parte è vero, ma c’è anche una contaminazione contemporanea anche con il Web dei dati, oltre al Web2.0 in effetti.
    Stanno nascendo piattaforme che sono parte dell’ecosistema dell’open data, dove invece l’origine e il flusso di dati ed il modo in cui sono aggregati si puo’ tracciare, almeno potenzialmente. E comunque dove è importante iniziare per primi, perchè si diventa poi sempre più forti.
    Non solo contenuti, ma anche dati direttamente.
    In un certo senso si introduce un nuovo livello sia come editori, che come fruitori.
    E non a caso sia il New York Times che il Guardian hanno applicato tale innovazione, senza forse ancora comprendere del tutto dove va a parare questa nuova contaminazione.
    -> http://www.titticimmino.com/2009/09/30/linked-data-al-new-york-times/
    -> http://www.guardian.co.uk/open-platform
    Con possibili nuovi modelli di business:
    -> http://www.chiefmartec.com/2010/01/the-8th-linked-data-business-model.html

  • beh, può essere che tutto dipenda (come sempre) dalle prospettive.
    Che sono già (da tempo) andate ben oltre le grandi innovazioni del 2.0
    Tra non molto il mondo sarà (lo è già) pieno di display, di luoghi, di corpi e di oggetti su/in cui pubblicare. L’informazione sarà corpo, forma, percorso, peso, attrito, emozione, battito cardiaco. Il nostro corpo sarà un wordpress. Il barattolo dei pelati sarà un typepad. Twitter sarà embedded dentro ogni svolta della strada.
    In quel contesto ogni forma di pubblicazione cambierà.
    Quest’area di analisi, seppur interessante per le attuali necessità del business, della legislazione e della società, è in realt già diversi passi indietro.
    Teniamo conto che, grazie ai dispositivi di fabbricazione remota, oramai in procinto di diventare accessibili economicamente e “sufficientemente” plug’n play, l’idea del “pubblicare” sfocierà anche nell’ipermaterialità della produzione materiale: cosa succede quando io, “strano editore” del 2015, ti vendo un tavlino di ikea inviandoti un modello 3D da “stampare” e mettere in salotto? O quando pubblico info sul tuo corpo? O quando il mio prodotto non è un libro, ma una narrativa o un flusso di informazioni disseminato nel territorio.
    C’è già chi inizia: in grande, come ad esempio Google goggles; o in piccolo, come l’italiana FakePress, che pubblica info su sostenibilità, ecologia ed economie alternative e collaborative direttamente sui loghi dei prodotti, tramite un sistema di computer vision su smartphone.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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