Nel quadro dei due dibattiti contemporanei che stiamo sviluppando, tendiamo ad approfondire il tema della libertà di espressione e informazione, da una parte, e, dall’altra, la questione della crisi dei diritti degli autori e del business degli editori. Non si parla quasi mai, se non indirettamente dei diritti dei lettori.
Ma perché occuparsene? Si potrebbe in effetti lasciare al “mercato” il compito di risolvere la questione. i lettori dedicano il loro tempo e qualche volta i loro soldi a qualche particolare pubblicazione e lo fanno consapevolmente e a loro rischio e pericolo. Questo però sottovaluta le forme di sottile manipolazione che le varie forme di pubblicazione possono mettere in atto.
A questo proposito si potrebbe pensare a una soluzione che non limiti la libertà di espressione e salvaguardi la qualità dell’informazione al servizio dei lettori. L’idea: chi pubblica per informare e vuole prendersi una responsabilità per il diritto dei lettori dichiara quale metodo segue per fare la ricerca su ciò che scrive e/o quale sistema di valori lo conduce a stabilire la sua linea editoriale. Se il testo prescelto per questa dichiaraione fosse basato su uno tra molti possibili template standard e se quei template fossero abbastanza pragmatici e fattuali, quel punto la pubblicazione si assumerebbe una esplicita responsabilità su ciò che ha promesso di fare per i lettori. Ma guadagnerebbe in serietà e affidabilità. Almeno fintantoché fosse coerente con la propria linea editoriale. L’accountability nelle pubblicazioni potrebbe essere un progresso. Ovviamente tutto questo sarebbe volontario. E tanto più utile quanto più pragmatico. (Difficile dirne di più, scrivendo sul cellulare, dalla sala dell’Sts di Kyoto).
Stai proponendo alla fine una peer review (altrimenti dovresti perare che ogni ettore vada a controllare che le fonti siano affidabili e non sano state manipolate, pensa a quel che si riesce a far dire ai sondaggi semplicemente clusterizzando le risposte o manipolando il campione…). Penso sia impossibile farla funzionare, se non altro per i tempi che richiederebbe (senza considerare che anche la peer review può essere aggirata e ingannata, se leggi Nature avrai visto la raffica di articoli sulle frodi nelle pubblicazioni scientifiche, se ne parla anche nel numero corrente). E poi, chi ti dice che ai lettori (la maggioranza dei lettori) interessi veramente ? Se hai visto l’intervista manipolata del Prof. Gian Luigi Gigli, con i taglia e cuci che gli fanno dire il contrario di quello che ha detto, cosa nota e conclamata, non mi sembra che “Annozero” sia stata abbandonata in massa da spettatori disgustati….
@Luca, vorrei SOTTOLINEARE una cosa sulla quale io e lei ancora non ci intendiamo – ma non sto alzando la voce – sono unicamente convinto e deciso su quello che affermo: una cosa è INFORMARE – una cosa è FORMARE – il business per il quale lavora lei ( il suo giornale fa eccezione
come il WSJ o il FT ) la notizia, l’articolo, il pezzo … roba che dura 1 ora o 2 al massimo NON C’E’ PIU’ … E’ SALTATO perché adesso è gratis ( e non metto in mezzo la memetica ) – ciò su cui si deve lavorare è la FORMAZIONE – è lì che occorre solo la qualità.
Ecco … lei lo dice a chiare lettere: benedetto Iddio: serietà e affidabilità.
L’informazione è fatta di copia e incolla – posso dirlo o si offende ?
La formazione è artigianato / un mazzo così per scrivere 4 parole che resistono.
L’informazione è quel pane che appena sfornato dopo un paio di ore è già stantio / la formazione è far lievitare ( ‘o crisct ) l’impasto in un madia per una notte intera e informare al mattino.
La soluzione gliel’ho dettata / e non me ne vanto !
Le cose gliele ho dette / il flusso lo conosce abbastanza bene … prende
la decisione / facciamo un esperimento !
E’ inutile che cerca una soluzione / NON LA TROVERA’ / S’ILLUDE / io che compro tutti i giovedì ( noi tutti ) siamo la sua salvezza ma ormai ne sappiamo quanto lei se non più di lei e dobbiamo parlare / intervenire / il Castello non c’è più / l’Innominato è sceso a valle senza fucile / noi lettori valiamo la salvezza dell’informazione che giocoforza deve convertirsi alla formazione.
Buonnnnna notte a me e buon lavoro a lei.
Vincenzo
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Immaginavo che prima o poi l’accountability, anche se con standard tutti da formulare sarebbe caduta come ombrello di salvataggio sull’informazione.
Nel periodo in cui ho lavorato per la declinazione della norma AA 1000 ci ho creduto anch’io.
Detto a malincuore, l’eccezione che pone Marco credo sia fondata. E’ già complesso per settori che la valutazione dell’offerta risulta oggettivabile, trattandosi di beni di consumo in fondo. Il metodo per affrontare la defezione di credibilità, anche ci fosse (e ci deve essere) non garantisce che ciò venga effettivamente riconosciuto, se non dai pari. Superato lo scoglio dell’asimmetria, ho seri dubbi che sia proprio quello il fattore che abilita l’interesse dei lettori. Famoso trade-off dell’importanza con l’interesse. E’ improbabile che un lettore si ponga questioni di metodo epistemologiche, sia preparato a distinguerle e ne apprezzi il valore conoscitivo. Il controllo della validità passerebbe per meccanismi istituzionali, l’Ordine o i giornalisti stessi.
Questo sarebbe possibile anche ora e senza dichiarazione d’intenti “certificata”. Nel meccanismo della “qualità dichiarata” gli incentivi-disincentivi non attengono tanto il mandato dell’organismo di verifica delle conformità (troppo costoso sarebbe) ma il meccanismo della concorrenza tra pari, gli editori o i giornalisti. Non sostengo che non possa esser meritevole, ma soltanto che sia difficilmente fattibile e risolutivo.
Pratica della navigazione allo scopo di assalire e depredare navi e popolazioni costiere,