La musica è più avanti di tutti i vari comparti dell’editoria nell’adattamento alla rete digitale sociale. E le considerazioni di Rafat Ali vanno lette anche in questo senso. C’è da imparare per tutti, compresi i giornali.
1. Comunità strette intorno agli artisti, non ai loro editori
2. Piattaforme sulle quali può succedere di tuttto, non un solo modello di business
3. Nuovi servizi, da scoprire e sperimentare.
Dalle ristrutturazioni prospettate con tagli di personale, e dalla seguente necessità di alcuni giornalisti di ricollocarsi, le iniziative sperimentali privilegiano la facilità organizzativa dei secondi. L’esperienza oltreocenano testimonia quanto i giornalisti neoeditori possono beneficiare di molte skills da mettere in atto. Alcuni potrebbero erogare servizi editoriali all’editore stesso ma a prezzi più contenuti del pregresso costo fisso, con la differenza che tale attività sarebbe una delle tante fonti di ricavo. Anche perché a quel punto l’ipotetico giornalista, diversamente da come viene lamentata la questione, non avrebbe alcun problema a riqualificarsi con l’abito delle relazioni pubbiche, sopratutto con i media. Ammesso e non concesso che non sia il giornalista stesso a darsi dei limiti deontologici preclusivi. Se addirittura il Washington Post (notizia diffusa dal blog Politico), aveva predisposto un servizio eventi di intermediazione tra lobbisti, ceo e Casa Bianca a suon di 25.000 $ a sponsor, poi annullato chissà se per la diffusione dei rumor o per le prese di distanza dei giornalisti che dovevano moderare il tutto.
Per un editore sarà più facile organizzare tali eventi, di contro ci sono gli alti costi e il rischio di perdere la faccia, ciò che non avrebbe un team di ex giornalisti.
è molto istruttivo l’esempio di MTV, grande media mainstream entrato in crisi con la rivoluzione digitale e la disintermediazione. Mentre la rete televisiva ossessionata dalla “linea editoriale” escludeva i video non in linea e quindi di fatto imponeva un filtro alla diffusione di nuovi talenti non-MTV branded, le etichette cominciavano ad utilizzare sempre di più YouTube e altri canali per lanciare nuove band o artisti trovando grande accoglienza nel pubblico teen ager e non che di fatto ha abbandonato il modello lineare (rete televisiva – veejay – utente) per un modello interattivo (utente, inteso anche come editore o etichetta – web – utente) dove non esiste filtro e tutto giunge a tutti coloro che sono interessati ai generi musicali più diversi senza un palinsesto predeterminato e soprattutto senza l’intermediazione filtrata di qualcuno che decidesse cosa è “cool” per l’utente.
Lo stesso presto avverrà con le radio. Spotify lo sta dimostrando.