Salvatore Iaconesi e Oriana Persico hanno costruito uno spazio di meditazione sulla malattia e la cura, la morte e la vita, l’ospedalizzazione e la socializzazione. Dove si vede che ciò che vale la pena di essere vissuto è plurale: non collettivo-individuale ma intersoggettivo. La storia è affascinante. Gli autori hanno trasformato la procedura del trattamento del cancro in una performance che ha ridefinito i ruoli di medici, paziente, infermieri, amici, parenti, tecnici, artisti, offrendo a ciascuno un ruolo attivo, rispettoso e connesso. Suggeriscono che cosa diventa la cura nella società della rete. Suppongono che questo abbia conseguenze politiche. Di certo dimostrano che la riflessione attiva sui diritti umani nell’era tecnologica è un gesto di felicità per la vita.
Gli autori erano ieri al Festival del giornalismo di Perugia.
[…] tra discipline diverse e a una partecipazione plurale, un “plurale – come dice De Biase – non collettivo-individuale ma […]