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Stretti tra il Grande-Wow e l’Enorme-Chissenefrega

L’iperbole che ha preso il sopravvento nella comunicazione dell’innovazione ha superato il limite dell’intelligenza un po’ dappertutto, è progettata con molta professionalità – e parecchia ideologia – negli Stati Uniti, ma è particolarmente stridente in un paese poco attento e poco attivamente critico come l’Italia.

Qualunque comunicazione basata sul Grande-Wow tende a generare più attese che realizzazioni, dunque è fatalmente destinata a causare delusioni, obbligando chi la pratica a rilanciare costantemente dichiarando e raccontando storie sempre più incredibili. Quando è gestita da chi attivamente fa le innovazioni, serve a farle adottare e ne garantisce almeno in parte il successo. Quando è praticata da chi non fa innovazione ma si limita a cantarne le lodi, ha l’unico effetto di spingere al consumo passivo. Di certo non insegna il passaggio all’azione che richiede grandi capacità oltre che un po’ di entusiasmo. In questi luoghi non genera progresso ma dipendenza e finisce per alimentare il suo contrario: l’Enorme-Chissenefrega.

Questo atteggiamento ha radici anche importanti. Paul Krugman, come altri, ha cominciato a mettere in questione la reale importanza delle innovazioni gadgettistiche sfornate da tante aziende di Silicon Valley (NyTimes). Del resto, il grande libro di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee (La nuova rivoluzione delle macchine) suggerisce che l’abbondanza generata dalla rivoluzione elettronica si stia accompagnando a una perdita di posti di lavoro e a una sempre maggiore disuguaglianza. Non è solo l’aneddotica basata sull’esperienza di quella quindicina di ragazzi che hanno guadagnato un miliardo di dollari vendendo Instagram, una app per fare le foto e ritoccarle prima di consegnarle al social network, mentre si avviava al fallimento un’azienda da un centinaio di migliaia di dipendenti come Kodak. Si tratta anche di conti macroeconomici piuttosto accurati. Occorre rendersi conto di una logica prevalente nell’economia della rete fondata sulla metafora finanziaria, dove prevale la power-law, la legge del chi-vince-piglia-tutto. E chi non vince prende sempre meno. E quindi la critica dell’importanza della gadgettistica ha una sua radice importante.

Ma l’Enorme-Chissenefrega per le innovazioni di piccolo cabotaggio criticate da Krugman, in un paese come l’Italia, rischia di saldare il cinismo di chi pensa che non cambi mai nulla con quello dei professionisti della comunicazione sul cambiamento di ogni cosa: si saldano perché avvengono in un contesto nel quale non c’è apparente relazione tra quel genere di innovazioni e le reali opportunità che le persone sentono di poter perseguire per esprimere le proprie capacità e costruirsi una prospettiva.

Il passaggio-chiave che sarebbe invece necessario è la diffusione di una consapevolezza strategica, appunto, sulle reali opportunità offerte agli italiani dalla rivoluzione digitale, basata sulla saldatura originale e tutta da inventare tra i settori nei quali gli italiani eccellono e le strutture economiche emergenti nel contesto dell’internazionalizzazione scientifica, tecnologica e digitale. Il che significa rimettere in questione molti pregiudizi, pensare in grande, lavorare sodo, studiare molto, investire tanto in ricerca, crederci e pensare al lungo termine. Con ottimismo ma senza iperboli.

Questo potrebbe avvenire se ci mettessimo sul serio a criticare il modello finanziario dell’economia degli ultimi decenni, se ci concentrasimo su quello che sappiamo fare bene e possiamo fare meglio, se riprendessimo in mano il ragionamento sull’economia della felicità, se ci dotassimo di un pensiero autentico e non di un’imitazione del pensiero altrui. Sulla base magari di una narrazione ecologica e non consumistica dell’innovazione. Con in testa grandi progetti e non piccole operazioni di facciata.

L’Enorme-Chissenefrega è una gigantesca tentazione. Che si vince dicendo come stanno le cose. Basta pensare alla sua incarnazione nelle elezioni di domenica scorsa, quando metà dei votanti l’ha dichiarato decidendo di non votare: non torneranno a votare per un altro Wow, lo faranno se lo riterranno rilevante. Cioè se quella scelta apparirà connessa alla loro vita reale. Lo stesso può avvenire nell’innovazione: i leader delle imprese e gli strateghi dello sviluppo dovranno cessare di contare solo sulla comunicazione e cominciare a lavorare sui temi ai quali vale la pena di dare la vita. Niente di meno. Si apre una fase di progettazione profonda, aperta alla critica e sana informazione.

Anche così si riuscirà a fare emergere la domanda politica che può avere una rilevanza: sostenere la modernizzazione digitale del paese e lanciare un piano davvero ambizioso per la banda larga senza affogare nelle secche del lobbismo finanziario di questi tempi si può fare e può avere consenso se si comincia a far vedere che serve a tutti e non soltanto all’1%.

Perché gli italiani hanno bisogno di prendere di mira e vincere l’unica loro caratteristica che li accomuna ad americani e inglesi: l’immobilità sociale che mantiene le famiglie d’élite sempre al vertice e impedisce a quelle che meritano ma vengono da condizioni più umili di emergere. Lo ha dimostrato l’inchiesta dell’Economist di qualche tempo fa, ribadita da Joseph Stiglitz al Festival di Trento qualche giorno fa. Allontanarsi dall’America sembra un paradosso per i modernizzatori: ma forse vale la pena di farlo almeno per questo aspetto.

Si tratta di un inizio di discorso. Sul quale è necessario tornare con umiltà nei prossimi post, sperando nel frattempo di ricevere un po’ di feedback dai commentatori.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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