A Bologna per la giornata mondiale dell’informazione promossa dall’Information Architecture Institute.
Elizabeth Buie attacca sui sistemi di informazione pubblici. Fanno venire voglia di essere usati? L’usabilità è argomento sottovalutato. L’esperienza utente è un tema di ricerca poco indagato. Rendere più efficiente il servizio pubblico e incoraggiare i cittadini a servirsi della rete sono obiettivi convergenti: in Uk il pubblico preferisce usare i servizi online piuttosto che andare agli uffici fisici (sono facili da usare, garantiscono privacy e inclusione, parlano a tutto tondo di offerta di servizi, informazioni interessanti, processo di costruzione delle decisioni pubbliche, accesso semplice e usabile alle leggi). Il progetto giusto attira gli utenti e invoglia i funzionari pubblici a lavorare bene. Tutto questo è ricerca della felicità, dice Buie: «e quando siamo felici siamo più produttivi». Se vuoi aumentare l’efficienza dei servizi pubblici devi aumentare la felicità dei funzionari pubblici.
Il libro di Buie è “Usability in government systems. User experience design for citizens and public servants“.
Alessandro Piana Bianco di Fjord Milano: semplicità nel settore bancario. Usabilità e felicità nel settore bancario sembra un argomento fuori di testa. La digitalizzazione nel settore bancario è stata fatta precocemente ma non per il pubblico, per i funzionari. E non è stata ridisegnata quando è stata aperta agli utenti. In generale non si pensa in nome dell’utente finale: wow effect, storytelling, aggregazione intelligente e comoda dei dati, mobile centric design… Non costa molto: occorre solo pensarci.
È una questione di quadro mentale. Non si digitalizza la procedura di chi produce il servizio, ma si tenta di pensare a chi usa il servizio. In un processo pragmatico di miglioramento continuo.
Secondo Piana Bianco il problema è che una persona umana che entra in ufficio si trasforma e dimentica le qualità che lo rendono umano: affetti, felicità, bellezza.. Il cambiamento avviene se progettando pensiamo alla storia dell’utente quando usa il servizio. «Le banche studiano attentamente quello che fanno le altre banche. Ma l’innovazione – e la concorrenza – viene da altrove: grande distribuzione, uber e airbnb.. Tocca a chi si occupa di service design e user experience fare cambiare il modo di guardare alle cose.
Tommaso Monaldi e Andrea Santi, gruppo Loccioni. Due chilometri di futuro. Un mondo di senso nel quale acquista valore un lavoro di gestione e innovazione del trattamento dell’innovazione. “Trasformiamo i dati in valore”. Il tema di ricerca è l’interfaccia tra il dato e la sua visualizzazione. La pratica diventa la cocreazione tra produttore e cliente. Clienti ci hanno detto: vogliamo arrivare a questo livello tra tre anni e voi aiutateci a riuscirci. (Si va realizzando il forward looking procurement un sistrma per condividere una sfida comune).
Paolo Scarabelli e Gabriele Molari, Tetrapak. Un’azienda che ha innovato creandosi uno spazio di vantaggio che ha motivato il suo continuo sviluppo. Come andare avanti. Difficile fare previsioni. Ma si possono, dicono a Tetrapak, studiare i grandi trend tecnologici: mobilità, automazione, internet of things (pacchetti come portatori di informazione), cloud, robotica. Siamo di fronte alla quarta rivoluzione industriale: le macchine parlano tra loro, imparano, diventano autonome dagli umani. La produzione si distribuisce nel territorio mentre la richiesta dei consumatori sembra essere orientata alla personalizzazione. Se si riducono gli occupati nell’industria si riduce anche il numero dei consumatori. Alcuni lavori sono spariti. I fattori esponenziali a un certo punto sembrano andare fuori controllo. Una soluzione sta nell’innovazione nell’interazione tra l’umano e l’automatico. È compito degli architetti dell’informazione affrontare il problrma e pensare scenari sostenibili. Si passa da strumenti intelligenti a sistemi intelligenti e alle decisioni intelligenti. Per arrivare alla trasformazione del lavoro. Distribuzione è al centro di questa trasformazione, dicono a Tetrapak, con una catena del valore che si scioglie in una serie di touch point. Disruption (esponenziale), smart management of the ecosystem (non più verticals), abbondanza (grandi opportunità), culture and know how (diffusione della conoscenza), ride the transformation. E dunque? La confezione deve essere compda per il consumatore, deve essere un enabler per il produttore e adatta al distributore. Si pensa l’innovazione pensando all’insieme dell’ecosistema del valore.
Italo Marconi, UbiquityLab. Conseguenze etiche e politiche dell’architettura dell’informazione. Progettare la felicità? Marconi cita Layard e Bentham. La felicità e diventata un progetto pubblico. Muratori. La dichiarazione di indipendenza americana. Ha una tradizione nella letteratura utopistica. L’idea di progettare la felicità non equivale a creare spazi nei quali le persone siano “spinte” ad accettare un’idea di felicità, perché questa resta un tema personale. De architectura, Vitruvio, pone il tema dell’etica dell’architetto. Il giuramento di Vitruvio suggerito da Settis l’ha riportato ancora una volta alla luce. Marconi cita Renzo Piano, Fernand Braudel, Mario Cucinella. Morville: etica dell’architettura dell’informazione (un libro in pdf). Marconi parla di generazione di significato come compito dell’architetto dell’informazione. Allude di passaggio all’epistemologia (va per accenni, come si vede da questi appunti, perché non ha tempo col pranzo incombente e il programma in ritardo), cita due euristiche (non fare male, coltiva lo human flourishing). Siamo una comunità epistemica, dice Marconi. Non dobbiamo occuparci di felicità ma di benessere. L’architettura dell’informazione si prende cura dei bisogni degli utenti e dei diritti delle persone. Prendersi cura è l’etica dell’architetto. Luigina Mortari, Filosofia della cura, Cortina.
Conclusioni. Dovrò tirare le somme, dicono gli organizzatori. Parlando, chiedono, di economia. Che dirò? Ecco altri appunti su architettura dell’informazione dunque informazione e architettura.
Informazione
Domanda: «Nella società dell’informazione vale di più il denaro o l’informazione?». Risposta di Bill Gates: «Il denaro è una forma di informazione». Già ma come cambia il ruolo dell’informazione? Claude Shannon distingueva tra l’informazione e il suo senso. La ricerca sull’interfaccia ha portato alla convergenza di informazione e significato. E solo allora la tecnologia digitale ha cominciato a esplodere. E ha influito sul successo dell’economia della conoscenza: il valore si concentra sull’immateriale
Il mezzo dello scambio di valore non scompare: è un oggetto, un luogo, un’interfaccia; ciò che ha valore è un servizio fatto di informazione, conoscenza, ricerca, immagine, design.. senso. Tutto si comprende guardando ai fatti immersi in un genere di esperienza che un tempo avremmo chiamato media. È possibile che ogni business stia cercando di assomigliare editoria?
Se così fosse la vecchia scarsità (lo spazio fisico che trasmetteva l’informazione controllato dall’editore) ha lasciato il posto alle nuove scarsità (tempo, attenzione, riconoscimento della rilevanza da prte del pubblico). Il valore si realizza non più nel momento della produzione ma nel momento della fruizione, dell’adozione. Il potere realizzativo è di chi adotta o respinge il servizio.
Architettura
Che fare? Creare un mondo di senso. Come diceva Steve Jobs: «Non è compito del consumatore sapere che cosa vuole». Ma se chi propone un servizio non interpreta il futuro non riuscirà a interpretare ciò che vorrà il consumatore o l’utente. Se lo interpreta avvia un processo di generazione di valore. Che avrà forza nel tempo sintetizzandosi nel brand. Nei beni esperienza si paga prima di sapere se il consumo ha valore: il brand è la promessa che spinge a credere che l’acquisto avrà davvero valore. Se manca il brand, la vendità del futuro è forse nei sistemi di crowdfunding come Kickstarter. Una sorta di cocreazione.
Si lavora dunque per sfide che riescono ad accomunare chi offre e chi adotta, in un mondo di senso condiviso, che stravolge i confini tra ruoli tradizionali ma valorizza i saperi profondi. È la fine della separazione tra sapere tecnologico e sapere umanistico. Digital humanities è la disciplina che studia quella fine e cerca di scoprire che cosa c’è oltre. Le specializzazioni restano eccome: ma devono parlarsi se vogliono vincere quelle sfide umane comuni. Per questo l’interfaccia diventa lo strumento centrale per innovare la pratica di costruzione di servizi dotati di senso e dunque valore.
Infosfera plurale
L’infodiversità in un sistema rivolto al futuro prevede la pluralità delle dimensioni dell’umano. La metafora dell’ecosistema impone di guardare alle dinamiche evolutive dell’insieme con attenzione agli scopi dell’attività dell’iniziativa invormativa che si sta progettando: inclusione di nozioni come felicità, civismo, manutenzione dei beni comuni, deliberazione, metriche della qualità. (Homo pluralis)
Domande sparse a fine giornata:
È vero sempre che l’usabilità equivale a interfaccia tanto naturale da essere usabile velocemente e senza incagli? Certo. Ma quasi sempre. Un freno può servire a riflettere. Nei media civici talvolta mettere un passaggio di troppo tra le proposte e i commenti diminuisce le polemiche, per esempio. In realtà, la scelta tra il design della naturalezza d’uso e l’introduzione di momenti di riflessione va operata consapevolmente.
Perché facilitiamo più il flusso delle informazioni e meno l’archivio? Timeline serve al contrario. Il fatto è che il flusso è addictive. Ma la responsabilità dell’architettura non dovrebbe tener conto anche dell’equilibrio cognitivo delle persone?
La mancanza di libertà di scelta è grave quanto l’eccesso di scelta. Come si semplifica senza banalizzare?
Come costruire un contesto che aggiunge valore? Una libreria parla più di un elenco automatico di titoli di libri… Che cosa li differenzia? Che l’utente sceglie l’ordine, che gli scaffali non sono tutti uguali, che il posizionamento dei singoli libri è variabile.
Metodo per migliorare usabilità: pensare come pensa l’utente, fare test con gruppi diversi e con persone diverse, tra loro indipendenti, pensare che il miglioramento continuo è la prassi non l’eccezione…
Articolo impegnativo ma interessante 🙂
Pierluigi
[…] Luca De Biase in un post di un paio di giorni fa parla di architettura delle informazioni, anche nella pubblica […]
Caro De Biase,
ti chiederei di farmi avere una tua mail per poterti scrivere in modo più disteso, e parlarti di una nostra iniziativa.
un cordiale saluto
Antonio Floridia
Ottimo articolo, complimenti! 🙂
[…] significato (vedi questi due pezzi: Se non ci credo non lo vedo. I media osservati dall’alto e Architettura dell’informazione. Appunti). Chi si occupa del significato è chi fa l’interfaccia e ovviamente chi fa la ricerca che […]