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Media Civici. Informazione di mutuo soccorso. Il contributo di Vincenzo Moretti

Vincenzo Moretti, autore di libri di straordinaria umanità, ha saputo dell’imminente uscita del libro “I media civici. Informazione di mutuo soccorso“.

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Ne avevamo parlato all’epoca della stesura del testo, qualche mese fa. Quando gli avevo chiesto di contribuire con una storia. Nel frattempo la storia è maturata. E lo ringrazio tanto per aver voluto condividerla qui:

Ancora adesso che ce l’abbiamo fatta resto della stessa idea. Per chi sta vivendo questa esperienza “normalmente” eccezionale che abbiamo chiamato Bottega Exodus Ahref di Cassino la cosa veramente importante non è essere riusciti a “coprire” nel migliore dei modi, proprio come dei giornalisti “veri”, una settimana piena piena di eventi come la “Mille Giovani per la Pace”. Certo che fa piacere farcela, quando ci metti tanta fatica, passione, impegno, non è solo normale, è indispensabile che ti faccia piacere perché altrimenti, come si diceva a Secondigliano da ragazzi, significa che “stai a problemi”. Diciamo che ti fa piacere però dentro di te lo sai che la parola giusta, la cosa davvero importante, si chiama “opportunità”.

L’opportunità che hai messo su insieme alle ragazze e ai ragazzi della comunità Exodus di Cassino, si, proprio quella di don Mazzi, che, per quanto il posto sia accogliente, loro se stanno lì non è mica perché ci sono venuti a passare le ferie.

L’opportunità che hai costruito insieme a chi dirige la comunità e a chi nella comunità ci lavora, perché poi, in contesti così, se non si rema tutti nella stessa direzione non è che la barca affonda, ma solo perché non riesce neanche a partire.

L’opportunità che queste ragazze e questi ragazzi in fondo si sono costruite/i da sole/i, perché in fondo, come ci ricorda il poeta “si può comunicare solo ciò che è condiviso dall’altro, le parole presuppongono esperienze condivise” e se non fosse stato così non avrebbero potuto mica “cominciare” il loro lavoro in bottega da cavie, definizione loro, of course, e a “finirlo” da cittadine/i reporter.

Adesso, affinché non vi venga il dubbio che abbiamo giocato a fare i giornalisti come da bambini si giocava a fare i dottori, che dato il contesto non ci sarebbe stato neanche niente di male, solo che non c’entra con la nostra storia, provo a mettere in fila alcune ma solo alcune delle cose che la Bottega Exodus Ahref di Cassino ha imparato a fare quest’anno:

1. condivisione del metodo e delle quattro parole chiave che lo riassumono: accuratezza, indipendenza, imparzialità, legalità;
2. come si fanno articoli, foto, interviste audio e video;
3. come si usano i social network;
4. che cos’è e come si usa il media civico Timu;
5. come si organizza e si fa un giornale;
6. come si “copre” un evento dal punto di vista giornalistico.

Adesso invece, anche se lo so che vi fidate di me, faccio finta di no e provo a mettere in fila alcuni ma solo alcuni dei risultati prodotti da questo lavoro:

1. l’attività di storytelling – inchiesta partecipata della bottega su Timu;
2. i 3 numeri del bimestrale BEA (il terzo, quello dedicato al lavoro ben fatto, realizzato tutto ma proprio tutto dalle ragazze e dai ragazzi della comunità);
3. il profilo Facebook
4. il canale youtube
5. il sito della Mille Giovani per la Pace (la struttura è preesistente ma la stragrande maggioranza dei contenuti foto, audio, video e testo sono stati realizzati dalla bottega).

Cosa aggiungere ancora?

Che nel settembre 2012, quando arrivo a Exodus e trovo Luigi Maccaro, responsabile della comunità di Cassino, referente nazionale delle attività legate alla comunicazione, al web e ai social network, più che la ragione sono la simpatia, l’approccio scugnizzo e il daimon, la streppegna, che mi fanno pensare che quello è il posto giusto per provare a mettere su un altro mattoncino alla voce Botteghe Ahref.

E’ così che racconto a Luigi di Fondazione Ahref, di Timu, di Le vie del lavoro, attività di narrazione e inchiesta partecipata nata dalla collaborazione tra Fondazione Ahref e Fondazione Giuseppe Di Vittorio. Gli racconto soprattutto del progetto Botteghe Ahref, di questi luoghi sociocognitivi serendipitosi dove tenere assieme informazione e partecipazione, narrazione e inchiesta, qualità e verifica del processo informativo. Alla fine butto lì che sarebbe bello mettere su una Bottega Exodus Ahref e farla funzionare con l’apporto delle ragazze e dei ragazzi della comunità.

Luigi un po’ mi asseconda e un po’ di più intuisce che l’idea è buona. Mi dice che la proposta è interessante, che naturalmente bisogna approfondirla, che però se si decide di partire bisogna organizzarla per bene ed evitare che si blocchi tutto al primo ostacolo. Sono contento. Di più, mi sembra un ottimo inizio.

Quando ne parlo con Alessio Strazzullo so bene che senza le sue competenze e la sua energia la mia idea è destinata a rimanere soltanto un’astrazione. Lo conosco bene, mi aspetto la sua risposta tipo che in casi come questi è “Vincenzo, ci devo pensare”, e invece questa volta no, questa volta solo “Vincenzo” è uguale, perché il resto è “mi sembra un’ottima idea, da questa esperienza possiamo tirare fuori qualcosa di veramente bello”.

Ci mettiamo al lavoro. Nello zaino abbiamo la metodologia in tre mosse che abbiamo adottato fin dai giorni de “La scuola abbandonata”, la prima inchiesta di Fondazione Ahref alla quale abbiamo partecipato:

1. scegliere bene le persone con le quali lavorare;
2. definire gli obiettivi e il percorso per raggiungerli nella maniera più chiara possibile e condividere gli uni e l’altro con tutti coloro che in vario mondo ci troveremo a interagire;
3. riflettere in tempo reale sulle cose che facciamo, dal lavoro in bottega dovremo tirare fuori gli elementi per valutare l’efficacia del percorso, la sua rispondenza agli obiettivi, la necessità di proporre e produrre aggiustamenti.

Costruiamo una prima bozza molto bozza di lavoro, ci lavoriamo su e ne tiriamo fuori qualche riflessione ulteriore su idee guida e tema.
Idee guida. Quattro tag sopra tutti gli altri: ciò che va quasi bene non va bene, sensemaking, timu, leggerezza.

Ciò che va quasi bene non va bene definisce l’approccio, quello che ti spinge a fare bene le cose perché è così che si fa, quello ti porta a fare le cose come se avessi il diavolo in corpo e la febbre nel cuore, quello che ti fa pensare “lo faccio bene, dunque valgo”, vale per il lavoro, vale per lo studio, vale per la vita.

Il sensemaking, strettamente collegato alle persone e al loro vissuto, ci aiuterà con le sue sette caratteristiche a mantenere la rotta: identità (chi sono, in che contesto agisco, perché ho molte identità); retrospezione (riflettendo su ciò che è accaduto lo interpeto e lo comprendo); enacmment (istituzione di ambienti sensati, con le mie idee e il mio comportamento influisco sull’ambiente circostante e lo plasmo); sociale (la relazione con l’altro è fondamentale); continuo (la costruzione di senso e significato è un processo che non termina mai); centrato su e da informazioni selezionate (si commenta da solo); guidato dalla plausibilità più che dall’accuratezza (l’importanza dell’istinto, la capacità di gettare il cuore oltre l’ostacolo).

Timu, strettamente collegato alle attività di narrazione, di citizen journalism e di inchiesta, ci aiuterà a pensarci come cittadini reporter a partire dal suo metodo e dai quattro principi su cui si basa: 1. accuratezza; 2. imparzialità; 3. indipendenza, 4. legalità.

La leggerezza ci dovrà aiutare a condividere tutto questo, e tutto l’altro che si determinerà, con la bottega, a togliere peso alla teoria e ai concetti, a coinvolgere attraverso esempi e metafore, a partire, fino all’infinito e oltre, dall’esperienza sul campo.

Tema. Per partire proveremo a replicare l’esperienza del diario già sperimentata con successo ne Le vie del lavoro. L’auspicio è di collegare in questo modo il lavoro della bottega ad argomenti condivisi in un contesto sufficientemente ampio e libero da permettere a ciascuna/o di partecipare senza essere troppo preoccupato di non essere all’altezza.

Che Giorgia è stata contenta quando le ho detto che Luca De Biase, giornalista – scrittore – presidente della Fondazione Ahref, racconta sul suo blog di “Andrea Contino che cita un pezzo di Callie Schweitzer, su Medium, e commenta: Siamo ciò che condividiamo”. E che invece non ho fatto in tempo a chiedere a Luca cosa ha pensato quando ha letto sul mio messaggio che Giorgia, una delle ragazze della Bottega Exodus Ahref di Cassino, durante la riunione del venerdì pomeriggio, quando abbiamo chiesto di definire con una parola il tema intorno al quale organizzare il secondo numero di Bea, il periodico online della Bottega, ha proposto“condivisione”. E che Giorgia non aveva neanche finito di pronunciare la fatidica parola che una voce alle mie spalle, quella di Luigi, un altro inquilino di casa Exodus, ha aggiunto: “forzata?”.

Vi dico invece quello che abbiamo pensato noi a quel punto, quando è apparso evidente a tutti che avevamo acchiappato il tema giusto al primo colpo: nelle settimane successive avremmo dovuto continuare a scavare nelle relazioni feconde e pericolose tra il sostantivo e l’aggettivo, tra “condivisione” e “forzata”.

Perché si, quando questi ragazzi di Exodus ti spiegano che nella comunità la vita e il tempo li condividi per intero, che mangiare, dormire, fumare, guardare un film, fare sport, lavorare non sono mai un’attività individuale, ma sempre collettiva, e poi ti dicono delle difficoltà che tutto questo comporta, soprattutto all’inizio, e poi ti raccontano che più vanno avanti e più si rendono conto che più condividono e più stanno meglio, fisicamente e mentalmente, con la testa e con il cuore, allora ti rendi conto che ti stanno suggerendo qualcosa che non è banale, che non vale solo per loro, che può avere un valore generale. Perché poi le regole non sono anche uno strumento per “forzare” i processi di condivisione? E quando si vuole recuperare un gap, uno squilibrio, non c’è forse bisogno di “forzare” il corso per così dire normale dei processi economici e sociali? Meditate gente, meditate. E se dopo che avete meditato avete ancora la voglia di guardare un video, do it!, fatelo!, cliccando qui.

Che che se pensate che la vita nella bottega sia tutta rose e fiori siete fuori strada, perché quando devi fare i conti con la droga, con l’alcool, con il reinserimento che troppe volte non c’è (a proposito, proprio il reinserimento è la storia di copertina del prossimo numero di Bea), è come una rivoluzione, le opportunità ti tocca prenderle a morsi, ogni giorno, ogni momento, perché la vita non ti regala niente.

Questo è tutto, anzi no. Perché se De Biase e Al Pacino non si arrabbiano aggiungo che “è l’informazione di mutuo soccorso ragazzi, è tutto qui”. Ecco, that’s all, folks. Veramente.

vincenzo moretti

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Luca De Biase

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