In questi giorni, i fatti sostengono scenari che fino a qualche mese fa potevano apparire improbabili. Tutto si basa sul fatto che l’ipotesi centrale per la salvezza dell’economia occidentale è una enorme spesa pubblica.
Negli Stati Uniti, si prepara un intervento di “spesa pubblica” da 2mila miliardi di dollari per ridurre l’impatto del lockdown, la chiusura di tutti in casa per rallentare l’epidemia di Covid-19. Ma al Senato i democratici hanno deciso di imporre il loro punto di vista: tutta quella montagna di soldi non può andare alle imprese private perché ci facciano quello che vogliono; il governo deve imporre regole affinché i soldi vengano spesi per il bene comune, per il bene dei cittadini, non per andare ai profitti e ai megapagamenti dei supermanager (FT, Senate Democrats block $2tn stimulus bill for second time). L’esperienza degli aiuti di stato alle imprese e banche fallite nel 2008 non è passata invano: quella volta la crisi era ben più piccola, il paradigma privatistico non era stato scalfito, i soldi erano andati a rimettere in piedi il sistema di potere capitalistico che aveva portato alla crisi, ma che aveva tenuto per trent’anni. Questa volta, si direbbe, non sarà così. Lo stato si assume l’incarico di salvare l’economia, ma non la sua versione iperspecultativa superprivatistica che ha palesemente cessato di funzionare. Questa volta siamo di fronte a un terremoto nel sistema di potere mondiale. L’ideologia prevalente negli Stati Uniti, dal 1980, era semplice: riducendo sempre più lo stato e lasciando sempre più briglia sciolta ai capitalisti l’economia sarebbe andata sempre bene; che non fosse così lo si era capito già nel 2008 (e anche prima per la verità); ma questa volta si è capita un’altra cosa. Questa volta si è capito che si può realizzare un nuovo equilibrio di poteri tra politici e capitalisti. Perché la quantità di soldi che lo stato metterà in campo è talmente enorme che tutte le famose prebende che i capitalisti hanno sempre garantito ai loro politici di riferimento in forma di sostegno elettorale impallidiscono. Questa volta i politici pensano di poter fare a meno dei capitalisti e di poter imporre loro delle regole che rispondano alle esigenze del bene comune: basta freni al processo di disinquinamento dell’economia, basta diseguaglianze sfrenate, basta visione di breve termine concentrata solo sui profitti a tre mesi… L’occasione c’è. Vedremo se gli americani la sprecheranno. Dovessero sprecarla sarebbe per andar dietro agli slogan manipolatori del mondo autoritario che sta sostenendo ancora adesso il presidente Donald Trump. L’alternativa non è limitata agli americani, però.
In Europa, i soldi da mettere in campo per salvare l’economia non saranno meno di quelli che servono in America. Chi li gestirà? Saranno gli stati? Sarà la Commissione? Sarà la Bce? Gli scenari sono molto diversi tra loro. Se sarà la Commissione potremo contare su una politica orientata all’equilibrio ambientale e all’innovazione, con un forte sostegno alle imprese europee e con un occhio agli equilibri territoriali nelle macroregioni europee (Nord, Sud, Centro, Est). Se saranno gli stati, gli squilibri probabilmente aumenteranno e ogni paese deciderà per come è capace. Se sarà la Bce forse si formeranno dei vincoli di gestione per gli stati ma non necessariamente una grande visione politica. In tutti i casi, anche in Europa, la grande alternativa sarà tra una politica progressiva, verde, innovativa, colta e visionaria, ma questa volta dotata di una montagna di soldi, oppure una politica autoritaria, autocratica, xenofoba, favorevole al sistema di potere tradizionale che dopo aver contato sul neoliberismo potrebbe cominciare a pensare di potersi salvare soltanto con il neoautoritarismo.
Sono solo scenari. Ma come non prenderli in considerazione? I fatti li avvalorano in modo imprevedibile solo qualche mese fa. Non credo che ci sia un disegno dietro alla scelta della maggior parte degli stati di privilegiare il contenimento dell’epidemia rispetto alla tenuta dell’economia. Ma a questo punto, l’occasione è troppo evidente perché i grandi o piccoli politici che oggi governano non vedano la loro opportunità. Che siano progressisti o autoritari, vedono che gli stati saranno giustificati a spendere un sacco di soldi. E il punto è come li spenderanno.
Ci potrà essere una grande spinta verde e progressiva, contro la povertà e il cambiamento climatico, fondata sull’innovazione tecnologica dotata di un senso: uno schema molto intelligente che finora non è andato molto lontano ma che con tutti i soldi che si preparano potrebbe avere davvero un impatto gigantesco. Oppure ci potrà essere un’alleanza tra il capitalismo cresciuto nel neoliberismo e i nuovi politici autoritari disposti a salvare petrolieri e banchieri d’affari ma tenendo il coltello dalla parte del manico, cioè dalla parte dei soldi. L’alternativa tra i due scenari è drastica. Mi domando se tra i commentatori non c’è qualcuno che veda un bivio meno drammatico…
E se per caso tutto questo ragionamento ha una sua concretezza, considerando tutto quello che si è detto nei giorni scorsi relativamente alla generosità che è razionale e alla fine della preferenza per il falso nell’informazione, è possibile che sia questo il momento di pensare un progetto davvero progressivo. Non saranno gli strumenti a mancare questa volta. Ma non possiamo rischiare che manchino le idee!
Da leggere:
Yuval Noah Harari: the world after coronavirus | Free to read
Branko Milanovic: Four types of labor and the epidemic
MIT: We’re not going back to normal
Politico: Coronavirus Will Change the World Permanently. Here’s How
In questa serie:
Sembra un film di scarsa qualità
Dopo la crisi: resilienza
Studi sul futuro e resilienza
Il destino comune della rete umana
Solo la generosità ci salverà
Coronavirus. Come ne esce l’economia
Via Syllabus:
The seven early lessons of the global coronavirus crisis
What Would Roosevelt Do?
Adam Tooze: Is the Coronavirus Crash Worse Than the 2008 Financial Crisis?
The unexpected reckoning: Coronavirus and capitalism
Coronavirus Will Revive an All-Powerful State
Vedi anche:
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Coronavirus. I dati mancanti. La task force che deve partire
COVID-19 tracking data and surveillance risks are more dangerous than their rewards
Photo by Markus Spiske on Unsplash
[…] Che cosa sappiamo già. La cura all’epidemia di Covid-19 che i sistemi sanitari di mezzo mondo hanno deciso di imporre ai governi dei loro paesi ha come effetto collaterale una profonda recessione economica. In mancanza di meglio, infatti, la cura si limita al rallentamento della velocità del contagio in modo che il numero di persone che hanno bisogno di cure ospedaliere in un dato periodo di tempo non superi i limiti della disponibilità di posti letto e macchinari. Ma per ottenere questo risultato, quasi ovunque, si è pensato solo a chiudere la gente a casa. Chiudendo anche l’economia. La profondità della recessione dipende dalla lunghezza della chiusura. Per Goldman Sachs i Pil degli Stati Uniti diminuirà del 24% nel prossimo trimestre. Per curare l’effetto economico della cura, gli Stati Uniti hanno messo in campo un ammontare di spesa pubblica paragonabile alla quella perdita di Pil: 2 mila miliardi. In Europa la questione non è molto diversa: la recessione e la spesa pubblica avranno proporzioni simili, molto probabilmente. Si tratta di scenari dotati di forti probabilità. (Vedi post di ieri e precedenti: Coronavirus. Crisi economica: il privato è politico) […]
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