Lo “stato dell’arte” è una bella trasmissione condotta da Maurizio Ferraris. Qualche giorno fa ha messo in onda una riflessione sull’anonimato, con il contributo di Juan Carlos de Martin e mio (Rai). Dall’anonimato nella rete si è scivolati verso l’anonimato in generale. Il richiamo al senso dell’anonimato come protezione della critica radicale, o della protesta contro un regime autoritario, o della lotta alla mafia o alla violenza in casa, si è accompagnato all’osservazione dell’anonimato come protezione del crimine o del terrorismo. Con alcune scoperte importanti: che la conoscenza di ciò che facciamo in rete è concentrata in alcune centrali – private e pubbliche – mentre la maggior parte delle persone sa poco o nulla oltre a ciò che appare; che l’anonimato non è poi tanto protetto in rete; che l’anonimato e la privacy non sono temi sviluppati a sufficienza a scuola. E dunque ci si accorge che il tema dei diritti è sempre un tema di equilibrio e proporzione, oltre che di consapevolezza ed educazione.
Tutto questo non è poi tanto nuovo. Nella Repubblica di Venezia, il lungo carnevale – nel quale la maschera consentiva di recuperare un certo anonimato – era un periodo di festa e di riequilibrio culturale in un contesto molto controllato. Ma a Venezia erano accettate le denunce anonime che le varie forze di polizia andavano poi a verificare. E a Venezia il sistema patrizio veniva monitorato da un apparato di polizia segreta e inquisizione piuttosto discreto ma capace di sapere quasi tutto di tutti. L’equilibrio del potere a Venezia è un grande saggio di durata: mille anni di Repubblica lo dimostrano.
La rete è troppo nuova per avere tutta questa esperienza storica. Ma farà bene a dotarsi di una cultura di più ampio respiro.
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