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Un sistema decisionale per il futuro

Alla Festa dell’Unità di Bologna, ieri, con Vittorio Colao, Giusella Finocchiaro, Antonio Nicita, per parlare di digitale, democrazia, diritti, disinformazione, dati…

Un’altra “d” è quella delle decisioni.

Le democrazie stanno facendo fatica a decidere con l’efficacia di altri sistemi. In particolare, negli ultimi quarant’anni, il sistema decisionale che ha ottenuto risultati clamorosamente migliori – a giudicare dal numero di persone strappate alla povertà, dal livello di sviluppo economico e scientifico, dalla crescita del peso politico – è stato il sistema decisionale del Partito Comunista Cinese. Nessuna persona sana di mente penserebbe di poter importare lo stesso modello decisionale in Europa. Ma indubbiamente l’Europa e gli Stati Uniti non hanno ottenuto un impatto simile a quello cinese sulla loro società.

Ora naturalmente le sfide della contemporaneità sono altre – dal cambiamento climatico all’ineguaglianza sociale – e si gioca una nuova partita. Non sappiamo se saranno più bravi i cinesi o gli occidentali. Ma se questi non riformano radicalmente il loro sistema decisionale, probabilmente non combinano molto. In effetti, l’Europa ha cominciato una riforma abbastanza importante, con una strategia climatica ambiziosa, una comprensione del tema sociale relativamente chiara, con un’ipotesi tecnica che vede nell’innovazione digitale l’abilitatore del cambiamento necessario.

Ma le decisioni per ora sono lente e scostanti in termini di qualità. Le consultazioni di esperti sono relativamente casuali e le consultazioni dei cittadini poco produttive, anche perché non c’è molta chiarezza sulla reale importanza attribuita dai governanti alle opinioni dei governati.

Una riforma del sistema decisionale europeo è necessaria. C’è il rischio che di fronte a questa necessità, in mancanza di idee profonde, si arrivi a tentare di adeguarsi ai metodi dei sistemi autoritari. Ma come non si ripete mai abbastanza: si può entrare in un regime autoritario attraverso libere elezioni, ma non se ne esce con lo stesso sistema.

La democrazia è una faccenda delicata. E ha bisogno di un rilancio, non di una rinuncia. La partecipazione di tutti è ancora lontana. Ma un sistema decisionale che si apra in modo strutturato alla collaborazione dei cittadini diventa l’alternativa reale alle mire autoritarie di qualcuno. Perché la collaborazione non può avvenire senza rispetto delle opinioni diverse, senza ascolto dei problemi reali, senza ricerca sulla realtà delle cose, senza metodo di selezione delle di idee di maggiore qualità, e così via. Quindi la scelta della collaborazione è la scelta della convivenza democratica in nome di un bene comune che costituisce l’altra faccia della stessa medaglia,

Storcere il naso nei confronti delle piattaforme di partecipazione, reagire con scetticismo alle proposte di innovazione in questo settore, è uno sport molto praticato. Di certo, non tutto funziona. Ma ormai abbiamo una vasta esperienza su quello che funziona e quello che lascia il tempo che trova. L’importanza attribuita dai governanti alla partecipazione dei governati deve essere chiara per poter attirare le migliori teste nelle deliberazioni; i percorsi di deliberazione devono essere insieme fisici e digitali per poter generare coinvolgimento e per poter scalare; le piattaforme devono avere un’interfaccia che favorisce il dialogo costruttivo e non la polarizzazione binaria sulle alternative radicali…

La democrazia va avanti se aumenta la partecipazione, non se diminuisce. E la qualità del sistema decisionale migliora se aumenta la partecipazione:
Per vedere le cose da diversi punti di vista
Per limitare la concentrazione del potere
Per strutturare sistemi decisionali ad assetto variabile su temi specifici
Per cambiare mentalità sclerotizzate
Per progettare, prototipare e verificare le decisioni invece di fare danni o di non fare niente.

Image by Maruf Rahman from Pixabay

1 Commento

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  • A me pare che il problema fondamentale delle democrazie occidentali sia che i l’opinione pubblica è formata (vorrei dire manipolata) dai mass media (TV e Internet), che come sappiamo sono in mano a chi ce l’ha più grosso (il budget marketing, ovviamente). Quindi possiamo fare tutti i discorsi che vogliamo sulla “partecipazione”, ma la realtà è che viviamo in un mondo in cui arriva Raimondo Vianello in TV a dire “votate per Berlusconi” e Berlusconi viene votato da milioni di persone.
    Mi pare che ormai il danno sia fatto, perché chi è al potere in molte democrazie occidentali ci è arrivato grazie a questa connivenza coi mass media, e quindi non sono molto ottimista circa eventuali regolamentazioni a proposito.
    Se a questo aggiungiamo che le leggi elettorali ormai vengono discusse e architettate col solo scopo di pilotare i risultati finali, fatico a essere ottimista o anche solo a intravedere vie d’uscita.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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