Il 29 gennaio 2021, verso le 11:30 di mattina, ho avuto l’onore di partecipare alla trasmissione Radio3 Scienza, condotta da Elisabetta Tola. Tema: il rapporto tra tecnologia e scienza. Spunto: un magnifico pezzo di Nature che ricordava i grandi software che nella storia hanno abilitato un’accelerazione dell’uso scientifico dei computer (Nature, Ten computer codes that transformed science). A partire dal “Formula Translation”, il Fortran, del 1957.
Nella velocità delle dichiarazioni da fare in una trasmissione radiofonica, sebbene con l’aiuto di una conduttrice di grande competenza, restano in mente argomenti che non sono passati con la dovuta problematicità. E in un argomento complesso come questo a maggior ragione. Quindi riporto qui gli appunti presi per rispondere a Elisabetta. Tanto per avere un promemoria.
Il rapporto tra tecnologia e scienza
1. Da sempre la tecnologia abilita le scoperte scientifiche o serve a provare le teorie. Si ricordano le idee di Galileo, ma si cita meno spesso il suo cannocchiale.
2. È evidente che il computer ha reso possibile fare un lavoro scientifico che non era prima pensabile: le immagini computerizzate e la neuroscienza, i data base genetici e la biologia, le simulazioni molecolari e la comprensione delle caratteristiche dei nuovi nanomateriali, i big data e l’intelligenza artificiale.
3. La crescita del contributo del computer alla scienza è ovviamente sospinto da diverse dinamiche: a. la legge di Moore (un computer ai tempi dello sbarco sulla luna poteva fare 100mila operazioni al secondo, quante ne fa oggi un telecomando; uno smartphone oggi fa 10miliardi di operazioni al secondo; un supercalcolatore in miniatura installato su un auto autonoma di Google a Phoenix, disegnato da Eurotech, fa 100mila miliardi di operazioni al secondo); b. Il miglioramento dell’interfaccia che ha reso possibile per chi non fosse “scienziato informatico” ma fosse scienziato tout court l’uso del computer; c. La crescita dei software per il calcolo, per l’archiviazione e lo scambio di informazioni nella comunità degli scienziati, per il riconoscimento delle immagini, per i database, per le simulazioni.
4. La tecnologia digitale ha una capacità di indirizzo sulla scienza particolarmente profonda, al di là del della singola funzione, perché suggerisce terreni e percorsi di ricerca che non erano possibili senza. Suggerisce anche approcci epistemologici innovativi, per quanto discutibili: in un contesto con una grande quantità di dati e sistemi di riconoscimento dei modelli di comportamento dei fenomeni, si può immaginare una sorta di riconfigurazione della funzione della teoria, che non è più soltanto l’idea – da verificare – che un modello corrisponda la realtà, che diventa soprattutto la sorgente della formulazione di domande da porre ai modelli, alle regolarità emergenti e soprattutto alle irregolarità inattese. [Attenzione. La possibilità di studiare le regolarità emergenti da grandi quantità di dati ha suggerito a qualcuno anche l’idea banalizzante della “fine della teoria”: secondo questa idea, non occorre teorizzare, basta guardare i dati; come se guardare i dati, scegliere che cosa dicono, fare domande ai dati, imparare a confrontare quello che dicono i dati su una certa realtà con quello che si pensava di quella realtà, e così via, non avesse bisogno di teoria; si tratta di un pensiero che può andare bene per promuovere una rivista ma non per avanzare nella conoscenza (Wired)].
5. Ma la logica della tecnologia può influenzare la scienza anche in un modo economicamente pericoloso. Se si considera la tecnologia prodotta privatamente dalle aziende a scopo di lucro che proteggono la loro conoscenza con segreto industriale e brevetti, o copyright, può darsi che la scienza sia condotta a fare altrettanto, condividendo di meno e tenendo di più nel segreto dei laboratori, allo scopo di massimizzare le entrate. Sarebbe un tradimento dell’idea fondamentale della scienza, che è fondata sulla condivisione di conoscenze generate con un metodo comune in una comunità di scienziati. Non tutta la tecnologia è chiusa, naturalmente. Esiste la tecnologia open source, l’informazione in creative commons, l’insieme delle soluzioni disponibili apertamente per chiunque le voglia usare. Quella tecnologia non induce in tentazione gli scienziati. Di certo, la scienza che mantiene segreta la conoscenza non è scienza.
La tecnologia digitale ha accelerato l’innovazione travolgendo interi settori industriali negli ultimi trent’anni. Ma accelerando anche la scienza ha generato un’accelerazione dell’accelerazione. Nano, bio, neuro scienze, insieme alle scienze dell’informazione, fanno oggi cose impensabili senza i computer. Lo stesso si può dire della ricerca astronomica, la fisica delle particelle, la chimica e così via. Ma un fatto è importante: la scienza non è la tecnologia. La separazione concettuale tra le due dimensioni della conoscenza è cruciale. Imho.
Commenta