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Facimm’ ammuchina? Ok, ma facciamo anche la seconda ricostruzione

Evidentemente occorre contenere la concentrazione nel tempo del contagio per salvaguardare la tenuta del sistema sanitario. Ma occorre anche preparare una strategia per il dopo.

Ipotesi.

Gli italiani sono pessimi vincitori. Quando tutto va bene, vivono volentieri nel confort che hanno trovato o costruito. Cercano di conservarlo per se e la propria famiglia, ma non si interessano troppo degli altri. Gli italiani di solito non pensano insieme al futuro. Lo fanno solo quando non possono proprio farne a meno.

In questo modo accumulano una quantità di problemi. Li rimandano. Li rovesciano sulle spalle degli altri. Non pianificano. Non discutono bene. Non deliberano pubblicamente. Sono anarchici. E quando si uniscono, come persone libere scelgono di farlo, ma solo perché non vedono alternative: in quei rari casi, quando il vantaggio personale e quello di tutti nella loro percezione finalmente coincidono, accettano di deporre le diffidenze e collaborano.

Sono solo pregiudizi? O è una sintesi dell’esperienza?

Gli italiani, prima che si chiamassero così, sono stati insieme nel Rinascimento. Gli italiani che volevano chiamarsi così hanno combattuto insieme nel Risorgimento. Gli italiani che si ribellavano a sé stessi erano insieme nella Resistenza. E dopo la guerra, nella ricostruzione e nel miracolo economico erano insieme: il futuro da rifare era più grande del presente da suddividersi. E nell’incredibile campionato mondiale del 1982, quando erano completamente outsider, sono stati insieme. E nell’entrata nell’euro. Gli italiani stanno per scoprire di trovarsi di fronte a un nuovo motivo per essere insieme.

Le conseguenze del racconto tragico dell’epidemia di coronavirus possono essere enormi. Se passa l’idea che non ci si può fidare di venire in Italia, il turismo crolla. Se “vivere all’italiana” non è più un’aspirazione mondiale ma un incubo malato, le esportazioni crollano. Se queste colonne di un’economia senza altre sostanze sono abbattute, ogni zona di confort sarà messa in discussione e gli italiani dovranno prendere atto della necessità di collaborare per risollevarsi.

Ora ci vuole un’idea da portare avanti insieme. Va elaborata presto e messa in atto bene. Un bel pezzo di Andrea Fontana sulle Formiche va in questa direzione.

Trasparenza

Forse possiamo fare in modo che il frame cambi puntando sul fatto che siamo trasparenti nell’informare la comunità internazionale sulle nostre condizioni, che se siamo stati i primi ad ammalarci e che siamo i primi che guariscono.

A Singapore la trasparenza e la buona informazione sono parte della cura. Segnala Marco Bonvini su Twitter (via Paolo Ciuccarelli) questa visualizzazione di dati.

Ma questa è una prima idea.

Per far meglio dobbiamo farci la domanda giusta. Il coronavirus è la crisi scatenante, quella che ci fa vedere oltre l’apparenza. La realtà è che per vent’anni siamo andati avanti per finta. Lasciando andare molte grandi aziende, le infrastrutture, facendo poco per l’ambiente, allontanando i ricchi e i poveri, dimenticando di rassicurare e rafforzare i nostri giovani, diminuendo le risorse per la scuola e l’università, accettando un degrado della qualità del dibattito pubblico e un disinteresse generalizzato per le scelte politiche corroborato da una violenza mentale montante. Un paese in macerie, dal punto di vista culturale e per molti versi economico. Che questa epidemia ha scoperchiato.

L’idea che cambia il frame è che l’Italia diventa il luogo dei giovani. Diventa il luogo della creatività autentica. Diventa il luogo che ricuce l’esperienza di chi ha sempre fatto bene il proprio lavoro con l’onestà di chi non ha ancora avuto la possibilità di dimostrare quanto può dare agli altri e alla società. Un paese per i giovani, italiani e non italiani. Accolti da italiani di una certa età che hanno ancora qualcosa da insegnare e vogliono farlo. Per una nuova ricostruzione. Non è un’idea di comunicazione ma di organizzazione delle priorità.

Può essere un approccio. Può essere discusso nei particolari.

Ma vale la necessità di una nuova consapevolezza. La complessità è troppo grande per poter essere gestita dalla singola persona. Il ciclo dell’individualismo finisce impantanandosi nella complessità. L’unica modalità per affrontarla è la ricostruzione della dimensione di comunità.

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Sembra un film di scarsa qualità
Comunità e scalabilità. Appunti

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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