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Come i polli di Renzo

“Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”. (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, capitolo III).

Renzo va dall’Azzeccagarbugli e per ripagarlo del servizio che gli chiederà, gli porta quattro capponi. Questi polli sono destinati a finir male tutti insieme: sono compagni di sventura ma non trovano di meglio che beccarsi tra loro.

Non è venuto in mente solo al Manzoni di paragonare gli umani ai polli. Ma in certi casi la metafora diventa un’evidenza tremenda. In una fase di crisi globale, con il cambiamento climatico che già inizia a stravolgere gli ecosistemi più diversi, con la polarizzazione sociale che separa sempre più disperatamente chi è dentro e chi è fuori dalla dinamica della generazione di valore economico, con la distribuzione ineguale della conoscenza e delle opportunità di educazione, gli umani non trovano di meglio che discutere allo spasimo su una quantità impressionante di dettagli, dividendosi in regioni, nazioni, tribù, campanili, ecochamber… In questa fase sembra che decine di capi di stato, migliaia di partiti e partitini, milioni di utenti di social network abbiano capito che se vogliono conquistare un pezzo di potere devono dare addosso con veemenza a qualcun altro, generando conseguenze difficili da dimenticare e ferite difficili da rimarginare.

Gli umani hanno sempre litigato, purtroppo. Ma ci sono epoche nelle quali i conflitti sono funzionali a una modernizzazione. Ci sono altre epoche in cui un’ideologia o una forma elaborata di pensiero conduce gli umani alla guerra, alla rivoluzione o alla lotta. Ci sono condizioni tanto insostenibili e improvvise da generare rivolte meno pensate ma facilmente interpretabili perché fondate su fatti che accomunano i molti sofferenti e li separano dai pochi privilegiati. Ma il litigio attuale sembra un portato tecnico del sistema della comunicazione: la potenza dei social network è tale da consentire a certe forme di comportamento litigioso, accusatorio, dietrologico, complottista, di ottenere traffico e attenzione sufficienti da costruire un potere esercitabile in qualche modo. L’unico pensiero, in questi casi, non è nelle persone che parlano ma nella progettazione delle piattaforme che usano.

Sulla rete si può ancora costruire una sorta di intelligenza collettiva degli umani capace di affrontare le questioni importanti, dal clima all’inclusione sociale ed economica. Ma per costruirla occorre occuparsi di ripensare le piattaforme in modo che incentivino comportamenti orientati all’informazione di qualità, alla deliberazione metodologicamente corretta, alla decisione partecipata. Tutti obiettivi unificanti. Tali da creare condizioni per una collaborazione: nella comunità, nella comunicazione, nei commons…

Se non si fa nulla, i polli continueranno a beccarsi, fino a che non finiranno nella pentola di qualche azzeccagarbugli.

Vedi:
Dorsey spiega perché Twitter non accetterà più la pubblicità politica
Wikipedia spiega Wikitribune
La dichiarazione dei diritti in internet

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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