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Orgoglio pubblico: è possibile

Grazie all’Istituto italiano di cultura a Bruxelles, una discussione sul “Public pride” con Maria Savona dell’università del Sussex e Maarten Goos dell’università di Utrecht.

Nessuna idea di tornare a una sorta di statalismo ma chiaramente un pensiero del ruolo pubblico rinnovato, orientato agli incentivi, alle regolamentazioni, alla costruzione di nuove soluzioni per l’inclusione sociale, la redistribuzione delle risorse, l’accesso alla cultura e all’istruzione: il tutto per guidare un sistema complesso come quello dell’economia contemporanea.

Il fallimento del mercato reinterpretato dal capitalismo privatizzatore, deregolamentatore e finanziarizzatore è sotto gli occhi di tutti dal 2008. La difficoltà del passaggio a una nuova legittimità dell’intervento pubblico è altrettanto evidente. La priorità della dimensione di comunità richiede che questa riesca a scalare dal localismo a qualcosa di globale, il che è tutt’altro che scontato, purtroppo.

Il tema del ruolo pubblico più forte si pone. Senza ritorni al passato. Ma per innovare con un senso. Siamo solo ai primi passi di un possibile cambiamento. E non è detto che riesca.

Fintantoché le iatituzioni pubbliche saranno guidate da persone che pensano in chiave privatistica la nuova fase faticherà ad affermarsi. Ma resta il fatto che certe istituzioni si danno da fare almeno per comprendere la situazione. La Commissione europea ha affidato a economisti come Savona e Goos il compito di definire il problema del lavoro del futuro e ha trovato in risposta un approccio orientato a sottolineare le responsabilità e le opportunità pubbliche.

Se funzionasse il mercato, per esempio, lo spesso denunciato disallineamento tra le abilità tecniche e specialistiche richieste dalle aziende e la preparazione garantita dal sistema educativo dovrebbe essere risolta da investimenti privati in istruzione. Ma non accade, osserva Goos. E del resto se funzionasse il mercato come sistema di informazione e decisione razionale non ci troveremmo ad affrontare l’emergenza climatica perché le risorse sarebbero state riallocate in modo ottimale: del resto, non per niente gli avversari dell’azione necessaria a fronteggiare l’emergenza climatica si appellano al mercato per negare la necessità di un intervento pubblico a regolamentare il percorso disastroso dettato finora dal capitalismo.

Ma come dimostrato in una discussione della scorsa settimana sempre al Bozar di Bruxelles e sempre grazie all’istituto italiano di cultura, un approccio pubblico sistemico che pure è necessario per avviare lo sviluppo nella direzione della sostenibilità, secondo Enrico Giovannini, portavoce dell’Asvis, ha bisogno di essere implementato per misure limitate, precise e impattanti, come sostiene Daniel Gros.

Una di queste potrebbe essere – nell’ambito della sostenibilità dell’ecologia dei media digitali – la creazione di Trust pubblici per archiviare e gestire i dati generati dagli europei nel contesto digitale, come suggerito dalle riflessioni di Maria Savona. Una policy per l’antitrust, per la privacy e per l’innovazione potrebbe giovarsi della separazione dei dati dal controllo delle grandi piattaforme che finora li hanno monopolizzati e che potrebbero in futuro accedere ai dati personali nei limiti di quanto richiesto dalla loro operatività con molti meno spazi per abusarne. Che questo avvenga con un unico Trust pubblico, con molti trust e intermediari in concorrenza, con un sistema di commons, o altro è questione aperta ovviamente alla discussione. Ma che la pura privatizzazione della conoscenza e dei dati personali abbia gli anni contati è una concreta, sebbene per ora teorica possibilità.

Vedi:

Thanks to Extinction Rebellion, we’re experiencing a climate culture change

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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