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Eccoci di nuovo: perché Apple non dà in licenza il suo software? Un dibattito che dura da 30 anni ma sempre interessante

Vivek Wadhwa, che ora insegna a Carnegie Mellon, prende in considerazione la diminuzione delle vendite di iPhone dalle quali dipende per ora il fatturato e l’utile della Apple e propone una sua idea: che la Apple dia in licenza il suo software IOS ai produttori di hardware per ottenere un numero maggiore di utenti e vendere più servizi in sottoscrizione (Vivek). Sarebbe un po’ quello che Google ha fatto con Android.

Il dibattito sulla licenza del software della Apple non è una novità. Nel 1985 la Apple si trovò di fronte a una scelta analoga. John Sculley aveva appena cacciato Steve Jobs. La Apple aveva il Mac ed era davanti a tutti in termini di qualità del sistema operativo. Ma produceva tutto, dal software allo hardware. E non era molto facile. I conti non tornavano. E Bill Gates fece una proposta sconvolgente.

Background. Steve Wozniak aveva scelto Motorola per produrre i microprocessori dei computer della Apple. Ma non faceva solo microprocessori e dopo qualche anno si capì che Intel avrebbe avuto più attenzione per questo mercato, poiché era il suo core business. Quando IBM scelse Intel per il PC, Motorola fu messa in un angolo. E Andrew Grove, il paranoico leader dell’Intel, promise a sé stesso e alla sua azienda che non avrebbe mai mollato la leadership nel settore. Nello stesso tempo, IBM aveva dato a Bill Gates il compito di fornire il sistema operativo dei PC e la Microsoft a sua volta lo fornì in licenza all’IBM e a tutti i cloni che usavano Intel come microprocessore. Apple produceva i suoi computer che funzionavano solo sul suo hardware. L’ecosistema dei compatibili IBM cresceva a velocità molto superiore. Ma quando fu introdotto il Macintosh tutto ricominciava da capo.

Il Macintosh era un sistema operativo rivoluzionario per i prodotti commerciali. E tutti capivano che aveva cambiato il futuro. Il mouse, le icone, la semplicità d’uso, la simpatia dei disegni si opponevano alla dura realtà dei segni verdi su campo nero e dei comandi incomprensibili del MS-DOC, il sistema operativo della Microsoft. Il primo a rendersene conto era lo stesso Bill Gates. Che aveva un problema e un’opportunità. Il problema era che sull’MS-DOS giravano programmi applicativi di terze parti, per scrivere, fare le presentazioni, fare i conti. L’opportunità era che sul Macintosh, in un anno, la Microsoft aveva conquistato la leadership per i programmi applicativi. E decise di scrivere a Sculley, come riporta Jim Carlton nel suo libro del 1997 intitolato “Apple”, scritto quando sembrava che la casa della Mela fosse sull’oro del fallimento e invece si stava per trasformare nell’azienda più grande del mondo.

Bill Gates scrisse a Sculley: “Apple must make Macintosh a standard”. Non è il prodotto che conta, disse Gates, ma l’architettura. Questa è la questione strategica. L’architettura serve alle terze parti per scrivere e diffondere i loro software applicativi e creare un “momentum” intorno al sistema operativo tale da renderlo uno standard. A quel punto l’architettura governa il processo. Per riuscire in questa operazione è fondamentale che Apple faccia il Macintosh in modo che possa girare su Intel e che dia in licenza il sistema operativo a terze parti che facciano a loro volta hardware con quel sistema operativo. L’idea di Gates era che si sarebbe concentrato sul controllo delle applicazioni strategiche e avrebbe lasciato alla Apple il controllo del sistema operativo che a quel punto era tanto più avanti di quello della sua Microsoft. La Apple rifiutò. E anzi portò avanti una battaglia legale contro tutti i produttori di cloni dei suoi prodotti. La Microsoft ci mise dieci anni per produrre un sistema operativo paragonabile al Macintosh e comunque peggiore. Ma mantenne il ruolo di standard. E con il tempo conquistò anche il sistema delle applicazioni con la suite Office. Dal 1995 la Apple entrò in un loop negativo che sembrava portarla a chiudere, ma fino a quell’anno la superiorità del suo sistema operativo l’aveva tenuta in vita, grazie alla fedeltà dei suoi clienti e alla chiara qualità del suo prodotto rispetto alla concorrenza. Aveva fatto bene o male Sculley – insieme a Jean-Luis Gassée che aveva sostituito Jobs – a rifiutare di dare in licenza il software? Non aveva ottenuto quella posizione strategica, ma aveva guadagnato dieci anni, in un’epoca in cui cambiava poco nell’informatica.

Nel 1995 successero tre fatti. La Microsoft uscì con un sistema operativo decentemente simile al Macintosh e conquistò l’attenzione di tutti come il dominatore del sistema. La Netscape andò in borsa e fece un boom tale da far capire a chi voleva capire che il futuro era cominciato in un nuovo paradigma: il web. E la Apple concesse in licenza il Macintosh a qualche produttore indipendente. Ebbe ragione la Apple con quella decisione? Il suo 7% di quota di mercato non si mosse poi troppo. Ma le spiegazioni sono diverse: in quel momento la licenza di Macintosh non era più tanto interessante visto che finalmente c’era Windows95; oppure in quel momento nessun sistema operativo era interessante visto che il browser era il nuovo contesto nel quale si sarebbe sviluppato il business. Sta di fatto che Steve Jobs, tornato alla guida della Apple, chiuse il programma per le licenze del Macintosh nel 1997 e non se ne parlò più.

La proposta di Vivek ricorda quel dibattito. Il punto è questo: la Apple vive meglio facendo enormi profitti sull’insieme limitato dei suoi clienti affezionati e con i suoi prodotti ben curarti riesce a conquistarne altri, oppure abbassando il livello di profitti e aumentando i clienti, diffondendo il suo software anche su hardware diversi, talvolta meno curati dei suoi? Sulla quantità di profitti la risposta è dubbia. Ma sulla qualità identitaria della Apple non c’è dubbio: la sua condanna è fare i suoi prodotti con perfezione assoluta e inventandone di nuovi per conquistare una fetta di un mercato che non c’è prima che arrivi la concorrenza. I cloni non sono mai stati il suo modo di operare. La condanna strategica della Apple, se ci sarà, non dipenderà dalla sua decisione di dare in licenza il software o no. Anche perché la Apple può sempre dare in licenza i diffondere su altre piattaforme le applicazioni che portano sottoscrittori (in fondo iTunes si trovava anche su altre piattaforme, perché non dovrebbe riuscire in qualche modo a diffondere anche Music o un servizio simile?). La condanna strategica della Apple, se ci sarà, dipenderà dalla sua capacità di innovare.

Vedi anche:
Che cosa è diventata la Apple?
Giganti sulle spalle di giganti

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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