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Donald Trump contro Tim Cook. La storia che sarà scritta dal caso Apple vs. FBI e il senso delle proporzioni

Il caso che oppone l’FBI alla Apple è meraviglioso, ambiguo, importante. Non se ne esce con una soluzione facile. Per quanto possa sembrare strano, qui si sta scegliendo un passaggio fondamentale della grande trasformazione della convivenza civile. La storia del futuro è scritta dalle scelte che facciamo adesso. E il segreto della decisione non è in una ricetta: ma nell’approccio che sarà adottato per risolverla. E’ più complicato, ma è più giusto.

Innanzitutto, togliamo di mezzo le banalizzazioni. In effetti, di fronte a questo caso, la prima reazione è tribale: chi sta con la Apple e chi sta contro la Apple; chi sta con l’FBI e chi sta contro l’FBI. La tribù di coloro che non si fidano della Apple la criticano perché fa prodotti chiusi, perché fa enormi profitti, perché paga poche tasse e altro. Questa tribù sostiene che la scelta di Tim Cook è soltanto un’operazione di marketing per gratificare i suoi clienti. Chi sta con la Apple si fida della sua visione e lungimiranza, sa che la tecnologia della Mela è più sicura di altre e vuole che resti così, mantiene al primo posto la consistenza progettuale dell’iPhone rispetto a qualunque interferenza governativa. Chi sta contro l’FBI parte dalla sfiducia nel Bureau: se le agenzie per la sicurezza americana, come Edward Snowden ha dimostrato, hanno fatto sorveglianza di massa in passato, proveranno a farla in futuro; se gli si offre una porta d’accesso all’iPhone per una volta, la useranno molte volte. Chi sta con l’FBI dice: un’azienda privata non si può opporre alle indagini della giustizia, specialmente in un caso di terrorismo o simile.

Donald Trump, candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti ha detto che la Apple sbaglia, deve fare il suo dovere: “Chi si credono di essere?” (BusinessInsider). Fine dell’argomentazione.

La Electronic Frontiers Foundation, da sempre attiva nella tutela dei diritti dei cittadini in internet ha detto che la Apple ha ragione: “La Apple sta combattendo una contro un ordine che potrebbe compromettere la sicurezza di tutti i suoi utenti nel mondo… Se apre un singolo iPhone, il governo chiederà di aprirne altri, e altri ancora, e rivolgerà il suo potere contro ogni strumento che abbia l’audacia di offrire molta sicurezza” (EFF). Insomma, non ci fidiamo del governo.

Ma non si può fare a fidarsi. O non fidarsi.

Non è una battaglia ideologica, religiosa, di preconcetti. Il vero problema è come declinare i diritti umani, gli equilibri costituzionali tra i poteri, la libertà e la sicurezza, in un contesto in grande trasformazione e che facciamo fatica a comprendere nella sua interezza. (Da leggere il pezzo di Fabio Chiusi)

L’FBI sta dicendo, in merito a questo, che vuole continuare a poter fare come ha sempre fatto: nessuna tecnologia di criptaggio deve essere tanto forte da risultare insuperabile per le indagini del Bureau. E se l’FBI si trova di fronte a una tecnologia che impedisce di indagare su un terrorista assassino e sui suoi legami, quella tecnologia deve essere rimossa da chi l’ha costruita. Un giudice federale ha dato ragione all’FBI pensando che si tratti di un’indagine circoscritta a un singolo iPhone. E l’opinione pubblica, emotivamente accesa dall’impressione generata dalla strage di San Bernardino, quell’opinione pubblica interpretata da Donald Trump, violentemente colpita dai fatti e decisa a “vendicare” la strage, sembra d’accordo. Non è tutta l’opinione pubblica. Siamo di fronte a una classica questione divisiva. Perché altri la pensano in modo opposto. Ma il punto, al di là dei preconcetti, è tecnicamente giuridico: se un giudice federale valuta che si debba procedere a perquisire quell’iPhone, come può la Apple opporsi? Oggi ne parla Beppe Severgnini: “La lettera di Apple è intitolata: «A Message to Our Customers», un messaggio ai nostri clienti. Ma i clienti in questione sono anche cittadini. E forse sono prima cittadini da proteggere, poi clienti da accontentare. A meno che Tim Cook pensi di essere il nuovo Thomas Jefferson e voglia cambiare la natura della democrazia in America, e non solo. In questo caso gradiremmo essere informati: basta un messaggio sull’iPhone” (Corriere).

Bisogna ammettere che tutto questo è ragionevole. Ma non è abbastanza per capire la situazione. Innanzitutto, la decisione del giudice federale non è assoluta: è appellabile. Un giudice diverso la può valutare e approvarla o no. E si può andare fino alla Corte Suprema prima di sapere se questa decisione di questo giudice federale è giusta o sbagliata. Il sistema costituzionale americano è fondato sulla ricerca del senso dell’equilibrio tra i poteri, certa di trovare un bilanciamento tra i punti di vista, allo scopo di generare decisioni proporzionate.

Va ricordato a questo proposito il caso giudicato un paio d’anni fa dalla Corte Suprema. La Corte ha dato torto alla polizia che aveva perquisito il telefono di un cittadino, senza mandato. Certo, il nuovo caso è diverso, perché qui il mandato c’è eccome. Ma non si può non ricordare che la Corte Suprema aveva votato all’unanimità contro la perquisizione, spiegando la decisione in modo alquanto significativo. Il giudice John Roberts Jr. aveva usato un argomento che superava il caso specifico e fa pensare a una elaborazione molto più ampia: aveva infatti osservato che gli smartphone hanno un ruolo centrale nella vita contemporanea, «hanno un’importanza tanto pervasiva e capillare nella vita quotidiana che il proverbiale visitatore da Marte sulla Terra potrebbe pensare che i cellulari siano un’importante aspetto dell’anatomia umana». Non sono uno strumento tecnologico, ormai, sono parte del corpo umano. Contengono più che informazioni: contengono la vita di una persona, le sue conoscenze, relazioni, coinvolgono il suo network sociale, le sue personali convinzioni… Insomma: il livello della discussione, ha detto la Corte Suprema, va innalzato al livello dei diritti umani e costituzionali, non quello delle dispute legali: è necessario aggiornare le questioni dei diritti umani e degli equilibri costituzionali per adattarle a un contesto nel quale una tecnologia ha cambiato tanto radicalmente le condizioni della convivenza civile. In questo caso, il mandato c’è e vedremo, se ci si arriva, come deciderà la Corte Suprema. Ma non è una questione legale, è una questione di visione del mondo (NyTimes).

L’FBI si appella a una legge sui mandati di perquisizione del 1789 per dimostrare di avere il diritto a chiedere quello che chiede alla Apple.

La proposta di Tim Cook è più articolata e contemporanea di quella dell’FBI (Apple). Anche lui parte dall’analisi dell’importanza dello smartphone per la vita quotidiana delle persone. Afferma che tecnicamente un modo per fare accedere l’FBI al telefono dell’indagato non esiste e andrebbe creato. Sappiamo che potrebbe essere creato, per il vecchio telefono dell’indagato, come dice Dan Guido. Ma Cook sostiene che se fosse realizzata una tecnologia che supera le chiavi di accesso in quel caso, si aprirebbe la porta dei telefoni passati e futuri al governo. E questo metterebbe in pericolo gli utenti in generale anche per intrusioni di criminali, terroristi, spie industriali e altro. Se passa il principio che l’FBI può far modificare la tecnologia della Apple, anche i telefoni attuali dovrebbero essere aggiornati in modo tale da ridurre la sicurezza degli utenti. Si dovrebbero riprogettare, visto che hanno sistemi di sicurezza molto più avanzati. E non sarebbe giusto, secondo Tim Cook. Che in fondo sta dicendo questo: noi facciamo prodotti che vendiamo, e una volta venduti non sono più nostri; sono dei clienti che ci mettono dentro un enorme valore, ci mettono dentro la loro vita, le loro relazioni, le loro convinzioni e conoscenze, tutte cose che appartengono a loro e non a noi. La Apple non fa terminali che restano sotto il suo controllo. Fa prodotti che diventano parte della vita degli utenti, nei quali gli utenti hanno fiducia, che perdono valore se non sono più tanto sicuri. E inoltre in quei telefoni gli utenti ci mettono software di altri produttori. Che a loro volta non sono della Apple. Nei telefonini ci sono i frutti di un ecosistema di produttori. E infatti WhatsApp ha dato ragione alla Apple. Così come Google (Sole). Se la FBI deve perseguire i criminali trovi un altro modo per farlo. Dice Cook con i suoi colleghi della Silicon Valley.

E c’è di più. Molto di più.

Probabilmente nel caso specifico, si troverà una soluzione di compromesso. Vedremo. Oppure arriverà uno come John McAfee che riuscirà ad aprire quel maledetto telefono senza che la Apple debba aiutare l’FBI (a quanto pare ci proverà). Se si arriverà alla Corte Suprema, forse ci si dovranno porre domande più profonde. Perché il problema è che occorre guardare oltre l’emozione di uno specifico caso, occorre immaginare una soluzione per il lungo periodo. Sappiamo che il contesto, in futuro, sarà diverso: dobbiamo interpretare il contesto che stiamo costruendo con le scelte che compiamo oggi.

I fatti, oggi, ci dicono che l’internet delle cose, i robot, l’intelligenza artificiale, possono portare in un mondo in cui gli umani stanno meglio, sono valorizzati, sono più liberi. O in un mondo nel quale la maggior parte di loro sono poveri ed esclusi. Sarà un mondo nel quale i robot rispondono ai loro proprietari ma devono prima chiedere il permesso alla polizia o all’FBI? Sarà un mondo nel quale sarà richiesto a ogni cittadino di mettersi un chip sottopelle per farsi rintracciare dalle autorità? Sarà un mondo nel quale le automobili e i social network dovranno collaborare attivamente con le agenzie per la sicurezza nello scovare i criminali? Dipende da come progettiamo quei robot, quell’intelligenza artificiale, quell’internet delle cose. E il modo in cui le progettiamo dipende dalla visione di società implicita nelle nostre scelte. L’alternativa tra privacy e sicurezza è frutto di una visione: una soluzione che garantisce insieme la privacy e la sicurezza può essere frutto di una visione diversa.

Un esempio?

Trump e gli altri anti-Apple giocano sull’emozione per la strage di San Bernardino. Ma siamo sicuri che guardare nei telefoni sia la cosa migliore per evitare la prossima strage? Sul quel caso e sulle innumerevoli stragi compiute da individui americani che sparano all’impazzata sulla gente, il presidente Barack Obama è intervenuto chiedendo l’applicazione di una strategia molto diversa dalla quella della riduzione della libertà dei cittadini. Tra le altre argomentazioni, il presidente ha suggerito che le armi in vendita negli Stati Uniti siano dotate di chip elettronici che consentano di tracciare chi le usa: niente di complicato sul piano tecnico, evidentemente, ma genererebbe una soluzione molto precisa, un controllo puntuale non su tutta la vita delle persone, ma solo sull’uso che fanno delle armi. Questa soluzione sarebbe interessante. Il cittadino che vuole andare in giro con un fucile d’assalto o una mitragliatrice lascerebbe una traccia digitale: se si dirige in una scuola e ci entra, durante le lezioni, scatta un segnale; se va in un supermercato, scatta un segnale… Quella sarebbe una forma di controllo ben diversa: il cittadino sceglie di prendere un fucile e, se esce di casa, accetta di cedere un po’ di privacy a fronte della sicurezza degli altri. Perché invece di insistere sul controllo della vita di tutti gli americani e i cittadini del mondo, l’FBI non partecipa alla battaglia per il controllo delle armi in America? E quale ragionamento di equilibrio costituzionale può privilegiare la privacy dei portatori di armi sulla privacy dei portatori di telefonini?

Tim Cook si gioca molto futuro della Apple su questa battaglia. Se dovesse perderla, con quello che ha detto, si troverebbe in enorme difficoltà. Dovrebbe dire ai suoi clienti che gli iPhone non sono più sicuri. O che potrebbero non esserlo. Evidentemente sa di rischiare molto. Se ha pensato di fare solo marketing con questa questione, ha sbagliato a sua volta le proporzioni. Perché le conseguenze di una sconfitta sarebbero difficili da gestire. Il conforto degli altri imprenditori della tecnologia è d’aiuto. Ma Cook farà un po’ di strada da solo nella relazione con l’FBI. E bisogna ammettere che ha dimostrato coraggio per sostenere una questione di principio. Non finisce qui. Soprattutto il ragionamento non può esaurirsi in un semplice post. Sarà scritto dai più esperti giuristi e visionari. Ma una cosa è certa: non si risolve solo con una prova di forza o con un preconcetto. Si risolve, se si risolve, proiettando i principi costituzionali nella contemporaneità e verso il futuro.

Vedi:
The U.S. vs. Apple: Does the FBI Have a Case?
Support Swells For Apple’s Opposition To iPhone Unlocking Court Order
Inside the FBI’s encryption battle with Apple
GOOGLE AND MICROSOFT BACK APPLE ON ENCRYPTION BATTLE WITH FBI

ps. Moltissimi commenti che non ho citato in questo post meriterebbero di essere richiamati. Man mano che li trovo li aggiungo qui sotto.

Fabio Chiusi
Beppe Severgnini
Dan Guido
Guido Scorza
Susan McGregor
Carola Frediani

Update:
Steve Wozniak: Jobs would have fought for privacy

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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