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Appunti sulle previsioni riguardanti l’intelligenza artificiale

Nel giorno in cui abbiamo perso Marvin Minsky vale la pena di leggere criticamente le previsioni sui tempi di sviluppo dell’intelligenza artificiale. Minsky era talmente entusiasta della disciplina che aveva contribuito a fondare che negli anni Sessanta pensava che i computer sarebbero diventati più intelligenti degli umani in un decennio o due. Già dagli anni Ottanta si era fatto più cauto. E l’anno scorso aveva detto che nei prossimi quarant’anni ci saranno grandi progressi, ma suggeriva di andarci piano con le previsioni (FT, Mit).

Oggi, per esempio, Narrative Scienze, l’azienda che tra l’altro ha dimostrato come si possa effettivamente generare cronaca finanziaria senza giornalisti ma usando essenzialmente intelligenza artificiale, fa una accurata autocritica delle proprie previsioni (NarrativeScience). Tra parentesi qualche commento personale:

1. L’intelligenza artificiale diventerà mainstream? Questa previsione appare azzeccata a giudicare dalla quantità di investimenti decisa da Facebook, Google e altri giganti digitali. Questo conduce l’azienda a prevedere una fioritura di invenzioni nel corso del 2016. (Ok, tra l’altro questi giganti sembrano voler collaborare tra loro, il che potrebbe far pensare a una fase di sviluppo accelerato della conoscenza disponibile anche fuori dalle loro mura aziendali. Vedremo).
2. Molto si concentrerà nella visualizzazione? La visualizzazione è importante, ma ancora più importante è lo storytelling per comprendere i dati. Per il 2016 l’azienda vede più integrazione di “linguaggio naturale” nelle piattaforme esistenti. (Ma questo è il business di Narrative Science…).
3. La democratizzazione dei dati diventerà la democratizzazione dell’informazione? Per ora non è accaduto, dicono all’azienda. (E probabilmente hanno ragione, intendendo probabilmente per “informazione” qualcosa di più simile a “conoscenza” che a “insiemi di bit”). In ogni caso, l’azienda per il 2016 prevede maggiori investimenti delle imprese nella comprensione dei dati e dei metodi che vengono usati per tirar fuori conoscenza dai dati (questa concentrazione sui metodi è un bene: l’idea divulgata da qualche banalone negli anni scorsi secondo la quale i big data sono la fine della teoria si rivela uno slogan promozionale ma una grande boiata).
4. Tutti si getteranno nei big data? A quanto pare non è così. Prima le imprese vogliono comprendere meglio i loro small data. L’uso dei veri big data sembra piuttosto complesso, ancora, ma la massa dei dati che si possono già analizzare potrebbe diventare la priorità per il 2016 (questo avviene anche perché non c’è un meccanismo intelligente che le diverse aziende possono usare per mettere insieme i dati e analizzarli anonimizzati a vantaggio di tutto l’ecosistema?).
5. I data scientist diventeranno la professione più attraente? Per ora non è successo in modo così generalizzato. La domanda è stata troppo più alta dell’offerta e le imprese si sono arrangiate, dicono in Narrative Science, tanto che adesso potrebbero ridurre la domanda di veri e propri scienziati dei dati (sarà vero per l’America: qui c’è ancora bisogno di formare persone capaci di trattare i dati sul serio, imho).

Quello che si impara giocando con le previsioni è che è più facile azzeccare la direzione del movimento che i suoi tempi. Come diceva Paul Saffo: “Never mistake a clear view for a short distance.”

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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