Il giornale non è la sua carta. È la sua squadra di giornalisti, è la comunità che si incontra intorno alle sue informazioni, è la promessa editoriale e metodologica sintetizzata nella sua testata.
Un tempo si poteva pensare che gli editori controllassero i giornali attraverso il controllo della tecnologia e di conseguenza del copyright. Ma negli ultimi vent’anni gli editori hanno perso il controllo della tecnologia. E Google o Apple o Amazon sono diventate il punto di riferimento tecnologico. Per gli editori c’è molto da imparare, ancora, in questa nuova situazione.
I giornalisti sono relativamente più liberi di provare le tecnologie innovative e di partecipare al percorso di queste innovazioni. Ma è chiaro che uno sviluppo armonico deve avvenire insieme a una crescita della conoscenza tecnologica degli editori. Perché il lavoro imprenditoriale non è necessariamente il cuore del lavoro giornalistico.
L’azione delle aziende tecnologiche, in questo settore, va seguita. Per il senso che produce. Per le opportunità che offre. E per il rischio che lasci indietro chi – editori o giornalisti – non ne comprende gli sviluppi.
Negli ultimi tempi, Apple ha lanciato un piccolo servizio di aggregazione di notizie che si propone di essere molto elegante e funzionale. E per questo sta assumendo giornalisti. E ieri Google ha fatto la sua ultima mossa: ha lanciato un servizio che deve servire ai giornalisti che vogliono usare i dati e gli strumenti di Google per il loro reporting. Di fronte a queste novità non ci si lamenta: si studia e si sperimenta.
Vedi, appunto:
Il giornale non è la sua carta
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