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Dalla scuola autoreferenziale all’educazione visionaria

Antoine Compagnon, storico della letteratura al Collège de France, ha dedicato uno dei suoi corsi all’anno 1966 (da ascoltare il podcast). E ha magistralmente mostrato come le riforme della scuola francese di quell’anno si confrontassero con il boom di iscritti e con la necessità di aumentare il numero di insegnanti: la scuola in quegli anni diventa una macchina che in prima istanza deve crescere e definisce i suoi programmi in modo da rispondere all’esigenza del momento. Il risultato è l’avvio di un processo che fa della scuola la riproduttrice di sé stessa. La conseguenza, si può sospettare, è alla lunga una scuola vagamente autoreferenziale.

Forse questa storia è adatta anche alla condizione italiana. Da anni, in effetti, si lavora a riformare la situazione. Ma forse il punto dal quale partire è proprio una lettura della contemporaneità alla quale si rivolge il servizio scolastico. L’autoreferenzialità si vince interpretando le esigenze attuali che la società trasformata esprime. E soprattutto quelle che non sa esprimere. La visione è il primo passo. L’esperienza il secondo. Un’organizzazione che in Italia riguarda circa 9 milioni di persone ogni giorno non può che essere al centro del rinnovamento del quale abbiamo bisogno.

Una quantità di insegnanti e di istituti stanno dandosi da fare in modo straordinariamente dedicato. Le famiglie sono ancora in gran parte profondamente coinvolte a supporto. Il governo tenta riforme. Ma a questo punto occorre uno scatto visionario. La scuola apre la strada al futuro, per definizione. E deve interpretare la prospettiva che si è aperta per la società italiana. Non c’è probabilmente responsabilità più grande per chi guida un paese.

Le grandi tendenze da contenere nella visione vanno dall’inclusione delle persone straniere – che costituiscono il fenomeno demografico più imponente del momento – all’aggiornamento della relazione tra l’educazione e il lavoro; dall’ammodernamento delle esperienze che gli studenti vivono a scuola alla qualità dei programmi; dalla presa di coscienza del nuovo contesto mediatico nel quale vivono i giovani al nuovo ruolo di guida che gli insegnanti sono chiamati a svolgere. Le strategie di memorizzazione e accesso alle informazioni sono cambiate, ma la leadership culturale degli educatori è una necessità ancora più forte.

Il tema è enorme e affasciante come pochi. E ovviamente non c’è post che possa affrontarlo in modo minimamente soddisfacente. Ma un convegno come quello di ieri a Genova, nell’ambito di Abcd, non poteva che lasciare tracce da, almeno, registrare.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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