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Epistemologia dell’innovazione

Un amico mi chiede una riflessione sull’epistemologia dell’innovazione tecnologica per un possibile corso. Ho buttato giù alcune idee. Ma i commentatori di questo blog, forse, le arricchiranno e approfondiranno.

È legittimo porsi il problema epistemologico dell’innovazione. Perché può avere molto senso tentare di sviluppare la nostra capacità di discutere il modo con il quale generiamo quella conoscenza che serve per immaginare, realizzare e verificare le idee innovative. Può essere un metodo, una filosofia, una cultura, una pratica. Ma è generazione di conoscenza. Dunque ha una implicita o esplicita epistemologia.

Obiettivo:
L’epoca che viviamo può essere l’avvento di un nuovo paradigma economico e culturale. E questa grande trasformazione appare come condizione e risultato di un’accelerata innovazione tecnologica, che sembra spostare costantemente il limite del possibile. Pensare il cambiamento significa comprendere la dinamica intellettuale e operativa dell’innovazione: una struttura culturale che unisce l’arte combinatoria delle diverse tecniche esistenti alla costante tensione verso la generazione di nuova conoscenza sulle conseguenze dell’innovazione. Al centro c’è un’epistemologia pratica che si sviluppa tra i poli concettuali della “visione”, della “realizzazione funzionale” e dell'”adozione”. Per vivere attivamente questa fase storica occorre conoscere come immaginiamo le conseguenze dell’innovazione.
Contenuto:
– Approccio storico. La cultura materiale è fondamentalmente una seconda natura umana che si sedimenta nel tempo e definisce i limiti del possibile. L’innovazione non è la generazione di novità, ma la creazione delle condizioni per un cambiamento destinato ad avere conseguenze di lunga durata che spostano i limiti del possibile. A partire da Fernand Braudel.
– Approccio economico. L’innovazione nasce da un’atto di critica dell’esistente e da una visione dell’ancora non esistente. E quella visione è una sorta di teoria operativa la cui verifica sta nell’adozione dell’innovazione da parte del sistema. Quindi l’innovazione è contemporaneamente un atto di distruzione e di costruzione. A partire da Joseph Schumpeter.
– Teoria della complessità. Le dinamiche dell’innovazione tecnologica emergono come l’evoluzione in un ecosistema. Dall’approccio lineare all’approccio della complessità. A partire da Brian Arthur.
– Epistemologia delle conseguenze. La conoscenza tecnologica emerge da un metodo implicito nell’azione innovativa che si può definire in base alla relazione tra la generazione di una “visione”, la costruzione di “oggetti che funzionano” e la loro adozione da parte degli utilizzatori. Questo approccio presenta una metaforica somiglianza col metodo empirico classico della teorizzazione e della verifica: ma in questo caso il laboratorio è la realtà, ogni novità modifica chi osserva e chi è osservato. E nel caso dell’innovazione digitale, modifica le strutture stesse della conoscenza, della ricerca, della memoria, della comunicazione. Sicché ci stiamo dotando di un modo di pensare nuovo che potrebbe insegnarci a allargare la visione dalle conseguenze dirette a quelle indirette – ambientali, sociali, culturali – dell’innovazione. Siamo lontani dall’averlo sviluppato. Ma sappiamo che la “visione” non è “previsione”: è un insieme sintetico di esigenze, desideri, miti, narrazioni; più una chiara capacità di immaginare oltre il possibile attuale, con la conoscenza pratica di ciò che si potrebbe fare per concretizzare il cambiamento; più una fortissima empatia con il contesto che dovrebbe adottarlo.

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  • Molto interessante. Credo che si possa aggiungere molto partendo dalla letteratura classica dell’epistemologia del ‘900, strutturando un percorso che ricucia Kuhn con la Struttura delle rivoluzioni scientifiche, Feyerabend con l’anarchismo metodologico, Merton con la serendipità. Da qualche parte ho un capitolo della tesi di dottorato mai usato, più o meno centrato sull’argomento. Appena ho tempo lo cerco.
    C’è poi tutto un discorso da fare sulla tensione tra creatività individuale e innovazione collettiva; IMHO quello è uno dei punti più scottanti, sia dal punto di vista del senso comune che da quello della narrativa accademica.

  • Questa è una materia che mi appassiona molto. Il prof. Massimo Paoli, docente di innovazione all’Università di Perugia, lavorava su questo filone. Non a caso lo scelsi per la mia tesi. Purtroppo è venuto a mancare il 9 dicembre, ironia il giorno del mio compleanno.
    Tornando in-topic, concordo con bertram che Kuhn, Feyerabend e compari (Popper e Lakatos??) dovrebbero essere almeno accennati.
    Fra gli economisti ci sono Freeman e Perez con il paradigma tecnologico.
    Per la mia tesi studiai il lavoro di Bresnahan e Trajtenberg (http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=282685) sulle General Purpose Technologies e credo sia interessante.
    Altro non saprei, purtroppo non ho continuato a seguire la letteratura economica dopo l’Università.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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