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Ma perché tutta questa insistenza sulla critica del posto fisso? Per una narrazione più armonica

Un’economia complessa ha bisogno di molti tipi diversi di contratti di lavoro: professionisti e free lance, dipendenti e imprenditori, part time e stagionali… E così via. D’altra parte, ci sono persone che danno il meglio di sé se hanno un progetto di lunga durata e altre che si trovano meglio a passare velocemente da un progetto all’altro. Ci sono persone che guidano e persone che preferiscono essere guidate.

E allora che cos’è tutta questa storia del posto fisso che è stata avviata dalle dichiarazioni di alcuni esponenti del governo? A prima vista non si tratta di un discorso molto coerente con la realtà:

1. In qualche caso, si capisce che quelle dichiarazioni servono per discutere un supposto pregiudizio favorevole al posto fisso da dipendente che si pensa sia troppo diffuso tra i giovani e tra i genitori. Ma mi pare che questo pregiudizio sia abbondantemente smontato dalla realtà: oggi è davvero difficile trovare un posto fisso e si può ritenere che i giovani lo sappiano già.
2. Si può pensare che quelle dichiarazioni servano a discutere qualche convinzione presente tra i sindacalisti sull’articolo 18. L’idea sarebbe che se non c’è il posto fisso non ha senso difenderlo. Ma quel posto fisso protetto, mi pare, è stato fino ad ora il principale ammortizzatore sociale a favore dei giovani senza posto fisso: le famiglie con i genitori garantiti da un posto fisso davano ai ragazzi la sicurezza che il mercato del lavoro non poteva dare. La difesa dell’articolo 18 è connessa a chi il posto fisso ce l’ha già e con quello sostiene i figli che non ce l’hanno. In questo senso, non è un concetto collegato al futuro, ma al presente, ed è radicato nell’esperienza passata.
3. C’è inoltre un’interpretazione delle dichiarazioni governative orientata a descrivere una sorta di nuovo patto sociale, orientato a trovare più spazio e più garanzie per i giovani a prezzo di ridurre lo spazio e le garanzie per i meno giovani. Ma questo scenario non si può descrivere con poche frasi sul posto fisso. E’ meglio descriverlo nel suo insieme. Altrimenti non si capisce bene.

Oggi, l’economia ci sta dicendo che per i ragazzi che pensano a fare una nuova impresa ci possono essere più opportunità di quelle che ci sono per i ragazzi che puntano a fare i dipendenti. E’ una fase che può riservare molte bellissime sorprese per chi la comprende. Del resto, non se ne può dare un’immagine schematica: in fondo, anche le imprese lanciate dai ragazzi, se crescono, avranno bisogno di dipendenti. Sappiamo anzi che la gran parte della nuova occupazione è da anni generata più dalle start-up che dalle grandi imprese. Inoltre, sappiamo che mantenere i collaboratori in condizione di precarietà può andar bene nel breve periodo alle imprese, ma non costruisce capitale sociale nel lungo termine: e le imprese hanno bisogno di collaboratori contenti, sicuri e orientati a fare squadra. Non si ottiene questo con una continua insistenza sulla flessibilità se viene colta solo come libertà di disfarsi dei collaboratori. Quindi l’immagine del futuro può essere costruita solo diffondendo un’idea armonica, per la quale c’è maggiore facilità per chi vuole lanciare un’impresa e nello stesso tempo c’è rispetto per chi vuole fare il dipendente. Si può partire dall’insistenza – per molti versi giustissima – sulla liberazione delle opportunità per le start-up, che si dimostrano importanti e innovative. Ma l’immagine del mondo che stiamo costruendo non può essere un mosaico di fotografie e pregiudizi. Deve diventare una narrazione coerente, diversificata, interessante.

Il governo è stato capace di spiegare le sue scelte con moltissimo equilibrio, finora. Ma questa fase del dibattito sul futuro del lavoro dovrebbe essere più orientata a ispirare un più chiaro senso di rinnovamento, di giustizia, di equilibrio, di armonia e di opportunità, che evidentemente richiede cambiamenti nelle abitudini mentali: ma i cambiamenti necessari non si comprendono e non si assorbono se si parla in modo troppo insistente delle abitudini da abbandonare. Le persone, a mio avviso, sono pronte a comprendere una nuova immagine dell’economia se la sua descrizione sarà più concreta, visionaria, costruttiva.

Vedi anche:
Un pezzo di Raffaella Polato, Corriere, sull’evoluzione del lavoro; e Francesca Basso la 27esima ora
Questo punto esclamativo sulle dichiarazioni di alcuni ministri (via Pier Carlo Lava); altre critiche sulla Stecca e Contorsionista.
La Repubblica cita le reazioni della rete per spiegare le precisazioni degli esponenti del governo
La survey di Liquida in materia

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  • Leggo, anzi divoro lo splendido post di De Biase, ne sono entusiasta perché ha centrato in pieno il problema ma mi domando ingenuamente se non si sono invertiti i ruoli. Se cioè un articolo del genere non avrebbe dovuto scriverlo la Fornero. È lei, nella sua qualità di ministro del lavoro, che ci dovrebbe spiegarci la complessità del mondo del lavoro, indicarci possibili vie per innovarlo, renderlo più vicino alle esigenze soprattutto dei giovani e prendere poi con equilibrio, anche se magari senza unanimità, le conseguenti e necessarie decisioni. Proprio della “narrazione coerente, diversificata, interessante” di cui parla Luca abbiamo bisogno per capire (meglio) e cambiare (in meglio e velocemente). Porto un banale esempio personale. Mi sono trasferito in Svizzera 17 anni orsono. Lavorando come psichiatra ho cambiato 4 posti di lavoro (dipendente), ed all’interno di quei posti molte funzioni, ora sono indipendente (e felice di esserlo). Molti dei colleghi e degli amici che ho lasciato a Brescia hanno mantenuto lo stesso posto pur cambiando e migliorando la loro funzione professionale. Ovviamente né io sono più moderno né i miei amici e collghi sono più attaccati di me a mamma e papà. Viviamo solo in contesti diversi. È ragionevole e sensato supporre che anche il mercato del lavoro italiano si adeguerà – ed in parte l’ha già fatto – al trend del resto del mondo. Conviene dunque prepararsi anziché fare resistenza. Ma per poter vincere le proprie paure e fare un passo in avanti servono, oltre che motivazioni personali,
    una discussione collettiva equilibrata, obiettiva, seria. Oserei dire astinente, nel senso terapeutico, anzi psicoanalitico del termine. Un confronto cioè dove non si discute per criteri ideologici (il posto fisso è statalista, vetero-sindacale) o morali (il posto fisso è pigro, monotono etc) ma ci si astiene invece da giudizi, si accetta la realtà, quella del mercato come quella dell’animo umano, e si cerca di modificarla al meglio, fino al prossimo cambiamento. Se non si rispetta questa sobria astinenza – che mi sembra voglia essere la cifra di questo governo, dopo tanta incontinenza pulsionale ed emozionale di quello precedente – si rischia di aumentare le resistenze, l’opposizione di principio, le tendenze al contrappasso moralistico (vd assurdo linciaggio della figlia della Fornero). Per fortuna quell’astinenza che consente analisi lucide ed approfondite di realtà complesse la
    ritroviamo in un post di un giornalista che è sempre un passo avanti…

  • “che ci dovrebbe spiegarci” splendido esempio di italiano scilipotesco in cui si incappa quando non si rivedono le frasi… Sarà la nemesi grammaticale. Chiedo scusa.

  • Come perchè ? Perchè quando si sta cercando di portare via qualcosa a qualcuno si comincia con il fargli credere che non è tanto importante. Ma tanto nessuno ci casca, perchè in tanti si sono sentiti rifiutare il mutuo dalla banche se non avevano un posto fisso. Da qui le reazioni scomposte e il comportamento goffo e ridicolo degli esponenti del governo quando predicano sull’argomento. E, no, la polemica sulla figlia della Fornero (e di Deaglio, non dimentichiamolo) non è tanto campata per aria. Volete vedere i curricula di tanti figli e figlie di ? Diatriba vecchia come il mondo, quanto conta il cognome che si porta ? E’, appunto, una diatriba. Ma non assurda. The jury is still out….

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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