Home » perplessità » Fin troppa libertà
perplessità

Fin troppa libertà

In Italia “abbiamo fin troppa libertà di stampa“.

Abbiamo? Chi? Troppa?

Libertà? A ben vedere, di troppo c’è fin troppo. In Italia abbiamo fin troppa libertà di televisione. Fin troppa libertà di evadere le tasse. Fin troppa libertà di corrompere.

In Italia hanno fin troppa libertà di disinformazione.

Commenta

Clicca qui per inserire un commento

  • Sulla libertà di stampa (e di parola, di cui la prima è conseguenza) si dicono fregnacce da parte di TUTTI. Ai costituenti (con la “c” minuscola) non fregava nulla, tanto che ne hanno delegato la regolamentazione alla mitica legge sulla stampa, che è sempre quella del 1948, nonostante il recente lifting. Il Silvio si incazza ma poi sono stati Il Giornale, Libero e Il Foglio ad affondare Scajola. Quelli che accigliati si agitano per la libertà di stampa, minacciata, viene da ridere, dal Silvio, dovrebbero fare, coerentemente, una campagna perchè venga inserito nella Costituzione un equivalente del Primo Emendemento della Costituzione degli Stati Uniti d’America. Altrimenti sono solo chiacchiere e distintivo (dell’Ordine, altra puttanata che limita la libertà di stampa). Fino ad allora, sono solo canzonette. Taaaarappappapaaaaààà, barabambambam.

  • Tutto vero, c’è troppa libertà di dire e disdire a proprio piacimento, con qualsiasi mezzo, tanto che alla fine è puro esercizio di ermeneutica per capire quello che c’è in ballo. Questo vale per il diritto positivo codificato dei giornalisti e tanto più per chi non ne deve rispettare i limiti, chi comunica per intenderci. Il cerchio non quadra comunque Marco, infatti anche se fosse stato recepito (e di fatto lo è grazie all’utopistica Europa) il diritto ad esser informati, rimane sempre un problema mal posto. Ho sentito al festival di Perugia interventi (Franco Debenedetti ne fa un cavallo di battaglia), in cui veniva negata anche l’ombra di conflitto d’interessi con doppia tesi fasulla: 1) che gli italiani non lo riscontrano tanto ché il referendumlo ha dimostrato; 2) che effettivamente la tv non incide sul voto perché Prodi ha vinto le elezioni due volte. Il primo argomento è di derivazione plebiscitaria, come chi dopo aver inquadrato l’omicida e la sua efferatezza, chiede alla scena di montaggio successiva se si è favorevoli alla pena di morte. Il secondo argomento non è neanche all’altezza di un sofisma, infatti non solo non dimostra niente, ma non riesce neanche a eludere il problema con un buon diversivo. Infatti basterebbe che incidesse lo 0,05 % per esser confutato, perché le elezioni si vincono anche per cifre più irrisorie. La pessima conclusione che ne esce è nel modo in cui il governo considera (mentalmente) i rappresentati (ebeti, più ecc).

  • Il Giornale ha coperto la notizia di Scajola solo dopo che era uscita, non vale. Fatto stà che ha contribuito ad affondarlo sì, perché se la fonte non è certificata dai giornali fidelizzati allora non sussiste il fatto a priori. Altro guaio con distinguo, a leggere come ha trattato la notizia il giornale, il ministro era alle solite della politica fatta con altre mani.

  • Io non so se in Italia esista molta o poca libertà di stampa. So che non esiste alcun valido organismo di garanzia sull’etica di chi fa stampa, editori e giornalisti.
    E ce ne sarebbe un gran bisogno.

  • Gianna, scusa la battutaccia: ma c’è l’ORDINE….
    Emanuele, ma il Gionale poteva anche cercare di minimizzare, cosa che non ha fatto (peraltro l’ennesima dimostrazione delle c********* che spara Fini: se il Giornale lo prende per il culo dandogli del coniglio (m***a!, un macho come lui) allora il Giornale è servo di Berlusconi, e allora con Scajola, cos’è, Berlusconi voleva farlo fuori e allora ha scatenato il Giornale ? Ma la logica esiste ancora ?
    Quanto al conflitto di interesse, è una questione diversa: Bloomberg è in ENORME confltto di interesse, ma qualcuno nega che negli USA ci sia libertà di stampa (di parola, cazzo !!!!, la stampa è una conseguenza) sancita dalla Costituzione con una Corte Suprema che ha il fucile spianato nei casi che riguardano il tema ? Andatevi invece a vedere la sentenza della Cassazione del 1984, quella che darà un colpetto da 700.000 euri al Fatto Quotidiano, e poi ne riparliamo.
    A proposito, l’Ordine come giudica un politico che in TV insulta un giornalista ? E’ la seconda volta che capita con un politico de senestra e silenzio tombale.
    Chiacchiere e distintivo.

  • Vedo che l’argomento in difesa è sempre su un punto diverso. Non ho detto che il Giornale è il neurone specchio del suo capo, infatti intenta dei ragionamenti propri, magari poi (mi devi concedere l’attribuzione però) solo per conquistarsi l’autonomia che per presupposto le è negata. Posso anche capire la situazione penosa di chi ci lavora ma questa è un altra storia. Dimenarsi per dimostrare che con fierezza hanno una loro idea, ci credono e non sono sudditi. Che tristezza.. Va bèh, c’è di peggio anche per questo. In merito a Bloommberg l’argomento è inappropriato non nella qualità ma nella quantità. Lo share in Usa dell’editore a quanto ammonta nei media? Lo andiamo a verificare? Sempre nella quantità, parliamo di uno stato su quanti ce ne ha l’American way for life..
    E’ un casino Marco 🙂
    D’Alema non conta più niente,ieri sera solo quello ha mostrato e non per smarrimento dell’elocubrazion chic..

  • Vuoi sapere la mia opinione: anche se fosse possibile eliminare ogni conflitto di interessi, la questione della libertà di stampa non cambierebbe di una virgola. La sinistra ha avuto due occasioni per risolverlo, perchè non lo ha fatto ? Troppo facile dare la colpa a D’Alema, quello che non conta più nulla. Non è stato fatto pechè l’unico conflitto di interessi che interessa è quello del Silvio, non sia mai che a qualche editore/imprenditore amico venga in mente di entrare in politica, e poi, signora mia, che si fa ?
    Qui si parla di libertà di parola e quindi di stampa: iniziamo a garantirla nella costituzione. Vediamo come si schierano le lobby. Nessuno la vuole nella costituzione, perchè perderebbe un utile bastone nel caso servisse.
    Il resto, ripeto, sono solo chiacchiere e distintivo, magari di pertito o di lobby, ma sempre chiacchiere e distintivo. Propongo un test, Luca, lancia sul blog una campagna di sottoscrizioni per modificare la prima parte della Costituzione emendandola secondo la dizione del Primo Emendamento della Costitzione degli Stati Uniti d’America. Ho già la penna in mano. Vediamo che succede, vediamo se almeno i grillini aderirebbero. Vuoi una previsione: NON FREGA UN ACCIDENTE A NESSUNO ! Quindi basta con le geremiadi sulla libertà di stampa. Usate quella che c’è e se nessuno vi legge, amen, è la democrazia, bellezze (voi generico).

  • Marco per favore l’unico ordine che vedo funzionare in italia è quello attaccato a Law il pomeriggio su sky.
    Gli ordini non servono a nulla. Occorre l’Ordine dei cittadini, e soprattutto occorrono “i” cittadini.
    L’Ordine serve a cosa? Chiediamo a Luca se a lui in redazione non è mai capitato un ragazzo bravo , capace, con idee, con facilità di scrittura, privo del famodo tesserino al quale in teoria sarebbe negato anche prendere appunti.
    Quale ordine puo garantirmi da persone perennemente in malafede, condannate, sospese, indagate che controllano giornali, emettono pareri, condizionano la vita.
    La diffusione delle notizie è talemnte vasta e immediata che non si puo delegare ad una commisisone che si riunisce ogni morte di papa di giudicare fatti e comportamenti che sono già obsoleti cinque minuti dopo essere usciti.
    L’etica è un valore che deve essere riscoperto da chi si impegna in questo lavoro e soprattutto deve essere richiesto come imprescindibile da chi legge.
    Se Feltri (nome a caso) è stato condannato, non lo dovrebbe leggere piu nessuno, se non i suoi amici sui biglietti di auguri di natale.Cosa che sono convinta capiterebbe in America.
    Qui qualunque mascalzone ha diritto di sparare le peggiori insinuazioni BASTA CHE ABBIA IL FAMOSO TESSERINO!

  • Ho sempre più l’idea che la libertà di stampa, sia un altro discorso del conflitto d’interesse. Sono portato anche a credere che eliminare il secondo tocchi solo marginalmente la libertà di stampa. Non sono certo io che sostengo un difetto di libertà attinente alla stampa. Di certo la situazione è molto più articolata e complessa della televisione.
    Non a caso si tende a spostare l’argomento sulla libertà (che manca o non secondo l’interesse di chi la reclama). Sulla situazione televisiva non è stato risolto il conflitto di interessi (in sintesi) per inopportunità di espropriare una libertà garantita (l’impresa) in termini di consenso. Ovvio che è quella la ragione. I giochi erano stati fatti con la Mammì del 90 a livello legislativo. La Corte da quel momento in poi (dopo che diede per sua mano il via libera per nell’86 se non erro) non ha fatto che procastinare una inarrivabile scadenza a trasmettere (o saltare sulle parabole). Giochi di ricatti su cui si stabilivano equilibri e che continuano a rivivere. La qualificazione che ho dato a D’Alema era un’iperbole, mi resta difficile renderlo capro espiatorio. Completamente d’accordo che “non frega un accidente a nessuno”.

  • si, marco.
    ma mi innervosisco sul tema.
    Idem Ordine dei medici.
    Emanuele ma perchè non ci concentriamo non tanto sulla libertà di stampa quanto sulla critica della lettura?

  • Rispondo io per me: perchè la critica della lettura è una fatica tremenda, e a meno che uno abbia poco altro da fare (ricco di famiglia) prende un sacco di tempo già su alcuni temi. Non è umanamente possibile, in un mondo dove l’informazione E’ comunicazione, riuscire a farlo su tutti i temi. Sono diventati bravi, i giornalisti/comunicatori (e i loro foraggiatori di comunicazione “grezza”, lo dico con cognizione di causa perchè di mestiere faccio il comunicatore). Una volta era facile: si usavano i paletti ideologici, c’erano le direttive del partito, e il giornale del partito a indicare le linee interpretative. Tutto quello che non passava dai buchi del setaccio ideologico veniva scartato. Oppure c’era la solida formazione universitaria al pensiero critico nelle scienze, il latino e il greco ad abituare all’analisi, ok, non vorrei passare da laudator temporis actis più di quello che sono.
    E poi, come giustamente dici, ti fai il sangue amaro quando vedi sparare certe vaccate. E ancora di più quando vedi, nei settori e sui temi dove sei “forte”, vaccate “raffinate”, oggettivamente difficili da scoprire. Dati manipolati, non sequitur logici, fenomeni citati al 10 per cento e ignorati al 90. Lo vedi come me la prendo da certe mie reply su questo blog. Ma uno alla fine vorrebbe vivere sereno.

  • Infatti, non mi rimane che buttarla sul cinico cinico Gianna, perché come ha detto Marco, tocca lavurà.. La critica alla lettura è quello che mi ha appassionato di più nei periodi oziosi. Avevo creduto che primo o poi riuscissi addirittura a trovare una disciplina che quadrasse il cerchio. Abbagli con la semiotica ne ho presi tanti. Dopo l’inter e poi il multidisciplinare dicono che apre la via 🙂 Ora mi tocca incrociare numeri e riscontrare congruenze per dimostrare verità inesistenti, forse l’ultima spiaggia prima della rovina. Ti pongo una domanda stupida Gianna, impersonando lo slogan be stupid (dicono che è un modo per innovare), qual’è secondo te la disciplina più potente per la critica della lettura? E quella su cui magari concentreresti le priorità d’insegnamento per formare persone spiccatamente autonome…

  • emanuele m’hai messo in crisi.E forse la mia risposta sarà assaj piu banale della domada che lo è solo apparentemente. Purtroppo il mio livello culturale è medio basso, quindi non ho molte discipline a cui appellarmi.
    Dopo attento pensiero direi, quindi, la matematica.
    (il captcha mi propone colosseum e taking, Luca c’hai un captcha scajolano)

  • Personalmente credo che la libertà di stampa in Italia oggi sia frenata soprattutto da condizioni strutturali oggettive che impediscono a soggetti “istituzionali” di inserirsi con efficacia sul mercato (faccio riferimento a giornali, riviste, ecc. considerati “qualificati” per le loro caratteristiche giuridiche, concetto sul quale si può ovviamente discutere). Penso alle norme per poter operare nel mercato come soggetto regolarmente iscritto, ai freni economici che vincolano la possibilità di competizione, a tutte quelle barriere all’ingresso che i nuovi operatori del settore sono costretti a scavalcare.
    Credo che la possibilità per i piccoli (e in fondo anche i grandi) editori di poter fruire di forme di profitto differenti (crowdfunding, modelli legati al web, ecc.) possa contribuire a costituire un modello di democrazia dell’informazione più avanzato. Basato sul decentramento e la “capillarizzazione” delle entrate e allo stesso tempo partecipato dai lettori, con una linea editoriale condivisa ed espressione delle esigenze della comunità.

  • Ivan, quello che tu dici esiste da tempo immemore e si chiama “abbonamento”: non ha mai funzionato, ma non perchè le poste non funzionano (ci sono mille modi alternativi di consegna). Il problema è che la “comunità” non è interessata. Quanto al crowdfunding, permettimi di evidenziare un problema: perchè una serie di persone dovrebbe finanziare un articolo, un’inchiesta, una serie di articoli su un tema ? Vedo tre motivi: sapere certe cose che prima non sapevano, ma questo lo fanno le società di ricerca e i centri studi (per non citare gli investigatori privati)… ; vedere scritte su un giornale che non va solo a loro cose che loro sanno già ma presentate come se loro non le sapessero e siano una scoperta “libera” del giornale stesso: anche questo esiste e si chiamano “campagne di stampa ispirate” da lobby, aziende, partiti, insomma PR; sentirsi dire da una fonte “terza” ossia non da loro stessi o dai loro amici e sodali, cose che li confermino nella fede, una specie di catena di autoprediche ai convertiti: di casi così è piena Internet e cominciano anche le edicole: Libero, Il Fatto Quotidiano…. In tutti e tre casi non vedo la novità, e soprattutto il contributo alla libertà di stampa come mi sembra tu la intendi. Che possano costituire un business, è sicuro, e quindi un contributo alla mia (non solo mia) concezione biecamente capitalistica della libertà di stampa, è probabile. Che siano un contributo alla critica alla lettura, è dubbio, anche perchè nei due casi ultimi non mi sembra che ai committenti freghi qualcosa.

  • Ciao Marco,
    io credo che l’interesse nella comunità lo si debba incentivare con l’ascolto delle necessità, cosa che oggi vedo poco da parte dei mezzi di comunicazione “istituzionali”. Credo che le persone abbiano bisogno di essere ascoltate e di partecipare, credo che i temi da trattare vadano decisi insieme a loro e non imposti, altrimenti si ricade nelle tre ipotesi di cui parli. Altrimenti si finisce con l’abbonamento. Decidi pure cosa acquistare, pagamento a rate o in soluzione unica, ma il resto no, il contenuto lo decidiamo noi.
    Hai ragione. I tre motivi che elenchi sono tutti corretti. Però ne manca un quarto, che poggia sul modo in cui viene costruita l’informazione. Credo in un modello partecipato. Credo nel giornalismo partecipativo, una nuova frontiera tutta da sperimentare e resa possibile dall’innovazione tecnologica.
    Il motivo per cui le persone dovrebbero pagare è che la partecipazione crea valore. Un valore che non è raggiungibile né acquistabile con un articolo tradizionale, un valore che cresce non come somma algebrica ma con progressione geometrica all’aumentare degli attori coinvolti. Mille granelli di sabbia non sono sabbia ma una spiaggia (scusa la metafora banale). Il motivo per cui i lettori dovrebbero pagare è che la partecipazione crea appartenenza.
    Noi (Italia) non siamo gli Stati Uniti e quindi non prenderò a esempio ProPublica. In Italia i mecenati sono passati da un bel pezzo. Per questo il modello che si basa sul crowdfunding va integrato con logiche capitalistiche. Nuovi modelli di business che poggino su imprese, ma imprese “sostenibili” (e intendo sia da un punto di vista economico, che ambientale e sociale). Imprese che credano nell’innovazione, in primis tecnologica. Che comunichino e condividano la conoscenza. Che siano interconnesse e sviluppino sinergie. Dipendere da più modelli impedisce di essere schiavi di uno solo di loro. Ed è un toccasana per gli imprenditori. Perché diversificano il rischio. E quindi aumentano le possibilità di successo. Creando un’informazione meno dipendente da variabili economiche.

  • Ivan, tutto benissimo, ma l’informazione partecipata esiste già… fatta dagli appassionati a gratis. Il problema, che su questo blog si è discusso fino alla nausea, e’ come dare risorse agli appassionati migliori, semplifico, affinché diventino ancora più migliori (licenza poetica di uccidere la sintassi)… La speranza minima, almeno mia, è che dai vari esperimenti e tentativi in atto e in potenza, non si passi da bar dello sport online gratis a bar dello sport online a pagamento. I tre casi che facevo indicano il mio grado di fiducia sulle evoluzioni probabili.

  • Ora vi faccio ridere, così tanto per non deprimerci troppo.
    Ho aperto su Facebook una pagina a disposizione degli “abbonati” una bacheca extra dove linkare, pubblicare o mettere note al di fuori della propria cerchia di amici e degli amici degli amici.
    L’ho chiamato l’Eco di facebook.
    Per ora va forte in area discussione “DIETA? Perchè?” …
    -della serie fra il cazzeggio e la noia-

  • @Gianna, secondo me un po’ di sano cazzeggio ogni tanto va sempre bene e la pagina è davvero accogliente 🙂
    @Marco: condivido il rischio e tra l’altro non credo nelle news a pagamento. Mi fanno pensare a Ubik, di Philip K. Dick, dove Joe doveva pagare cinque cent anche per aprire la porta del frigo… e francamente l’idea mi fa venire da grattare.
    Credo invece che sarebbe opportuno passare il concetto che per avere qualità occorrono gli strumenti adatti (formazione e tempo su tutti gli altri). E questi costano. I lettori non sono stupidi, queste cose le capiscono. Dipende da quali argomenti dovrebbero finanziare volontariamente (NON pagare, la differenza c’è, forse è sottile, ma c’è). Io non sono così pessimista. Di sicuro vale la pena tentare, no?

  • Ivan, sarò catalogato nella categoria degli antinnovatori, ma in tutta onestà, quando leggo nelle enunciazioni imprese “sostenibili” nei media informativi, ho l’idea che qualcosa sia sovrastimato. Sostenibili devono esser le imprese che godono di vantaggi, protezioni o settori protetti, che inquinano, che monetizzano introiti lasciando fuori dal proprio mercato i costi che generano, ottenendone profitto.. L’economia dell’informazione ora è proprio quella che subisce le esternalità negative, anche se di ordine sopratutto tecnologico. Nel mio ragionamento sarebbe legittimata a chiedere il conto, non a spulciare solidarietà o a mascherarsi da “sostenibile”. Ho eccessivato ma qualsisi modello di business parte sbilenco, perché la maggior parte del valore viene capitalizzato da altri soggetti. In una analisi costi benefici, questi ultimi si frammentano e chi riesce a accorparli del tutto sono i fornitori di accesso alla rete. Ecco chi dovrebbe pagare il surplus che ottiene il lettore.

  • @Ivan, ma come, quella è l’economia dell’accesso di quello strnz di Rifkin. E così oggi ho detto la prima cattiveria della giornata (no, è la seconda, ora che ci penso, la prima qui).

  • Emanuele, quello era il modello che andava per la maggiore ai tempi della New Economy (1998-2001), con le TLC che si mettevano a fare informazione: es APBISCOM e Il Nuovo. Era un concetto propugnato da BAIN & Cuneo ed Ernst & Young, contenuti, contenuti, contenuti, per trainare il core business e poi al limite fare profitto (ho visto dei business plan che voi umani non potete immaginare…). Non penso che qualcuno sia in grado di fare pagare alla TLC cose su cui non fanno un utile, e infatti i contenuti, quando si sono dimostrati in perdita e non influenti sul core business, sono finiti nel ces…tino.

  • Vero, era una provocazione la mia Marco, lo so che non sono disposte a pagare contrattualmente. Indentevo una forma di imposizione fiscale (non saltare dalla sedia eh che anche questa è vecchia ormai). La scaricherebbero sugli utenti? Come fanno tutti i produttori di cd o altri materiali tassati per il diritto d’autore d’altronde. Se proprio si volesse andare a fondo, verrebbe creato fondo perequativo finanziato con quel tributo da redistribuire con appositi parametri di readership. Si può mettere anche più soft, il fondo sarebbe uno dei tanti creati sotto l’ombrello dell’innovazione, gli editori accedono in modo ripartito per quote di risultati. Questa è una curiosità mia, ma gli editori partecipano alla pluralità di fondi che vengono elargiti per mille sciocchezze?

  • Emanuè, vabbè, ma è sempre più complicato…
    A volte penso che stiamo cercando una soluzione unica ad una richiesta di informazione che non è più unica: c’è una fascia alta, di solito specializzata, che le informazioni sa già dove trovarle; una immensa fascia bassa che non gliene frega nulla o a cui vanno benissimo le chiacchiere da bar dello sport online, le giaculatorie, le prediche ai convertiti, tutta roba i cui autori sono dispostissimi a produrre e distribuire gratis. In mezzo c’è la fascia di pubblico che oggi compra i giornali quindi non è così sofisticata e specializzata coe la fascia alta e vuole qualcosa di più della fascia bassa, una fonte di informazione generalista, affidabile, che contenga le cose che sente in giro. Ho la sensazione che questa terza fascia, cui si rivolgono con speranza tutte le soluzioni di cui stiamo vagheggiando (iPad, crowdfunding, etc) si sta restringendo comunque, perdendo verso l’alto e soprattutto verso il basso. Probabilmente è uan questione di evoluzione della società, del modo di fare istruzione, degli interessi che la società si aspetta che un suo componente medio abbia, anche delle cose che si discutono davanti ad una pizza.

  • @Emanuele, io penso che una sana alimentazione faccia bene a tutti, non solo a chi ha il colesterolo. Fuor di metafora, un’impresa sostenibile non potrà che beneficiare di un modello di business “sostenibile” (intendendo non solo rispetto per l’ambiente, condizioni sociali, ecc. ma soprattutto cura per la relazione umana). Qualsiasi impresa che non metta l’essere umano e il suo rapporto simbiotico con l’esterno al centro della propria attività non può che finire nel ces… tino di cui parlava Marco. Secondo me è solo questione di tempo (forse lo vedranno i bis-nipoti, ma sempre tempo è). L’esigenza è di business, non etica (lo dico con licenza di castroneria post 23:00).
    @Marco, perché “quello strnz di Rifkin”? Odorerà di ideologia e forse teleologia forzata, ma alcune intuizioni secondo me non sono male, andrebbero solo attualizzate al contesto… spero questo non ti porti a dire l’ultima cattiveria della giornata. O la prima di domani mattina 😉 Condivido il messaggio sulla fascia di mezzo, ma considero la fascia bassa non come una causa persa ma come un’opportunità. Imprenditorialmente, chi capirà come coinvolgere attivamente quella larga parte della popolazione che “dorme” (continuo purtroppo ostinatamente a rifiutare l’idea di una grande massa cerebrolesa opposta a una elite illuminata) avrà fatto bingo con una cartella da 50 centesimi…
    PS @Emanuele: non so se può rispondere alla tua domanda, ma io, per il momento e come piccolo editore che emette i primi spauriti vagiti in mezzo a colossi che ringhiano davvero, partecipo solo ed esclusivamente delle mie spese. Quelle tutte, però. E puntuali come un errore html poco prima della messa on line…

  • van, è ammirevole il traguardo che enunci (assumi in default l’etica dicendo che è business). Dal mio punto di vista, so che le imprese che la integrano con tanto di rendicontabilità, engagement e tante altre formalità, sono quelle che per mole o valore che il mercato gli attribuisce, si trovano (per eventi esterni) o decidono di gestire valori discordanti. La qualità è un problema dei grandi editori non a caso perché vari fattori ne ledono la credibilità. Con questo non sostengo che per iniziative di altro calibro non possa esser una leva da utilizzare, ci mancherebbe. Se come dici, il pubblico a cui vorresti riferirti è quello basso (chiedo perdono per la ciecità), ma non riesco a capire perché dovrebbero pagare per quello che Marco chiama chiacchiere da bar. Non si tratta di pubblici cerebrolesi infatti, ma a mio modo di vedere stracolmi di baggianate, felici anche di cercarle e linkarle. La sfida è come riuscire a dare di più, molto di più allo stesso prezzo, con altri canali per compensare costi di struttura. Sì per rivolgersi, a quella fascia “mediana”, che legge poco (tipo quelli che leggono al bar, non lo comprano ma potrebbero).
    Marco ci facciamo finanziare un progetto dall’UE? Un call for proposal 🙂

  • Emanuele, questo mi ricorda quella vecchia barzelletta (che taccio perchè ci sono delle signore, sono all’antica) e che utilizzerei adattando e ribaltando il finale: i soldi ci sono, sono i progetti che mancano….
    Ivan, Rifkin è uno molto bravo mediaticamente ma che fa perdere un sacco di tempo con soluzioni perfette ma immaginarie, che convincono gli ingenui che ESISTANO soluzioni perfette, e che non le si adotta solo perchè i CATTIVI sono al potere. La storia dell’accesso e dell’idrogeno sono solo due esempi. L’uso di un codice fiscale nei suoi confronti faceva parte della dose di cattiveria giornaliera, oggi sono buono.

  • scusate l’ora e l’assenza, sono un po lessata da questa giornata infinita. però è capitata una cosa piccola ma significativa, credo.
    Mi hanno riferito di una ragazza che laureata a pieni voti, che occupa in giovanissima età un posto di ,a nche, responsabilità per una marca famosissima, curando la parte web. Ecco questo esempio di giovane ben impiegata e si pensa ben selezionata , si è arenata in uno dei suoi compiti , e cioè fare un invito, sul RSVP di cui ignorava il significato. sarà una cavolata, ma è quasi cultura di base, quanto meno fatti venire la curiosità.
    Cioè a tutto che voi ben dite, e cioè l’offerta, il mirare alle fasce basse o alte, manca come in un vero mercato la richiesta.
    Invece di cambiare il livello di offerta di informazione non sarà che si sta abbassando il livello di richiesta di cultura?
    Forse fare leva su quello e chiedere persone sempre piu informate, potrebbe far muovere l’offerta.
    Ma dopo che ho letto che Renzo Bossi aprirà il salone del Libro, mi sono cascate le braccia.
    Vo’ a letto e come ha detto al rodotà svegliatemi nel 2020.

  • Anch’io mi sarei arenato comunque con l’RSVP.
    C’è un profluvio di acronimi in giro Gianna..
    Con i modelli culturali di oggi, una persona brava e fare parole crociate potrebbe sembrare più acculturato di uno scienziato.
    Condivido ciò che indichi come livello istruttivo dei lettori il problema. E’ di certo un fattore che non ammette molti illusioni d’intervento, vanno alla lunga certi obiettivi, sempre che poi si facciano e che interessino. Da quello che vedo, non credo che esista più qualcuno che provi vergogna per non essere interessato al valore della cultura.
    Quindi..
    Ah, sopra sopra sopra.. mettevi la matematica come priorità. Condivido, cercando un varco tra mondi incomunicabili, non logica ma logiche che ricomprende ogni linguaggio, da quelli formali a quelli dell’arte.

  • si emanuele però capisci che se io assumo una ragazza che mi deve sviluppare la parte eventi, fare inviti, gestire formalità da convegno ( tipo il RSVP che si trova stampato su metà dei biglietti) se non sai cosa significa te lo farai venire il dubbio visto è il Tuo lavoro?
    Cioè se chi assume, non determina un livello medio di cultura almeno per il lavoro che si deve svolgere, mi spieghi perchè qualcuno dovrebbe essere interessato a fornire cultura?
    RSVP è una cazzata, è solo un esempio banale.Se Luca chiede ad un ragazo che ha assunto di andare a controllare il colophon di un giornale immagino che si aspetti che il ragazzo non vada a cercare l’asciugacapelli in bagno.
    (oggi sto svagata anyway, pardon plis)

  • si emanuele però capisci che se io assumo una ragazza che mi deve sviluppare la parte eventi, fare inviti, gestire formalità da convegno ( tipo il RSVP che si trova stampato su metà dei biglietti) se non sai cosa significa te lo farai venire il dubbio visto è il Tuo lavoro?
    RSVP è una cazzata, è solo un esempio banale.Se Luca chiede ad un ragazo che ha assunto di andare a controllare il colophon di un giornale immagino che si aspetti che il ragazzo non vada a cercare l’asciugacapelli in bagno.
    (oggi sto svagata anyway, pardon plis)

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

Video

Post più letti

Post più condivisi