Luca De Biase
An Italian journalist writes about what's happening in his funny country:
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Mercoledì, 13 dicembre 2006
 

Lobby, pubblica amministrazione, giornali. E una proposta...
Un caso di giornalismo investigativo che riguarda la Microsoft e il Massachusetts

Grazie a Stefano Maffulli, leggo, in ritardo, una storia pubblicata da ComputerWorld. Si tratta di come la Microsoft si è opposta all'adozione di software aperto per le sue applicazioni d'ufficio. Il tema è dibattuto in tutto il mondo: può un servizio pubblico fornire i suoi servizi di e-government usando un software di proprietà privata e costringendo i cittadini che vogliano accedere a questi servizi ad adottarlo? E per le sue funzioni interne, una pubblica amministrazione, ha convenienza a servirsi di software aperto al posto del software proprietario?

E' chiaro che molti stati risponderebbero "no e sì". E che la Microsoft risponderebbe "sì e no". E fin qui tutto normale. Ma è anche chiaro che la Microsoft sosterrebbe questa sua posizione con tutte le armi di lobby che ritenga opportuno adottare. E che gli stati hanno a che fare con molte lobby diverse.

Nel caso in questione come si legge dall'articolo le cose non sono andate nel modo più trasparente. Ma la vera storia è che tutta la vicenda è stata scoperta, i documenti necessari a sostenerla sono stati resi disponibili al giornalista, il giornale l'ha pubblicata. Pur essendo un giornale che non può disdegnare la pubblicità della Microsoft.

Bella storia di giornalismo indipendente.

Non è facile vederne di simili in Italia, anche se i casi in fondo non mancano. Come dimostrano per esempio le ricerche di Repubblica sulle vicende riguardanti la Telecom Italia di quest'anno. E se è vero che sicuramente ci possiamo più o meno flagellare come italiani, possiamo anche notare che la stampa americana è tutto meno che fantastica: il conformismo che l'ha posseduta per lungo tempo sulle vicende politiche degli ultimi anni è stato evidente (anche se durante le "guerre" è forse meno incomprensibile).

Mi interessa però dire qualcosa sulle lobby, la pubblica amministrazione e il giornalismo.

Credo che le notizie in Italia vengano fuori con il contagocce per diversi motivi:
- Le regole sulla diffamazione sono tanto imprecise da lasciare aperto il campo a cause più o meno fondate in quasi tutti i casi di controversie
- I blogger non sono esenti da questo problema e si trattengono vistosamente per timore di rappresaglie legali, non essendo difesi da nessuno in modo istituzionale
- I giornalisti dipendenti sono a loro volta difesi dagli avvocati degli editori, ma i freelance non hanno particolari difese
- Le fonti delle notizie sono spesso le lobby stesse, o i funzionari addetti a questo scopo delle varie amministrazioni: la quantità di informazioni che vengono dagli addetti stampa è tale che basta a riempire i giornali e fare di più è considerato quantomeno originale (anche se i lettori di solito lo apprezzano molto)
- In ogni caso, le logiche commerciali si impongono e non lasciano spazio a troppe battaglie per l'informazione indipendente (anche se i lettori di solito le apprezzano molto)
- Una volta che un mercato editoriale è stato abituato a un giornalismo soffice, il pubblico cessa di aspettarsi investigazioni troppo dettagliate e si diverte con quello che c'è...

Ripeto, da questi punti di vista, l'Italia non è così tanto peggio degli altri paesi. Ma un po' peggio è. Anche perché la televisione è così potente e schierata. E la televisione, ancora per un po', conta.

Credo che lo scardinamento di questa situazione dipenda da un'evoluzione di lungo periodo sulla quale i blogger potranno fare qualcosa. Le leggi che impediscono la pubblicazione delle intercettazioni non aiutano. Ma una ridefinizione delle norme sulla diffazione potrebbe invece essere benvenuta. Accompagnata magari da un sistema di assicurazioni (che per adesso non c'è) che coprano le spese legali delle eventuali cause.

In particolare, si potrebbe anche pensare alla nascita di una vera e propria "assicurazione consigliata per chi fa informazione". Si potrebbe immaginare una sorta di statuto volontario di chi fa informazione che accetta alcune regole del gioco (tipo: dichiaro la mia linea editoriale, dichiaro che sono al servizio del pubblico, dichiaro che tento di fare di questa attività il mio modo di sbarcare il lunario ma non farò confusione tra informazione e comunicazione). E per chi lo accetta, volontariamente, si potrebbe pensare a un incentivo fiscale per la sottoscrizione di un'assicurazione che serva a coprire le spese legali in caso di controversie su quanto scritto.

Magari ci penso ancora un po' e poi ritorno sull'argomento

2:06:47 PM    comment [];


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