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Sì, no, non so, non ho capito

Stiamo decidendo sulla Costituzione. La maggioranza degli italiani considera la questione meno che urgente, a quanto risulta dai sondaggi, ma ciò non significa che non sia importante.

Chi è per il “sì” sostiene che il cambiamento della Costituzione consentirà a chi vince le elezioni di governare per cinque anni.

Chi è per il “no” sostiene che le modifiche della Costituzione proposte agli elettori ridurrebbero pericolosamente la proporzionalità del potere.

Su questa questione, sono tutti in contraddizione.

Sono in contraddizione gli italiani che non vedono l’importanza del tema costituzionale, nonostante che passino il loro tempo a dare addosso ai politici e a lamentarsi che il sistema politico italiano non funziona. L’errore, peraltro, è tipico e comprensibile: la critica più facile è quella etica, non quella metodologica. Gli italiani a quanto pare sospettano sempre che i politici siano corrotti, interessati solo alla loro carriera, incapaci di rappresentare gli interessi del popolo, e così via: ma se fosse soltanto una questione di etica, basterebbe che, anche per caso, qualche politico etico andasse al potere per veder cambiare le cose; e poiché non è pensabile che non ci sia mai stato un politico etico, mentre è gli italiani prima o poi si lamentano di tutti i politici e di tutti i loro risultati, significa che non è soltanto questione di etica. È obiettivamente probabile che sia una questione metodologica: come vengono selezionati, come vengono nominati, come discutono tra loro, come decidono è l’insieme delle questioni che forse si potrebbero migliorare. E in realtà sono questioni non di etica, ma di epistemologia, di metodo, di costituzione.

Sono in contraddizione i sostenitori del “sì”, perché dicono che chi vince le elezioni governa per cinque anni e se non va si manda a casa, come se questo corrispondesse al miglioramento della politica: in realtà, sono vent’anni che le elezioni mandano a casa quelli che hanno governato prima, sia che siano di destra, sia che siano di sinistra. E i governi non hanno sempre avuto maggioranze risicate (cioè, quelli di sinistra sì, ma quelli di destra no). I sostenitori del “sì” cercano di allargare la base dei votanti per la loro causa dicendo che potrebbero cambiare la legge elettorale, ma è indubbio che l’attuale legge elettorale garantirebbe una maggioranza forte per l’aggregato di politici scelto dal partito che vince, mentre non si sa altrettanto di un’altra legge elettorale. E del resto, si sta aspettando il parere della Corte Costituzionale sulla legge elettorale attuale. Ma c’è molto di più: anche se un partito vince il 55% dei deputati non è detto che governi, vista la litigiosità tra le correnti di un partito che è tipica del sistema italiano; una volta andato al potere, un aggregato di correnti tenderà a spaccare il partito, un aggregato di partiti tenderà a spaccare la coalizione, un aggregato di ministri sarà tentato di coltivare la propria popolarità personale oltre a quella della squadra; e così via. Non è improbabile che vada proprio così. No?

Sono in contraddizione i sostenitori del “no”, perché molti di loro hanno votato le modifiche costituzionali ora giunte al referendum e ora smentiscono di volerle sostenere nell’ultimo passaggio, che la Costituzione richiede. Ora che siamo arrivati al referendum, si preoccupano della proporzionalità del potere. Forse occorrerebbe domandarsi se l’equilibrio dei poteri riguardi gli stessi poteri dei quali parlava Montesqueu: oggi siamo in un contesto più complesso nel quale i poteri da equilibrare sono quelli nazionale, regionale ed europeo a livello di amministrazione; e poi c’è il potere delle multinazionali e delle lobby che influenzano le elezioni in modo decisivo; ci sono i poteri degli aggregati sociali come i partiti che anche la vecchia Costituzione non è riuscita a imbrigliare; c’è il potere dei sistemi di informazione. Un governo nazionale non è un potere tra gli altri due, ma tra gli altri “n”. Se si prende in considerazione tutto questo, può darsi che si arrivi a dire che la vera proporzionalità avrebbe bisogno di una diversa distribuzione del potere nella dimensione nazionale per gestire le relazioni con la complessità delle dimensioni internazionali, interdisciplinari, informazionali. Forse, la soluzione giusta a questo problema non è quella trovata nella riforma costituzionale proposta da questo governo italiano, ma il problema dell’aggiustamento della costituzione ha perfettamente senso per consentire al sistema politico di adattarsi al contesto in trasformazione.

La stabilità è più un fatto di cultura politica che di tecnica elettorale o costituzionale. Così come l’equilibrio dei poteri è più un fatto di innovazione nell’interpretazione storica che un monumento alle soluzioni trovate in passato. E la partecipazione del popolo alle decisioni che il referendum sollecita richiama all’attenzione la necessità di una maggiore consapevolezza civica dell’elettorato, che negli ultimi decenni è stata spezzata da una defatigante tecnica della polemica, dall’inutilità palese delle politiche rispetto ai grandi problemi delle persone, dalla disinformazione, dal disimpegno.

“Sì” o “no” sono peraltro molto più ampi che soltanto per la questione del voto di fiducia al governo. C’è l’aumento del numero delle firme per un referendum ma anche la riduzione del quorum: sacrosanta. C’è un ripensamento delle relazioni tra Stato e Regioni. Discutere del merito potrebbe far scoprire meglio agli elettori l’importanza del referendum: se questo referendum è pensato come un voto pro o contro il governo attuale, gli elettori non si appassionano ai temi veri ma a quelli fittizi e continuano a vivere nella finzione che è esattamente il principale problema del sistema politico italiano. Se si discuterà del tema costituzionale si capirà meglio come decideranno gli elettori. Discutere delle conseguenze economiche o politiche è deresponsabilizzante. Serve a prepararsi a continuare il lamento, dopo il voto. Senza mai affrontare i temi veri.

Il problema non è tanto il “no”, il “sì”, il “non lo so”. Il problema è il “non ho capito”. Intorno a questo referendum, c’è un’esigenza emergente: si vorrebbe capire meglio.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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