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Ma perché le aziende americane hanno scoperto il valore della privacy?

In tutta questa vicenda della Apple contro l’FBI, va sottolineato un punto qualificante. Tutte le grandi imprese internettiane si sono schierate con la Apple. La casa della Mela ha scoperto il valore della privacy da molto tempo, un po’ sulla scorta della biografia del suo co-fondatore, Steve Jobs, e un po’ grazie alla sensibilità evidentemente dimostrata dall’attuale ceo, Tim Cook. Ma il fatto è che in passato le altre aziende dell’internet non davano molta importanza alla privacy. Anzi.

Eric Schmidt, uno dei boss di Google, ha attirato l’attenzione su di sé qualche anno fa, dicendo (PcWorld):

“If you have something that you don’t want anyone to know, maybe you shouldn’t be doing it in the first place, but if you really need that kind of privacy, the reality is that search engines including Google do retain this information for some time, and it’s important, for example that we are all subject in the United States to the Patriot Act. It is possible that that information could be made available to the authorities.”

La sua impreparazione in tema di privacy è stata molto criticata. Ma lui non si è dato per vinto e ha cercato soluzioni di ogni genere. Compresa l’ideona di cancellare tutto da internet o di cambiare nome a una certa età… (FastCompany)

Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, da parte sua ha storicamente dato meno importanza del necessario alla privacy (Guardian):

Talking at the Crunchie awards in San Francisco this weekend, the 25-year-old chief executive of the world’s most popular social network said that privacy was no longer a “social norm”.

“People have really gotten comfortable not only sharing more information and different kinds, but more openly and with more people,” he said. “That social norm is just something that has evolved over time.”

Zuckerberg said that the rise of social media reflected changing attitudes among ordinary people, adding that this radical change has happened in just a few years.

“When I got started in my dorm room at Harvard, the question a lot of people asked was, ‘why would I want to put any information on the internet at all? Why would I want to have a website?’.”

“Then in the last 5 or 6 years, blogging has taken off in a huge way, and just all these different services that have people sharing all this information.”

Il fatto che ora uno dei suoi funzionari in Brasile si trovi nei guai con la giustizia per la mancata fornitura di dati alla polizia può dunque stupire (Guardian).

Viene da pensare che fintantoché la questione della privacy era limitata alle accuse contro Facebook e Google che usano i dati degli utenti per sviluppare il loro business pubblicitario, le due aziende si trovassero a essere difensive del proprio operato. Ma nel momento in cui la privacy è ridiventata un problema di cittadini liberi nei confronti dello stato invadente, allora anche loro si sono sentiti interessati al valore della privacy. Posizioni relativamente superficiali, si direbbe. Ma un’evoluzione è meglio di una immobilità intellettuale.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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