Il quarto numero di Disegno, la rivista che si occupa di cultura industriale a partire dall’esperienza del design, è bellissimo. Il notiziario si apre con la nascita della School of Sustainability, pensata da Mario Cucinella. E tra i servizi c’è tutto da leggere in quel bel mix di eleganza essenziale, profondità di conoscenza e semplicità di esposizione.
Io numero si apre con l’editoriale importante di Stefano Casciani. Il grande designer è stupefatto della banalizzazione del tema dei maker. Dice (taglio qualche parola): “Nello spettegolare dei media su tutto quanto fa spettacolo, torna ultimamente il tormentone del 3D printing come unico possibile futuro per il progetto, liberazione finale dei consumatori e via scherzando”. Un’iperbole, per Casciani, una serie di esagerazioni, prive di consapevolezza e votate al conformismo della moda. “E’ sintomatico che colui che è considerato uno dei guru dello stampaggio do it yourself, l’ex-editor di Wired Chris Anderson, nel suo pur fondamentale libro Makers cerchi di dimostrare come il 3D printing stesso può essere soprattutto un’occasione di business, senza preoccuparsi di eccessive considerazioni estetiche e tanto meno etiche”. La stampa di armi, il consumo di petrolio, l’incompetenza di design: tutto viene preso acriticamente in nome della “grande novità”. Tutto è centrato sulla finanza e il business. Tutto è orientato solo alla conquista di quote di mercato a suon di manipolazioni mediatiche.
Casciani pensa che il futuro del design sarà utopico o non sarà: il design è ricerca incarnata, ma il suo ruolo rischia di essere travolto dalla banalizzazione acritica del fenomeno dei “maker” della quale Anderson si è fatto guru e che la finanza si prepara a usare come ha usato i “social”, lo “sharing” e tutto quello che appare all’orizzonte delle novità che conquistano attenzione, magari con ideologie facili che conoscono la grammatica delle emozioni e entrano nel vocabolario alla moda. Per qualche anno.
La banalizzazione del movimento dei Makers è parte della lettura superficiale e frettolosa che ormai viene applicata a tutto quello avviene. In realtà Anderson, per primo, ha intuito che che la forza della libertà creativa ha il suo futuro se abbinata alla tecnologia. Questo concetto è dirompente proprio perchè sembra una contraddizione.
C’è un punto però che ancora è poco valutato e che è fondamentale per il Design, oggi forse più di ieri: la stampa 3D, e più in generale, la fabbricazione digitale non è che l’ultimo passaggio del processo creativo.
L’eccellenza dei prodotti di design, quella che ha fatto conoscere il Made in Italy nel mondo, è sempre stata fatta di conoscenza dei materiali e di “saper fare”.
Oggi, l’uso delle tecnologie e dei software di progettazione, ha bisogno degli stessi elementi per produrre “eccellenza”. Altrimenti si rischia di appiattire il risultato della fabbricazione digitale.
In pratica, serve ampliare la manualità digitale nella progettazione per non avere un Design deciso dalle stampanti 3D. Solo cosi si eviterà di banalizzare il movimeto Makers.
il commento può interessare qualcuno, spero non sia stato fatto solo per promuovere il servizio aurea: in quel caso sarebbe stato meglio dirlo esplicitamente
Vorrei sgombrare il campo da qualsiasi equivoco.
Nel mio post ho messo la mia esperienza diretta, frutto di un’evoluzione del mio lavoro e della frequentazione attiva di FabLab, scuole e Università, dove sono impegnato come divulgatore della cultura digitale.
In questo caso specifico, il discorso è generale e non mirato alla promozione della mia attività.
grazie della precisazione, il commento era molto interessante e per questo ho forzato il sistema a farlo passare nonostante l’antispam tentasse di fermarlo 🙂
[…] Disegno. Rivista per la nuova cultura industriale. Suggerimenti critici sulla banalizzazione maker […]