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La scuola può essere cambiata

In Italia, 9 milioni di persone vanno a scuola ogni giorno. E’ una parte enorme della società. Con il suo funzionamento influenza in modo diretto le vite di milioni di famiglie. In modo indiretto influenza milioni di imprese, enti pubblici, organizzazioni non profit. E’ collegata al successo potenziale del sistema dell’informazione, dell’università, della ricerca. Quindi è un sistema fondamentale per lo sviluppo e la democrazia. Ma non riesce a influenzare l’agenda del paese. Non abbastanza, non in proporzione alla sua importanza.

Gli interessi che la mantengono in questo limbo, in questa condizione sottotraccia, sono importanti: quanto il Muro di Gomma che separa l’Italia dal suo futuro. Quando cadrà quel Muro, che ha fatto e fa ogni giorno milioni di vittime, ne dovremo conservare dei pezzettini al museo. Ma sarà una grande festa di liberazione.

Può darsi che l’antico regime dell’economia che ruota intorno alla scuola abbia anche una responsabilità nel mancato cambiamento. Meglio tenere quel – circa – miliardo di euro di fatturato per l’editoria il più difeso possibile. Meglio tenere i fornitori – dalle mense ai servizi di pulizia e alle aziende dell’edilizia scolastica – in condizione di continuare a lavorare senza problemi. Meglio lasciare che gli insegnanti che non hanno tanta voglia di lavorare o i presidi che non hanno tanta voglia di prendersi dei rischi possano continuare nel loro tran tran.

Ma il fatto è che tutto questo non regge più. Non è adeguato alla società che si sta sviluppando attorno a noi. I ragazzi parlano con strumenti digitali. La formazione è continua per tutta la vita. Il senso civico è diventato una questione di vita o di morte per il sistema-paese.

E proprio perché sono consapevoli di tutto questo, migliaia di insegnanti si danno da fare per innovare. Quando la scuola non li segue, si arrangiano a innovare con mezzi di fortuna, peraltro spesso molto efficaci. E certamente i loro studenti sono i più fortunati. A loro volta migliaia di studenti chiedono innovazione e, con le loro famiglie, se non trovano corrispondenza a scuola, si arrangiano a trovare altrove soddisfazione alle esigenze emergenti di cultura, esperienza e formazione. E persino molte aziende danno una mano.

Dal centro ministeriale, ci vuole una mentalità non centralistica per risolvere il problema: non sarà un nuovo programma scolastico a risolvere. Sarà la liberazione e la valorizzazione delle esperienze migliori. Per questo ci vuole decisionismo: dichiarare che il Muro di Gomma, almeno nella scuola, si abbatte. Subito. Non si può negare che il ministero ancora in carica per gli affari correnti abbia dimostrato comprensione per questo approccio, anche se ha potuto fare solo un inizio del lavoro necessario.

Anche per questo, il convegno di venerdì a Bergamo è importante (via Marco Zamperini; vedi anche ImparaDigitale).

Mentre le istituzioni, fondamentali, prendono consapevolezza di tutto questo, insegnanti e studenti già consapevoli che vogliono innovare lo fanno. Dovrebbero documentare di più quello che fanno, in modo strutturato come si fa nella ricerca, con i risultati attesi e ottenuti, in una logica di informazione di mutuo soccorso. Il cambiamento ne risulterebbe razionalizzato, gli errori minimizzati, le probabilità di riuscita aumentati, i migliori casi valorizzati.

Link da non perdere:
Libri digitali, Profumo convince gli editori (Repubblica 26 marzo)
La filiera del libro e della carta contro il decreto Profumo (Aie 3 aprile)

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  • Concordo pienamente sia per la sottolineatura del valore intrinseco della scuola, sia per l’approccio al cambiamento. Anche se per molto tempo ho creduto nelle opere di infrastruttura digitale come atto preliminiare “di tipo centralizzato”, mi sono rassegnato di fronte all’immobilismo totale , che non vale solo per la scuola e quindi ritengo che sia corretto utilizzare la rete per condividere le esperienze a valore aggiunto, per costruire dal basso stimolando poi il cambiamento delle infrastrutture. Attendere sarebbe solo accelerare il declino!

  • Discorso che condivido pienamente. Molte sono le energie già spese e attivate dal basso nella scuola e ancora di più diventeranno quando si riuscirà a far passare anche una fetta più larga del corpo docente dalla diffidente curiosità tecnologica alla piena consapevolezza delle potenzialità didattiche di un corretto uso della rete.

  • Mentre leggo questa nota, che condivido in toto, mi imbatto nel più recente comunicato dell’Aie, che fa una sorta di chiamata a raccolta della filiera del libro contro la digitalizzazione. (http://www.aie.it/SKVIS/News_PUB.aspx?IDUNI=kuhbf1quhjk23dpyjndwtw1q4820&MDId=6368&Skeda=MODIF102-1672-2013.4.3).
    Singolare, e per me inquietante, la conclusione che qui riporto: “La filiera del libro e della carta, al contrario, riafferma il valore pedagogico e la centralità del libro a stampa, che dovrebbe quindi rimanere irrinunciabile. A oggi infatti non è dimostrato da nessuna parte che l’impatto sempre più pervasivo degli strumenti elettronici sui ragazzi non sia nocivo per la salute, senza contare che la memorizzazione e la comprensione sono meno sollecitati dai supporti elettronici.”
    Che ne pensate?

    • Ancora più preoccupante è il comunicato dell’A.L.I. Associazione librai italiani
      Confcommercio-Imprese per l’Italia (http://www.anarpe.it/anarpe_2007/dett_news.cfm?Id_news=1608) che conclude con “Prevedere che i libri di testo si possano scaricare online, quando gli istituti e le famiglie non sono ancora pronti, genererà confusione fra gli studenti e finirà per alimentare il mercato delle fotocopie illegali, già in mano alla malavita organizzata”

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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