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Il fuoco mancante della prospettiva

Parlando con il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, ieri, ho ascoltato il suo entusiasmo per gli sviluppi dell’economia della felicità. Il filone di ricerca economico che cerca di ritrovare un senso sociale, culturale, umano alle considerazioni relative allo sviluppo e alle operazioni necessarie per sostenerlo.

Il Pil è una misura distorta e insufficiente, ormai, per disegnare una prospettiva di sviluppo sensata. Ma le misure alternative, quelle che riguardano appunto lo sviluppo umano e che tengono conto della qualità della vita, dell’educazione, dell’equità, non stanno prendendo il sopravvento nel dibattito occidentale, che resta vincolato all’obiettivo della crescita del Pil. C’è un motivo per questo. Ed è un motivo simile a quello per cui esistono standard di fatto che magari non sono la soluzione migliore possibile ma tendono a essere insostituibili proprio perché tutti li usano. È una forma di effetto-rete. La finanza usa la crescita del Pil come punto di riferimento fondamentale. Le contrattazioni sindacali anche. La stampa si riferisce alla crescita del Pil per sintetizzare l’andamento economico. Gli indicatori che misurano lo sviluppo umano non sono in grado di prenderne il posto per ora.

Ed è un problema. Perché questa narrazione dell’andamento dell’economia basato sulla crescita del Pil è una continua fonte di frustrazione specialmente per alcuni paesi che non possono immaginare di avere un Prodotto Interno Lordo in aumento sostenuto nei prossimi anni. IL Giappone ne ha sofferto per un decennio abbondante. L’Italia altrettanto. Si tratta di una crisi strutturale dalla quale si esce con difficoltà e il Pil non definisce una strategia adeguata: non c’è dubbio che se il miglioramento dell’economia italiana passa per il business verde, il digitale, la cultura, l’innovazione, le startup e la ricerca, il tema da porre è strategico e non ci aiuta pensare semplicemente a sostenere il Pil (anche perché non ci riusciamo). D’altra parte, non costituisce un’attrattiva significativa porsi obiettivi che non si raggiungono e che comunque non rispondono davvero alle necessità delle persone. Una prospettiva attraente oggi non riguarda tanto l’aumento dei consumi quanto la qualità della vita, la fiducia nel futuro, l’opportunità di lavoro per i figli. Ma per porre l’accento su obiettivi qualitativi occorrono indicatori sintetici coerenti.

Giovannini lavora da anni agli indicatori della qualità, dello sviluppo umano, della felicità. E ha scoperto che la felicità è il risultato di un processo di sviluppo ma anche un acceleratore di un processo di sviluppo qualitativo. E lo sappiamo per esperienza: quando siamo nel flow, nel flusso di un’attività difficile ma che ci riesce, siamo felici e scopriamo dentro di noi un’energia che ci consente di superare noi stessi. Avviene anche per i gruppi. E probabilmente, in modo diverso, anche per i popoli.

Cominciare a raccontare obiettivi umanamente sensati è un compito fondamentale. Ridisegnare la statistica sarà molto importante per arrivarci. Più in generale, ridisegnare la narrazione dello sviluppo sarà altrettanto fecondo. Ricentrare le nostre aspirazioni sulla qualità della vita ci libererà da una quantità di frustrazioni paralizzanti e ci ridarà fiducia. Ed energia.

A questa prospettiva, per ora, manca il focus che i rappresentanti politici dovrebbero a loro volta contribuire a descrivere. La sintesi è una responsabilità di chi rappresenta una popolazione. È chiaro che dei rappresentanti che pongano obiettivi vecchi e insoddisfacenti sono parte del problema, non parte della soluzione. Rappresentanti politici che si sappiano sintonizzare sul percorso storico fondamentale che la popolazione sta compiendo e siano in grado di guidarlo verso speranze realistiche e adeguate al mondo contemporaneo sarebbero una risorsa straordinaria. Qui da noi, per ora, non se ne vedono.

Si ha l’impressione che esista un potenziale inespresso nella cosiddetta offerta politica: ma è probabile che avrà enorme successo il primo gruppo politico che riesca a sintetizzare la concreta possibilità di avviare un processo di sviluppo orientato a obiettivi di qualità della vita, con una prospettiva aperta e liberatoria, capace di fare vedere che c’è una strada sulla quale possiamo cercare la felicità.

Vedi anche:
Riprogettazione della statistica
Li stiamo perdendo
Roadmap needed, please

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  • Avendo a che fare ultimamente con persone che operano nella repubblica del Benin e nello stato del Chiapas, è facile comprendere come la mancanza dei bisogni primari rappresenti da un lato un enorme problema, ma diventi dall’altro una leva per costruire una strategia basata sui valori “intangible”, orientati ad una migliore qualità della vita e vedere la felicità come risultato dello sviluppo. Nell’occidente e per restare in tema nel nostro paese, il tema diventa cercare di ri-costruire i valori “intangible”, che sono attenuati talvolta cancellati a vantaggio di altri. Quando si è inseriti in un clima di grandi cambiamenti come questo, solo chi leggerà i libri di storia tra qualche decennio potrà capire meglio il contesto, per noi che siamo immersi , è molto più difficile convincersi e convincere gli altri che il processo di sviluppo debba ammettere qualche pausa per poter ripartire mettendo al primo posto comunque il valore delle persone.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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