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Economia Felicità perplessità

L’austerità della crescita

Il Sole di oggi osserva come l’economia europea – e italiana – sia di fronte a decisioni difficili. E’ necessaria una disciplinata austerità nei bilanci pubblici, altrimenti la speculazione sul debito ha buone probabilità di far saltare l’euro. Ed è necessaria la crescita dell’economia perché altrimenti l’interesse sul debito sale a livelli intollerabili e salta l’euro. Eppure, austerità spesso vuol dire risparmio e riduzione della spesa pubblica o aumento delle tasse, il che ha l’effetto di diminuire la crescita. Alessandro Plateroti ha preso di petto a contraddizione in un editoriale, online oggi.

La contraddizione è complessa. Il debito è stato la causa di una parte importante della crescita del passato. E ora rallenta la crescita attuale. Per togliere di mezzo questa causa di rallentamento occorre austerità. Ma è chiaro che togliere un freno non significa accelerare. Questa idea deriva dall’ideologia che pensa alle imprese come cavalli che vogliono solo correre e che solo lo stato frena: meno stato più crescita. Ma non è così se le imprese di cui si parla sono abituate a farsi aiutare dallo stato (che per farlo si indebita). In queste condizioni, nell’immediato, l’austerità e il minor peso dello stato non si traducono in una automatica liberazione delle forze di crescita delle imprese. Anzi, nell’immediato sembra proprio che l’austerità rallenti la crescita.

Insomma, bisogna fare austerità nei conti pubblici alla stessa velocità con la quale si trova qualche altro motivo di crescita. Dove li trova l’Italia?

Noi abbiamo alcuni punti di forza.
1. Siamo fortissimi risparmiatori. Il nostro debito pubblico è enorme. Il nostro debito privato è piccolo. E concentrato sulla casa. La casa è un bene di investimento che – non essendoci un vero mercato – o cresce o si ferma: non diminuisce quasi mai. Apparentemente. Per questo il piano di aumentare le case è la prima cosa che viene in mente. Perché piace ai risparmiatori. Ma se il reddito disponibile non aumenta, o diminuiscono i consumi o diminuiscono i risparmi: il che riduce la possibilità di aumentare il debito privato. E frena la crescita del valore delle case. In queste condizioni il piano casa funziona se il reddito disponibile viene salvaguardato: con aiuti alle famiglie sostanziali. Che non sono necessariamente possibili in una situazione di austerità.
2. Siamo forti nel turismo. La valorizzazione di questa forza dipende peraltro da trasporti, legalità, qualità dei servizi. Il che dipende dagli investimenti infrastrutturali. Molto costosi e lunghi da realizzare.
3. Siamo forti nelle esportazioni. Attualmente l’Asia compra. E l’America un po’ meno, ma non è ferma. L’abbassamento dell’euro aiuta. Le imprese che esportano sono reattive e veloci. Ma dipendono dalla domanda globale (che cresce). E dalla loro capacità di fare continuamente ricerca e innovazione. Investimenti in banda larga, sostegno alla ricerca, facilitazione all’innovazione, all’immigrazione di talenti, sono investimenti a redditività relativamente immediata. Ma i loro profitti dovrebbero essere attratti a restare in Italia e reinvestiti.

Finisce che in tutti i casi, l’austerità va bene se è accompagnata da regole più serie che incentivano gli investimenti in innovazione, scuola, ricerca, connessioni e infrastrutture. L’austerità va bene se non si disperdono risorse in varie forme di corruzione, evasione fiscale, lavoro nero. Per l’Italia, l’unica chance probabilmente è che tutto questo ci venga imposto dalla concertazione europea. La strada è lunga. Ma i risultati di ogni passo in queste direzioni possono avere effetti veloci.

Insomma. L’austerità in Italia può essere modernizzazione, legalità, regole incentivanti concentrate sull’investimento – pubblico e privato – più che sul consumo: l’austerità può essere crescita.

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  • regole incentivanti concentrate sull’investimento – pubblico e privato – più che sul consumo.
    Quoto in pieno.
    Il consumo assicura crescita solo nel breve termine, se non è di qualità.
    Esempio: il consumo di autovetture, trattandosi di mercato saturo, non è di qualità perchè non assicura crescita nel lungo termine.
    Ma anche il mercato degli immobili nuovi non è di qualità, data l’evidenza del numero di case invendute. Il mercato delle ristrutturazioni può essere di qualità?

  • Molte considerazioni in mente ma velocemente: non siamo forti nel turismo. La nostra posizione si è erosa, costantemente, nel tempo. Potremmo essere capofila indiscussi ma tutta una serie di problemi cronici fanno, nel complesso, il nostro turismo un’attività “tira a campare”, tanto ci verranno a vedere comunque. Tutto questo fa sostentamento, di massa e di grande numero, ma non la ricchezza di cui potrebbe godere estensivamente il Paese.

  • Luca,
    siamo potenzialmente forti nel turismo.Grande patrimonio artistico, bel clima,belle location ma poche infrastrutture e sopratutto poca valorizzazionhe di sistema del nostro patrimonio.
    Ogni amministrazione locale pensa di saper promuovere al meglio il proprio patrimonio e il risultato è che si marcia in ordine sparso senza uno straccio di cooordinamento governativo (ricordi il caso del portale Italia.it, vero?)
    Poi certo, se le persone che per esempio lavorano nei musei fossero disposti a lavorare di più (guadagnando di più) e ad aprire i musei per più ore forse i turisti stranierei sarebbero più contenti, ma i sindacati recitano un ruolo esiziale in tutto questo.
    Se i musei e i siti archeologici fossero gestiti come aziende (merchandising,frubilità multimediale,ecc)allora forse si reggerebbero in piedi autonomamente senza contributi.Sai bene che esempi virtuosi all’estero non mancano.
    Se poi e conclude facessimo come i francesi che attorno ad un orma di napoleone in un sperduto paese di campagna costruiscono un museo,beh allora ci sarebbe ricchezza per tutti, altro che crescita modesta del PIL…
    Ciao

  • E’ chiara ormai la diagnosi e anche la cura. Hai elencato le maggiori priorità su cui c’è un notevole accordo. Da qualsiasi ottica la si voglia vedere la situazione è critica e cominciano a cadere anche molti luoghi santificati, primo fra tutti quello delle imprese da sciogliere e lo stato che lega. Sarebbe comprensibile che sia evocata tale ideologia in momenti di pressione per liberalizzazioni, ora invece mostra solo il lato distorto dei trasferimenti diretti e indiretti, che comunque sia aiuta a far camminare il carretto. Ecco, ci sarebbe una via ulteriore per l’austerità senza ricorrere ai tagli o a politiche sulla pressione fiscale: l’industria crea 1/3 del valore aggiunto, il resto è l’apoteosi di servizi, da quelli professionali, il commercio, finanza & co, più circa 50 miliardi di servizi pubblici di rilevante interesse economico. Sì, le conseguenze porterebbero per cinque anni forse ad un lago di sangue. Impraticabili per logica di bassa politica. Come completamente diverse da quelle previste dal governo, trasformando in SPA settori che oltre che non hanno senso economico, l’unico scopo sembra quello di mettere fuori bilancio spese e piaceri. Sono sempre più convinto che abbiamo superato la frutta, siamo ai canditi. Sì, per fortuna UE può per necessità mettere paletti.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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