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Appalti precommerciali. Una grande strada aperta

Il Miur ha stanziato 100 milioni per appalti precommerciali. Ecco come li spiegano:

Gli appalti pre-commerciali si articolano in più fasi (normalmente tre), che prevedono l’emissione di un bando di gara da parte della stazione appaltante e la selezione di diversi operatori commerciali, scelti in base alla qualità della soluzione offerta. Con il procedere delle fasi, gli operatori commerciali selezionati si riducono progressivamente e si arriva all’elaborazione di un prototipo e all’eventuale sviluppo sperimentale della soluzione, con almeno 2 imprese selezionate per la fase finale, così da mantenere “vivo” il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

A differenza degli appalti comuni, quindi, il budget viene ripartito tra più operatori economici nel corso dei vari passaggi. “Al termine della selezione gli operatori economici potranno sfruttare le soluzioni sviluppate anche su mercati diversi dalla pubblica amministrazione, proponendo il loro servizio anche sui mercati internazionali” avverte Draoli. Nel caso in cui derivino diritti di proprietà intellettuale dalla creazione del servizio, invece, l’impresa aggiudicataria e l’amministrazione appaltante ne saranno contitolari, mentre i diritti di commercializzazione saranno affidati ai primi. Dei 100 milioni di euro stanziati dal MIUR a favore di questa nuova forma di appalti, 80 saranno allocati nella fase di ricerca e sviluppo, mentre ulteriori 20 milioni serviranno a portare avanti le eventuali sperimentazioni di esercizio su piccola scala: un passaggio utile prima del confronto con il mercato globale.

Si tratta di una soluzione importantissima. Anche se interpretata ancora con prudenza in Italia. Si capisce: la corruzione frena qualunque innovazione nel campo dell’innovazione nella spesa pubblica. Ma questo schema – si può chiamare “forward looking procurement” – merita di essere approfondito e applicato. Perché può portare ad acquisti dello Stato che non solo migliorano i servizi, possono ridurre le spese e alimentano la capacità di innovazione nell’ecosistema.

Ma va sottolineato il concetto: questo schema consente allo Stato non di comprare cose note, ma di comprare la capacità innovativa di chi ce l’ha per risolvere problemi in modo non noto a priori. Si può portare il concetto alle estreme conseguenze e lanciare grandi temi di innovazione nella gestione delle attività pubbliche (es. “vogliamo migliorare il servizio sanitario per quanto riguarda le analisi, riducendo i tempi di attesa di tot%, diminuendo gli errori di x% e spendendo l’y% in meno entro tre anni: fate ricerca, innovate, trovate la soluzione, e pagheremo questo preciso ammontare”). Negli Stati Uniti questa è la pratica tipica del Pentagono che lancia grandi temi (tipo: costruite l’esoscheletro per i soldati che devono correre a 50 all’ora e saltare dieci metri in alto…) alla ricerca e alla tecnologia americana. In Europa potrebbe essere lo schema per migliorare il welfare e ridurne i costi, per esempio.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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