Vorrei dar conto di una discussione che si sta sviluppando intorno a un
tema emozionante. Grazie per tutti i commenti che sono stati proposti su
questo blog, su Twitter, su Facebook, su Google+. Mi scuso in anticipo per la lunghezza di questo post e per gli errori che inevitabilmente contiene. Si tratta di un nuovo capitolo, non certo del finale della storia…
Puntate precedenti – Il tema della ribellione in Italia visto dall’estero
Viaggiando all’estero, dicevo in due post di qualche giorno fa, mi chiedono spesso: «perché gli italiani non si ribellano?». Non voglio riassumere quei post. Solo ricontestualizzare il tema per aggregare i commenti. Per chi si stupisca di questa domanda la spiegazione è semplice.
Le cronache dedicate all’Italia di molti notiziari stranieri danno conto del fatto che l’Italia sta mettendo a rischio la stabilità dell’economia globale e la causa, semplificata ma realistica di molti media internazionali, è l’incapacità del suo governo di gestire la crisi. L’urgenza del momento e la difficoltà del sistema politico a rinnovarsi per via normale, essendo piuttosto bloccato da un gruppo di potere incredibilmente arroccato sulle sue poltrone, fa emergere l’opzione a prima vista stupefacente della ribellione.
Ma lo stupore è meno vivo se si guarda alla situazione con occhi distaccati. Vista dall’estero, l’Italia è un ottimo produttore di merci di qualità, è una meta turistica di prima importanza, è un luogo della cultura antica e tradizionale, è un paese di mafia e spazzatura, certamente conta poco politicamente. Ma in questo momento è al centro dell’attenzione perché il suo debito pubblico fa venire l’acquolina in bocca agli speculatori e mette a rischio la tenuta dell’euro e della finanza globale. Visto dall’estero il governo è guidato da una persona che pare pensare a tutto salvo che a tenere la rotta dell’economia del paese. I suoi comportamenti scandalosi non appaiono perdonabili in molte democrazie occidentali dove i politici si dimettono per infinitamente meno: ma sarebbero affari degli italiani se non fossero collegati con l’incapacità di guidare il paese fuori dalla crisi. Cambiare capo del governo appare dunque una necessità, è l’opinione prevalente per chi accetta quest’analisi, ma se il parlamento non ci riesce, allora la popolazione deve intervenire.
Se gli italiani non fanno nulla, la vergogna per questa situazione non è più solo del capo del governo e diventa anche la vergogna anche dei governati. Certo, i più avvertiti sanno che il sostegno al governo è dovuto anche all’incredibile controllo dei media da parte del capo della forza politica di maggioranza. Questo, però, significa che la democrazia italiana non è compiuta e il sistema si configura come semi-autoritario.
In altri paesi del Mediterraneo a dubbia democrazia, la ribellione popolare è riuscita a cambiare governi autoritari e inefficienti, perché non succede in Italia?
Ovviamente, l’assunzione di partenza, quella secondo la quale l’Italia non è una vera democrazia, appare piuttosto estrema. Molti italiani pensano di essere in una democrazia e sono convinti che la situazione si possa riformare per via elettorale.
La chiara vittoria della visione critica nei confronti della politica attuale che si è realizzata nel caso delle elezioni di Milano, Napoli e Cagliari, e soprattutto nel caso dei referendum, avvalora questa tesi. Anche perché è stata una vittoria che ha dimostrato come la televisione non sia in grado di controllare le coscienze fino al punto di impedire l’espressione della volontà popolare: la televisione ha osteggiato in modo palese i referendum, non dandone conto se non in modo sporadico e qualche volta impreciso, in piena coerenza con la campagna favorevole alla diserzione delle urne, mentre l’informazione che si è prodotta in rete appoggiata da molti giornali cartacei tradizionali è riuscita a mobilitare le persone e a convincerle ad andare a votare. La via democratica al rinnovamento, insomma, appare ancora aperta. E, per chi consideri importante quella vicenda, questo significa che la ribellione può attendere.
Purtroppo però le conseguenze delle elezioni locali e del referendum sono restate limitate a quei casi. Il governo è restato al suo posto e il blocco decisionale che impedisce di affrontare la crisi attuale resta.
Di fronte alla crisi il governo ha prima tentato di negare ancora una volta l’urgenza, poi sulla scorta delle pressioni della Bce ha deciso una manovra, per poi modificarla un’infinità di volte. Attualmente, si è bloccato sulla nomina chiave della guida della Banca d’Italia. In ogni caso, le decisioni sembrano prese in reazione alle pressioni dei mercati e dei partner europei, non c’è strategia di crescita economica, non c’è visione. Il tappo al rinnovamento del paese resta. Con esso resta l’ipotesi della ribellione.
Le spiegazioni storiche della mancata, per ora, ribellione degli italiani
La ribellione, tuttavia, per ora non si vede. Ci sono molti gruppi di protesta, certo, molte aggregazioni critiche nei confronti del governo spesso organizzate online, discussioni infinite sulla casta, la classe politica, l’inadeguatezza dell’opposizione, gli scandali, e quant’altro. Ma certo non c’è niente che si possa chiamare “ribellione” e che abbia la forza di fare l’agenda del paese con qualche possibilità di rinnovare la politica.
Nei post precedenti si sono ricordate alcune radici storiche di questa situazione.
Gli anni Settanta sono ancora presenti nella memoria del paese. Il terrorismo di destra e di sinistra non ha mai raggiunto una capacità di attrazione significativa nel paese e ha invece lasciato il ricordo dell’unico risultato di quel genere di azione: la devastazione inutile e insensata della violenza.
Gli episodi successivi, con i casi delle dimostrazioni di alcuni gruppi di no global, le vetrine rotte e gli scontri con la polizia, hanno lasciato altre terribili immagini nella memoria.
Lo stato non ci ha fatto mai una gran figura, ma di certo non l’hanno fatta neppure i violenti. La ribellione distruttiva non è un’opzione che possa raggiungere una qualche forma di consenso significativo in Italia. Per ora.
D’altra parte, la società italiana è profondamente divisa. C’è una parte importante della popolazione che viene definita dall’Ocse “funzionalmente analfabeta”: addirittura un terzo degli italiani non sanno comprendere quello che leggono. Il loro accesso all’informazione è completamente legato alla televisione e corretto solo dal passaparola nel loro entourage. Un decimo della popolazione è ipercollegato, legge e si informa con una dieta mediatica ricchissima, non manca di informazioni dall’estero e ha la capacità critica sufficiente a comprendere la gravità della situazione. Ma non è certo una categoria unitaria. I giovani sono quasi tutti connessi ma spesso non hanno modo di coltivare speranze, in moltissimi casi basano la loro sussistenza sull’aiuto dei genitori, potrebbero essere disposti a rischiare se vedessero qualcosa per cui rischiare: una politica di protesta, un’opzione imprenditoriale, una fuga all’estero, sono possibili ma solo per coloro che vedono come realizzarle. In molti casi, la loro storia è legata alla conquista di un brandello di contratto a breve termine, con pochissime chance di sviluppo che verrebbero annullate se il loro comportamento fosse meno che disciplinato. Poi ci sono i leader dell’innovazione, presenti nelle università, nelle imprese, nelle associazioni e fondazioni, persino nelle amministrazioni pubbliche: ma si tratta di persone apparentemente isolate, che portano avanti il loro senso del dovere e la loro passione rinnovatrice in un contesto che certo non li aiuta. Altri sono criminali: evadono le tasse, costruiscono dove è proibito, fanno attività illegali. Altri hanno fede e aspettano. Altri sono connessi e lavorano per costruire network, ma il loro lavoro è ancora ai primi passi: influisc
ono sull’agenda sporadicamente e non stabilmente.
Una ribellione è spesso l’iniziativa di una minoranza che riesce però a interpretare una domanda di rinnovamento maggioritaria.
In passato, una ribellione di successo veniva portata avanti dalle élite sociali e culturali oppure dalle avanguardie rivoluzionarie e le sue probabilità di ottenere risultati erano dovute al contesto di una società compatta, nella quale i modelli sociali e i legami organizzativi erano facilmente leggibili. Ceti sociali ben individuati, aristocrazia, borghesia, proletariato: pochi leader potevano far crescere un cambiamento di valenza generale.
Nella società dei media di massa questa condizione si è progressivamente sciolta in una struttura sociale molto meno coesa. I ceti sociali sono in un certo senso spariti, mentre sono cresciute le aggregazioni informali e si sono sviluppati i cosiddetti “target”: gruppi di interessi comuni, aggregazioni omogenee per capacità di spesa, età, localizzazione geografica, hobby, professioni e quant’altro. I media hanno cercato di interpretare la popolazione in termini di target e l’hanno raccontata coerentemente, fino a influire sulla realtà e fare emergere davvero dei gruppi separati di persone. Il disorientamento è stato gestito dalle poche centrali emittenti di senso e informazione. Fino a che ha tenuto, questo sistema è servito ad aumentare i consumi e ridurre le tensioni sociali. Ma era troppo artificiale per tenere a lungo. Non tiene più. Non corrisponde alla realtà e all’esperienza. Anche perché i media di massa stanno rifluendo nel passato.
Le persone oggi non si riconoscono in un target, sentono di vivere identità multiple, interessi insieme contrastanti e coerenti, linguaggi e ideologie divisive, senza corrispondenza con le classificazioni tradizionali e con quelle del marketing. Inoltre, la rete consente loro di unirsi in gruppi che possono scegliere di volta in volta, non necessariamente con coerenza, molto spesso però in modo più curioso che strutturato. La società è diventata un insieme di minoranze nessuna delle quali sembra capace di esprimere qualcosa di generale. Ma la stessa rete offre opportunità nuove anche per la riunificazione dei comportamenti. Suggerendo la sperimentazione di soluzioni continuamente nuove. Il cui effetto finale deve ancora essere valutato appieno. Si sta coltivando l’emergere di un nuovo modo di rappresentare la società. Non ne vediamo ancora la forma intera.
Lo spaesamento è evidente. La capacità di leggere le conseguenze delle proprie azioni è scarsissima, almeno per quanto va oltre il quotidiano o poco più. L’ipotesi di rischiare qualcosa per una ribellione non trova il punto di appoggio intellettuale, culturale e politico per dar modo all’azione di svilupparsi. Si direbbe che prima di tutto occorra una ristrutturazione culturale. Un passaggio intellettuale che ricostruisca una visione condivisa. Dalla quale può emergere anche velocemente non una ribellione di breve termine ma una rivoluzione orientata al qualcosa di più lungo termine. E i commenti apparsi dopo i primi due post lo confermano.
I commenti – Le reazioni delle persone che hanno voluto partecipare alla discussione
Cerco di riassumere per punti le posizioni emerse nel corso della discussione sull’opzione della ribellione in Italia.
1. Non è un fatto solo italiano. L’Italia ha le sue specificità. La ribellione non sarà violenta.
Joi Ito, direttore del MediaLab: «I’ve called for the overthrow of the Japanese government many times and the funny thing is that many government and corporate leaders agree with me. However, rebellion never happens in Japan. There are many differences but many similarities.
It’s very interesting to read your post and reflect on these similarities and differences, but I think the Arab Spring shows us that even in very unlikely places, a dash of courage and timing can cause unexpected results.
Good luck in your reform/rebellion. When you finish, come and help me in Japan. ;-)».
John Lloyd, capo del Reuters Institute for the Study of Journalism: «I dont think, like you, Italy needs a rebellion. There is a world of difference between Italy and the Arab states; most of all, in that Italians freely elect governments (it seems, very sadly, that the rebellions there will not achieve anything like democracy, or even better rule: though we should still hope) the issue is perhaps allied most closely to what you write: that many depend more or less completely on TV for news and opinions, and vote accordingly. Thus there must be a crisis – as there now is – to force change. At root is the corruption of the media».
Alex Roe, di ItalyCronicles: «An interesting piece. As a foreigner who has lived in Italy for over 10 years and who has written about this nation since 2005, I’d agree that a bloody revolution is not the answer to Italy’s ills.
What Italy badly needs is a credible leader who believes in the country and Italy needs direction – it has none and is going round in ever decreasing circles.
This country has huge potential – but does not realise this, nor is it capable of realising its potential. Perhaps it’s because Italians are too small minded.
Look at other nations – see what works and emulate it. Find out what does not work in Italy and make it work. It can be done – where there is a will, there is a way.
And to kick things off, Italians need to trust each other more and not try to rip each other off.
Forza, Italia! You can do it – if you want to…».
Giuliano, psichiatra e psicoterapeuta: «Splendido articolo dai tantissimi meriti:
– innanzitutto la volontà e la capacità di mettersi nei panni di una straniero, meglio se d’oltreoceano, e di guardare all’Italia senza tabù. Solo così è possibile quell’ipotetico raffronto con il Nord-Africa e con le sue rivoluzioni, raffronto che istintivamente ferisce la nostra vanità di europei.
– la riuscita sintesi di un ventennio di storia politica e sociale – e dunque anche massmediale – senza semplificazioni superficiali e/o forzature ideologiche. Certo manca il riferimento all’opera del principale partito di opposizione ma tale assenza è metafora dell’assenza di incisività della sinistra.
– capacità di differenziare gruppi e complesse dinamiche sociali ma di cogliere dietro le differenze quell’atmosfera diffusa di sfiducia in cui viviamo con la terribile quanto veritiera constatazione “And cynism leads to terror or to helplessness. We had terror in the past. Now we are experiencing helplessness”.
– l’intuizione di una soluzione in un processo culturale di lunga durata in cui esperire insieme il nuovo, ri-raccontarsi (i traumi passati, i presenti timori, le speranze ma anche le paure future) in una sorta di collettiva terapia della parola, “talking cure” di gruppo, in cui lo spazio “terapeutico” di ripstto e dialogo è dato da nuove regole condivise.
– e soprattutto, quello che più ammiro, il coraggio di mostrare anzichè reprimere una personale contagiosa passione umana e civile senza la quale nessuno sviluppo, nessun rinnovamento culturale è possibile.
Grazie di cuore»
Marcello Barnaba, Sindro-me: «Man,
thank you for writing this. I share your ideas and your analysis, and I feel that we have to overcome the cultural barriers that separate ourselves and inhibit us to think that we’re all on the same boat, with the same needs and issues, and by working together for a common goal we can accomplish everything we need.
It’s a golden dream, but maybe it’s not too far – as long as we keep pushing :).
Peace!»
Carlo Nardone, tecnologo: «Grande! Mi ricorda una considerazione di Umberto Eco riguardo alle domande che gli rivolgono i suoi amici stranieri sull’Italia.
Secondo me la chiave del “conundrum” e’ come smuovere quel 55% medio non completamente illiterato e
non ultraconnesso.
Attenzione a un paio di “were” che dovrebbero essere “where” e ancora complimenti per aver tratteggiato una perfetta storia dell’Italia recente per chi, nonostante tutto, ci vuole bene all’estero.»
2. Segnaliamo, discutiamo, connettiamo….
Da Twitter:
EthanZ Ethan Zuckerman
The possibility of an Italian revolution, from @lucadebiase, who explains why it hasn’t happened yet: bit.ly/py90ID
madroot11 Matteo Radice
yes we need the change u talk about. We only need to learn again who we are as Italians picking up good things of our history.
cleliabrigitta brigitta
Acuta e interessante la tua analisi sull’assenza di ribellione in Italia. Concordo: è necessario un mutamento culturale.
LadyZivago Lady Živago
@newsfromitaly @lucadebiase if the people are not #aware, can not win any battle
newsfromitaly News from Italy
@LadyZivago Seems to be an absence of civil conscience in Italy, alas.
newsfromitaly News from Italy
@LadyZivago Seems to be an absence of civil conscience in Italy, alas. @lucadebiase
LadyZivago Lady Živago
@newsfromitaly @lucadebiase the problem is the #insane stubbornness to always be guided by someone. When the #civil conscience ?
newsfromitaly News from Italy
Many Italians are angry, very angry, but not rebellious bit.ly/oeJTi3 #Italy #comment @lucadebiase
alessiobau Alessio Baù
Su “The case for an Italian ribellion” di @lucadebiase e i desideri di noi giovani per l’Italia e per la rivoluzione goo.gl/AjC3F
eriklumer Erik Lumer
@lucadebiase great post! IMHO, Italians are lacking more than a shared vision. Also shared ethics and contemporary role models.
fedecherubini Federica Cherubini
@lucadebiase The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen. bit.ly/rouyYG
@valedowney and 3 others retweeted you
25 Sep : The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen – blog.debiase.com/2011/09/the-ca…
MagriBellabarba Magrì Bellabarba
Tecnopassioni Daily is out! bit.ly/e1jG6O ▸ Top stories today via @lucadebiase
timetit Tiziana Metitieri
Helplessness. Shared vision. Rebellion. Italy. Mi torna in mente il bel post di @lucadebiase
clovisml Clóvis Montenegro
The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen – @LucaDeBiase bit.ly/oewxG4
lucad1 luca dello iacovo
@lucadebiase ricordo bruce sterling a milano: disse che l’Italia era all’avanguardia nell’innovazione politica (risorgimento, fascismo, ecc)
2lifecast 2lifeCast
@lucadebiase The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen bit.ly/oeJTi3
tomcorsan tomcorsan
@lucadebiase The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen bit.ly/oeJTi3
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baffino_ Gabriele Orsini
@lucadebiase and the italian rebellion goo.gl/tfNU2
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26 Sep : while preparing a follow up in Italian to “the case for an Italian rebellion”, further comments are very welcome.. blog.debiase.com/2011/09/the-ca…
bitforbit ronniescott
@lucadebiase la ribellione è generata dalla necessità di un cambiamento. Se succederà come in Grecia allora la ribellione sarà sicura
mecoio mecoio
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YOUrgent YoUrgent
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pescegiallo Luca
@lucadebiase l’unica rivoluzione possibile in Italia: popolo di Facebook vs quello di Twitter. (preferibilmente lun – ven 8:30 – 18:00)
jessima Jessima Timberlake
Mostly agree RT @lucadebiase: The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen – blog.debiase.com/2011/09/the-ca…
lucasofri Luca
@lucadebiase perché in inglese?
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TheGouldingMan #1EllieGouldingFan
@lucadebiase pls follow me back! ellie goulding, music & fun tweets here!! xD thx, it means a lot to me #TEAMFOLLOWBACK #goulddigger
ruggerotonelli Ruggero Tonelli
The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. http://j.mp/pdI1a8 A worth-reading #Italian #politics #howto by @lucadebiase
mediatoro Mediatoro
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KaliLoli KaliLoli
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ProgettoRENA ProgettoRENA
the wind of change _ the case for an italian rebellion _ [ via @lucadebiase ] _ why it doesn’t happen. and what… fb.me/1h0qG6FwD
negoziatore Gian Marco Boccanera
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piranology Alessandro Pirani
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Youstitia YouStitia
RT @lucadebiase The case for an Italian #rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen – blog.debiase.com/2011/09/the-ca… #ItalyRev
fondazioneahref Fondazione ahref
“The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen” @lucadebiase http://ow.ly/6EeBN
timetit Tiziana Metitieri
Anche stavolta preferisco Nova con Arduino e @lucadebiase in prima (+ altro ben trattato su neuroscienze) al @24Domenica. Alla prossima!
lawrenceoluyede Lawrence Oluyede
@lucadebiase @alessiobau being in English and on a blog an interesting analysis like this one will be read only by those 10% you mention 🙂
HopeTeamBurton Marco Speranza
blog.debiase.com/2011/09/the-ca… /via @lucadebiase
Francesca3176 Francesca Frigeri
molto interessante “@lucadebiase: The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. – blog.debiase.com/2011/09/the-ca…” via @tigella
giulicast Giuliano Castigliego
RT @lucadebiase The case for an Italian rebellion. “Un profondo cambiamento culturale è il movimento tl.gd/da2e2k
dettoManzari Max detto Manzari
Interesting “@lucadebiase: The case for an Italian rebellion.Why it doesn’t happen.And what could happen blog.debiase.com/2011/09/the-ca…”
gmboccanera Gian Marco Boccanera
RT @lucadebiase The case for an Italian #rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen – blog.debiase.com/2011/09/the-ca… #ItalyRev
IdeaSqueezer Emanuele Capoano
@beppesevergnini @twitt_and_shout @francescocosta @lucadebiase @dissapore @Tatarella TUTTI I VINI ORMAI SANNO DI TAPPO? #colpadifiniecasini
@paolosisti and 8 others retweeted you
25 Sep : The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen – blog.debiase.com/2011/09/the-ca…
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25 Sep : The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen – blog.debiase.com/2011/09/the-ca…
glipari Giuseppe @lucadebiase: Ci manca il futuro – goo.gl/juyjq e ci mancano i giovani
Paoloexe paolo eugeni
“@lucadebiase: The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen – blog.debiase.com/2011/09/the-ca…”
3. I giovani al centro della storia, per la loro presenza, per la loro assenza.
By y.l. on September 27, 2011 3:25 PM
ciao luca, mesi fa sul manifesto uscì questo pezzo:
http://www.micciacorta.it/home/naviga-tra-le-categorie/15-movimenti/3612-i-giovani-e-la-rivoluzione-.html?ml=2&mlt=yoo_phoenix&tmpl=component
è legato essenzialmente alla questione giovanile e con l’eco nelle orecchie dei movimenti spagnoli, ma fornisce buone indicazioni generali a mio avviso. poi il problema è sicuramente molto complesso e stratificato.
Alessio Bau, su SocialMilano
Da Facebook:
Francesco Rigatelli è la questione del momento secondo me. vediamo se all inizio delle università succede qualcosa
Tiziana Metitieri Difatti il silenzio degli studenti è inquietante.
4. Tra cinismo, discordie e preconcetti non se ne esce…
By sara on September 25, 2011 8:28 PM
Non sono d’accordo con l’analisi, che per molti aspetti non è chiaro da che presupposti parta (non è la democrazia sostanziale che abbiamo oggi il problema, ma la cultura democratica che non si è alimentata negli anni… e di questo bisogna tener conto quando si pensa al dopo possibile…), ma ritengo che le conclusioni siano corrette.
Purtroppo oggi mancano i laboratori capaci di costruire/pensare visione per il futuro, ed è questa la grande sofferenza e paura che, almeno io, vivo.
By Vronsky on September 25, 2011 8:45 PM
Foreigners (and Americans specifically) don’t see the difference between Italy and Libya because very often they can’t tell which is which when they look at the map. In less than two years we will have elections and there’s no need of a blood bath in the meanwhile, as you say. However, I think that a vast, peaceful rebellion is rapidly spreading all around the Country. The popularity of the current government is as low as 26%, which means that even illiterate people who spend much time watching at tv are proving able to understand the situation. The rebellion is in every post against the current state of affairs, like this great one, is whenever serious and respectable professionals speak loud in face of our miserable governors, is in every ‘no’ that honest people say to compromises.
By Roberto on September 25, 2011 10:20 PM
I think that the world does not know very well the Italians!
Who does not know the historical reality of Italy, from 1968 to today can not understand! We have lived for decades in an “excess” of democracy: I mean, in any discussion, in the ’70s and ’80s, you had to put into question, put yourself constantly in crisis, not to overwhelm the others. A continuous search for what could be more intellectually right
There were a continuous research for the “cultural avant-garde”; to searche a way of being socially useful, and democratic. The trade union movements, the labor rights, were in first place in public discussions. The cultural factors were all in the first place, (for not to be “retreau”! This happened for 20 years and over in Italy, every day…… In these 20 years the prevailing culture was of course left, always and absolutely liberal and democratic left-wing, super-democratic. The expectations of the people were great huge, everyone was expecting major reforms, major changes in the system of government, both central and local levels. Here in Italy we have lived for 20 years as if we were in Berkeley
in the years ’67-71! Just like Charlie Brown and friends, in the same way!
I myself was first, in this way,at the high school, at thecollege and when I was professiona! I experienced everything!
At some point (in the 90s) the the reality fell upon Italy!Tthe true economic reality has rained down Italy: there were no more fascists to fight! There were no more perfects men of the labor movement ! Power was also pleasing to the left ! Came to the government
Craxi’s Socialists, the opportunists-calculated with the system of bribes to political parties (phase “Clean Hands” 1993-94). Since then, Italian, disappointed by all the political Left, that for 30 years had made promises, began to think only of themselves, only of their interests, their economic affairs ………………=> and here comes Berlusconi, that represents all these things, (we say ” like cheese on maccheroini “)!!! . In practice, the Italian says:” If they do not care of nothing and of the people, thinking only of their power, why should not I do it myself?
Even today we live in this condition, which is why the Italians did not rebel anymore! Who taught them for 30 years, being incorruptible, and gave constant cultural-reformist-revolutionary messages, was detected only an opportunist. A whole political class has so much disappointed that the Italian thinks: “In the end it’s better as an entrepreneur Berlusconi, who is is not at least double ! It ‘done so, think about the women, success in power, as most of the people of the Western world” So is the “disappointment”, the disillusionment and disappointment, only the explanation of the behavior of Italian peolple; that’s because they are tired of rebelling and they do not care to change this government! Very simple.
By Lampo on September 26, 2011 12:19 AM
Sì, Roberto, poi mi spieghi quando sono stati i 30 anni in cui la sinistra ha fatto promesse ma non ha voluto mantenerle. Forse al governo c’era qualcun altro? Forse nella situazione politica la generale arretratezza culturale, causata anche dalle strutture cattoliche, ha avuto un qualche peso?
La rivolta in Italia non è possibile perché siamo un popolo di pigri invidiosi. Finché c’è da stare dietro ad un monitor siam tutti bravi, ma quando si tratta di fare anche solo le manifestazioni pacifiche ci si ritrova in pochissimi. Figuriamoci cosa succederebbe durante una “ribellione”…
By Barbara Barbieri on September 26, 2011 4:25 AM
I don’t agree with this analysis.Firstly because it’s centred only on media and I think that focus our attention over the media it was the greatest political mistake in the last twenty years. Moreover in this article nothing has been said about opposition political organisations such as PD and their absence, or better their lack of strenght during these years, gave a great contribute to make vague democracy balance in Italy. I think that opposition parties powerless action gave during these years an extraordinary possibility of growth to the judiciary power and this lack of balance between state powers is the real problem for italian democracy
By Franco on September 26, 2011 7:20 AM
See, dear readers?
The comments in this post explain very well why Italy is in a mess. We are divided.
Everyone in the country knows that if we keep on voting Berlusconi we are fucked. But voting something else would be like acknowledging a cultural defeat for some people. It’s like switching football team. A big no,no. No Italian supporter will move from a team to another. At maximum we will just avoid going to the stadium, but supporting another team is not at option, you stick to your team all the way down to the silliest league. We just LOVE to be divided. Burn, Italy, burn!
By Maurizio on September 26, 2011 11:29 AM
Splendido articolo. Davvero complimenti per la lucidissima analisi.
By Canablach on September 26, 2011 2:05 PM
Bel testo, analisi appassionata.
Drammaticamente mi riporta alla mente una discussione di classe, scandalo Lockheed, 1975: la conclusione di alcuni studenti, allora sedicenni, fu che quell’Italia non era democraticamente riformabile.
Quest’Italia? Sono passati più di 30 anni e il paese non sa (mai saputo) distinguere tra melodramma e tragedia.
Un appunto, su una “dinamica” non considerata nell’analisi: il paese è vecchio. Ogni politica, ogni azione, ogni forza al potere, mira a non scontentare una maggioranza, sempre più larga, di anacronistici vecchi.
Old men hate revolutions and want no news.
By Sissi on September 26, 2011 3:54 PM
It’s not a matter of right and left. It’s the all Italian politics which sucks. And Italians, at least those 55% of them, are totally tired of its caste. I share the analysis and the ideas of this post. And hope we’ll find a new creative (arn’t we creative?), peaceful but effective way to generate a new one of a kind revolution.
By Francesco on September 26, 2011 3:54 PM
I can’t agree with this.The only rebellion italian people have to do is not against politics, but against themselves. Against their own spoiled culture.Unfortunately the 70s and 80s governaments,help by unions have created a certain mentality among people, especially in southern Italy,but not only. According to this mentality we all think that a certain standard of wealth is adequat
e to our nation.We think having one of the best(and most expansive)health systems of the world,having a welfare comparable to other rich european nations,having all a job which doesn’t require working more then 35 hours per week,having a pension for 60 years old people,having cheap public transportation services(cheap trains for instance) is MANDATORY in Italy,it is our own divine right to get all of those things. But do we really deserve being treated that good?Have we italians ever asked ourselves this easy question?
There are nation where those things are not even coceived,and I m not talking about third world countries.We should just understand that we have all lived furher beyond our possibilities and that its time to change this mentality, and to understand that nobody in europe,even nation with far stronger economies than our, have the privileges that we have.I wouldn’t say this is just a politics related problem,whereas I d say a cultural related one.
Cheers.
By Canablach on September 26, 2011 4:54 PM
@Francesco It just shows how great this place could be. We sustained these privileges; and might as well have done so in the future, had we not forfeited our wealth in order to keep up the boon
of some parasitic groups.
By Marco on September 26, 2011 6:35 PM
Womderfull, gentlemen, See you on the mountains. Don’t forget to carry rifles and ammo. And, no, iPhones aren’t useful up there, battling the obscure forces of tiranny. What ? Everyone has another affair downtown ? Ah, the meeting of the LastDaysOfItaly Club… Understand. See you another time. Bye.
By Marco on September 27, 2011 12:04 AM
“A 35% of Italians are… functionally illiterate [who] only rely on television for news.”
I’m not 100% sure that the percentage of functionally illiterate Italians is that high. I agree that is not far from that figure, and in any case, even if it were 10% it would still be untolerably high. However, I wanted to point out that, while this is true:
“[Many Italians] sort of live in a TV fiction, which is created by the very power source of the present political leadership. When they vote, they vote accordingly”
it would be a very big mistake to assume that all the Italians who “live in a TV fiction” and base their political decisions on it, eventually vote for the “present political leadership”, at least if by leadership you mean “the leadership that constitutes the current cabinet”. There are plenty of Italians who vote for the current opposition, or don’t vote at all, who only get their “facts” from mainstream TV.
By sgramtius on September 27, 2011 7:31 AM
da dove si comincia?
By Marco on September 27, 2011 11:52 AM
Smettendola di pensare, dire, agire, come se gli italiani fossero sempre gli altri
By romualdo on September 28, 2011 2:55 PM
Signori capisco la vostra preoccupazione e la condivido.
Tuttavia ritengo che i commenti esteri siano corretti evidenziando una
naturale mancanza di pianificazione e coesione degli Italiani.
Prendere il potere politico a livello nazionale, è solo una questione di
numeri ed un buon piano di Marketing, come sa perfettamente il nostro
attuale presidente del Consiglio.
Invece cambiare l’attuale sistema Italia è ben più complesso in quanto
prevede una presa di coscienza di ciò che siamo e di dove vogliamo
andare.
Se questa presa di coscienza non parte dal dibattito culturale che i
giornalisti possono avviare…. come faremo mai a crescere come
coscienza collettiva.
Grazie Luca per aver lanciato il sasso nello stagno ;))
Da Google+:
La progenie italiana poi, così votata all’inerzia sarà la prima vittima sacrificale.
Who does not know the historical reality of Italy, from 1968 to today can not understand! We have lived for decades in an “excess” of democracy: I mean, in any discussion, in the ’70s and ’80s, you had to put into question, put yourself constantly in crisis, not to overwhelm the others. A continuous search for what could be more intellectually right
There were a continuous research for the “cultural avant-garde”; to searche a way of being socially useful, and democratic. The trade union movements, the labor rights, were in first place in public discussions. The cultural factors were all in the first place, (for not to be “retreau”! This happened for 20 years and over in Italy, every day…… In these 20 years the prevailing culture was of course left, always and absolutely liberal and democratic left-wing, super-democratic. The expectations of the people were great huge, everyone was expecting major reforms, major changes in the system of government, both central and local levels. Here in Italy we have lived for 20 years as if we were in Berkeley
in the years ’67-71! Just like Charlie Brown and friends, in the same way!
I myself was first, in this way,at the high school, at thecollege and when I was professiona! I experienced everything!
At some point (in the 90s) the the reality fell upon Italy!Tthe true economic reality has rained down Italy: there were no more fascists to fight! There were no more perfects men of the labor movement ! Power was also pleasing to the left ! Came to the government
Craxi’s Socialists, the opportunists-calculated with the system of bribes to political parties (phase “Clean Hands” 1993-94). Since then, Italian, disappointed by all the political Left, that for 30 years had made promises, began to think only of themselves, only of their interests, their economic affairs ………………=> and here comes Berlusconi, that represents all these things, (we say ” like cheese on maccheroini “)!!! . In practice, the Italian says:” If they do not care of nothing and of the people, thinking only of their power, why should not I do it myself?
Even today we live in this condition, which is why the Italians did not rebel anymore! Who taught them for 30 years, being incorruptible, and gave constant cultural-reformist-revolutionary messages, was detected only an opportunist. A whole political class has so much disappointed that the Italian thinks: “In the end it’s better as an entrepreneur Berlusconi, who is is not at least double ! It ‘done so, think about the women, success in power, as most of the people of the Western world” So is the “disappointment”, the disillusionment and disappointment, only the explanation of the behavior of Italian peolple; that’s because they are tired of rebelling and they do not care to change this government! Very simple.
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Obiettivamente bsogna riconoscere che l’Italia , rispetto agli altri paesi europei, ha fatto negli ultimi 20 anni dei notevoli passi indietro sulla strada della democrazia.
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ofessori della sinistra che appunto per anni insegnavano “la giusta rivolta”. Occhio ragazzi! Occhio sta succedendo la stessa cosa oggi! (Mistificazione eccetera=nessuna lege matematica riesce a rappresentare il “Paese Italia”.
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Certo è che tutto sarebbe quantomeno più probabile se non fossimo sotto una dittatura della non informazione, o se fossimo davvero preparati ad essere competitivi a livello internazionale senza per forza scappare dall’Italia per riuscirci.
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5. E ora?
By Maurizio on September 28, 2011 3:22 AM
Credo che la chiave di lettura migliore sia che, se pur a passi incerti, stiamo andando verso una nuova consapevolezza globale. Che nasce soprattutto nelle giovani generazioni che interagiscono su internet, si informano e capiscono che ci vuole una nuova idea di sviluppo.
Sarebbe bello che l’Italia fosse capace di anticipare questo cambiamento ed esserne il motore. Ci riscatterebbe da 15 anni di Berlusconismo e di incompetenti al governo.
Ho 31 anni, due lauree, e so quello che dico. Molti di noi sanno tutte le cose che non vanno in Italia e tutte le cose che dovrebbero essere fatte. Non mancano le risorse, le capacità umane, le competenze nelle nuove generazioni, che spesso capiscono meglio e prima di questa classe politica ormai obsoleta.
E’ evidente come il Paese sia ormai in caduta libera, guidato da una banda di INCOMPETENTI nel senso letterale del termine, a destra e a sinistra (se una tale divisione ormai ha ancora senso), e come l’inazione sia ormai intollerabile.
Io dico che bisogna affrontare la cosa come un problema e cercare una soluzione efficace per risolverlo. Che funzioni e che sia realistica. Prima che sia troppo tardi
Allora cosa vogliamo fare?
Una rivoluzione violenta è assolutamente non percorribile e fuori discussione. Ma questa gente, questi incompetenti (quando non criminali) che pretendono di guidare un paese, non se ne andrà mai da sola. Quindi?
Io dico che è arrivato il momento di agire. Come? Muovendosi in 2 opposte direzioni:
1) Usando La rete come collettore. Far convergere su un unico sito/progetto tutte le idee di sviluppo/operazioni nei vari ambiti, selezionando le migliori e usandole come piattaforma programmatica per un “partito del web”. Un soggetto politicamente neutro ma, con strumenti politici e democratici, totalmente trasparenti permetta la presentazione di idee e candidature alle prossime elezioni.
2) Organizzando con una manifestazione unica e prolungata, sulla base di quelle degli indignados, che costringa l’attuale governo alle dimissioni.
Beh. Le idee non mancano. Spero che questo commento avrà tanti reply. E’ tempo di muoverci: per i nostri figli e tutti quelli che verranno dopo di noi. Credo che la nostra sfida, come generazione, sia quella di lasciare un paese migliore di quello che abbiamo trovato e in questo tempo dove tutto sembra scuro, abbiamo le capacità e le possiblità (anche se ancora non lo crediamo possibile) di farlo. I referendum c’è lo hanno dimostrato. Questa generazione può farlo. Adesso andiamo a convincere i nostri vecchi che siamo più bravi di loro:)
Il tema della visione come premessa di una rivoluzione: con l’obiettivo della ricostruzione
Gli italiani non sembrano per ora volersi aggregare intorno a una ribellione anche perché non ne vedono lo scopo.
Questo è probabilmente il punto. Perché non è chiaro lo scopo?
In primo luogo lo stato di prostrazione mentale in cui viviamo non aiuta. Una popolazione divisa, che ha visto per trent’anni una continua demolizione di certezze, vive in un paese che sembra in un “dopoguerra culturale”. I “barbari” – per dirla alla Baricco – che hanno preso il potere negli ultimi due decenni hanno lavorato costantemente per distruggere le istituzioni senza arrivare a ricostruire nulla. Anzi, dimostrando un certo disinteresse per la ricostruzione. La Banca d’Italia, la magistratura, persino la Corte costituzionale e la Presidenza della Repubblica sono state attaccate. Alcuni nuovi potenti hanno preso in giro la bandiera italiana e invocato la secessione di alcune regioni, avvalorando l’idea di una disunione d’Italia. Gli italiani hanno visto i nuovi potenti alle prese con la demolizione sistematica di ogni comportamento istituzionalmente corretto. Non hanno visto la costruzione di nulla.
Non stupisce che se la ribellione viene percepita come ulteriore distruzione essa non appare come un’ipotesi attraente.
In realtà, ci sarebbe bisogno di costruzione. Come nel Dopoguerra. Purtroppo le macerie di sessant’anni fa erano ben visibili e la fame le rendeva ancora più visibili. Mentre le macerie culturali attuali e la fame di visioni nuove non è visibile. E gli italiani non sanno se e in che misura questo tipo di analisi ed esigenza sono condivise.
Di certo, possiamo dire che la visione non c’è. Che nessuno offre una prospettiva chiara. Un’agenda che aiuti i giovani e gli altri italiani a definire un percorso d’azione che abbia una qualche prevedibile conseguenza positiva. Ci si rinchiude nell’arrangiarsi e nel salvarsi personalmente. Ma la nostalgia di un progetto comune emerge ogni volta che si presenta anche una minima occasione: lo si è visto nelle celebrazioni per l’unità d’Italia c
he certamente hanno trovato un consenso e un’attenzione superiore alle aspettative. (E non per nulla sono state vagamente boicottate da molti rappresentanti delll’attuale maggioranza).
Una società fatta di tante minoranze non è per questo una società che non ha bisogno di unirsi.
Infatti, questo bisogno è sfruttato dai potenti che lo sottolineano indirizzando l’attenzione solo verso il breve termine: sia quando sono fondate come la questione della crisi finanziaria, sia quando sono infondate come la questione della criminalità. Ma di sole urgenze si muore dal punto di vista progettuale.
Le componenti aggreganti che possono dare forza a un movimento culturale ricostruttivo vanno ancora definite.
Attualmente, sulla scorta delle urgenze, si configurano alcune richieste emergenti che però non sono ancora un’agenda di lungo termine, anche se secondo qualche sondaggio appaiono maggioritarie, come:
1. Cambiare il capo del governo (la sua popolarità è scesa al 25% dunque la maggiornaza è contro di lui)
2. Affrontare la crisi con misure che oltre a ridurre il debito alimentino la crescita (richiesta un po’ più difficile da comprendere per tutti ma enorme e montante)
3. Ripulire la classe politica da corruzione e privilegi (difficile trovare una richiesta più ripetuta)
Ma le urgenze non sono sufficienti. Una lista di priorità, della quale purtroppo nessuno conosce la popolarità (non si sa se sono maggioritarie), per ottenere un recupero di democrazia è comunque spesso (non abbastanza) dichiarata:
1. Ristabilire una legge elettorale che consenta ai cittadini di votare i loro rappresentanti e non solo i partiti
2. Sciogliere il conflitto di interessi fondamentale, quello che consente a un concessionario televisivo di fare il capo del governo e controllare la stragrande maggiornanza delle organizzazioni pubbliche e private che producono informazione e programmi televisivi
3. Rilanciare la crescita e la diffusione della banda larga e di internet in tutto il territorio nazionale come premessa di un’ulteriore crescita delle alternative mediatiche.
Il problema è che tutto questo non sembra poter contare su appigli operativi e pratici. A chi ci si rivolge per ottenere queste cose in un contesto nel quale il governo resta saldamente in mano a una maggioranza che pur avendo perduto una sua componente fondamentale è riuscito a rinsaldarsi acquisendo parlamentari eletti dall’opposizione con metodi molto discussi?
L’urgenza è urgente. E occorre far fronte. Chi se ne occupa ha grandi meriti. Ma la popolazione ha bisogno anche di poter pensare al dopo.
Quando fatalmente il sistema di potere attuale cadrà, che cosa ci sarà? Altri approfittatori o persone eticamente più sane e culturalmente più capaci di amministrare? Non dipende dalla soluzione delle urgenze. Dipende dalla crescita di un movimento culturale che aiuti i cittadini – a partire da chi scrive queste righe – a capire la differenza tra quello che è importante e quello che è soltanto interessante.
Le decisioni possono essere classificate per la loro urgenza e importanza. Si sa che le questioni “urgenti e importanti” vanno affrontate subito, certamente prima delle questioni “non urgenti e non importanti”. Ma come si sceglie nella lista di priorità tra le questioni “urgenti e non importanti” e le questioni “importanti e non urgenti”? Come si fa vincere la priorità di ciò che è importante?
Il movimento culturale che riconquista ai cittadini la capacità di distinguere ciò che è importante ha un compito fondamentale. È una sorta di nuovo illuminismo che aumenti lo spazio del ragionamento nel dibattito (contro il metodo ideologico che prevale attualmente): l’illuminismo ha preceduto le rivoluzioni americana e francese. È una sorta di nuovo empirismo che aumenti lo spazio dei fatti sui quali tutti concordano prima di prendere decisioni (contro la distruzione sistematica dei fatti e della credibilità delle fonti di analisi che prevale attualmente): l’empirismo ha reso possibile la rivoluzione scientifica e quella industriale. È un pensiero nuovo, oltre il modernismo delle grandi narrazioni tradizionali e oltre il postmodernismo nell’ipersperimentazione: la costruzione di una nuova socialità ha bisogno di un terreno culturale fondato su un metodo e valori comuni. Il patrimonio culturale di un popolo è un bene comune che non può essere inquinato e distrutto senza tutti ci perdano in modo drammatico.
Questo non è un concetto astratto, ma concreto. Perché indica dove andare a cercare gli appigli operativi per passare all’azione.
Si scopre, pensando in questo modo, che i mondi del breve termine e della manipolazione delle idee – la politica iperelettoralizzata, la finanza spersonalizzata, le narrazioni mediatiche autoreferenziali – non sono luoghi nei quali i giovani e i cittadini che cercano risposte possono trovare una prospettiva capace di aiutarli a decidere a che cosa dedicare la propria vita.
I mondi che possono fare movimento culturale sono quelli orientati al lungo termine o almeno un po’ meno bloccati dal breve. Ricostruire associazionismo, lanciare progetti di media sociali e civili, fare volontariato, studiare e fare ricerca, leggere e comunicare con un metodo condiviso quello che si impara, dedicarsi all’ambiente, alle relazioni sociali, ai beni culturali, alla formazione, allo scambio internazionale di idee ed esperienze, sono dimensioni della vita nelle quali quello che si fa ha una valenza di ricostruzione culturale. Da quei mondi emergono comportamenti più civili e pensieri più costruttivi. Che cosa possiamo fare per aiutarli a emergere, a trovare più mezzi, a crescere nell’attenzione della società, a dare conforto ai giovani e ai cittadini che non ne possono più di sentirsti spaesati e soli di fronte a un futuro che vorrebbero costruire ma non sanno come?
Questo è il tema. Non stiamo parlando di limitarci a “pensare”. Stiamo parlando di “fare” cose che alimentino il “pensiero”, generando contemporaneamente pratiche e soluzioni di vita. Le autorità morali e culturali che emergeranno sono biografie sensate e capaci di dare senso. Le persone le riconosceranno. E su queste pratiche, forse, si potranno sviluppare anche azioni di lotta non-violenta, le uniche che possono avere un senso pratico e un consenso vero da parte di una popolazione che non vuole più distruzione. Vuole costuire il suo paese.
Questo è quello che possono fare, subito, le persone che non vogliono più immedesimarsi passivamente nelle storie degli altri: vogliono scrivere la propria storia. Imho.
E se fosse il Sole24Ore a farsi finalmente portatore di questo impeto, portandolo in prima pagina, cessando di essere una bussola che aiuta i naviganti a dirimere passivamente politiche inette e norme oscure; e divenendo la barra a dritta verso questa visione di futuro?
questo blog esprime idee del tutto personali e non discusse con il Sole 24 Ore che comunque ha sempre manifestato interesse, solidarietà e partecipazione per lo sforzo di ricerca che cerco di perseguire in questa sede: di certo, svolgo quotidianamente il mio lavoro per il Sole 24 Ore, cerco di farlo con impegno e spero che possa svilupparsi
Mai dubitato, non voglio creare frizioni. Solo la ricerca di un grosso grimaldello che possa/voglia smuovere/attivare il cambiamento.
Caro Luca, grazie di questa lunga requisitoria. Concordo in pieno con le tue ultime conclusioni.
Ocorre ricostruire un tessuto sociale, spingere la riflessivita’ attorno a un progetto/i comune. Ma soprattutto sforzarci di fare cose innovative, che aggreghino energie e interessi. Si’, anche interessi, perche’ se nascono attorno a bisogni reali sono produttivi.
Cosi’ si puo’ spingere/costringere la politica a avviare riforme; oggi queste non sono possibili perche’ la conservazione e’ trasversale, i veti sono incrociati.
Complimenti davvero, un post ricco di spunti di grandissimo interesse. Sono d’accordo sul fare, sul dare sfogo alle proprie passioni per creare qualcosa di innovativo avviando così un progetto comune che ci permetta di rialzare la testa. Perchè la situazione è molto pesante, anzi direi drammatica, e di questo ormai se ne sono accorti tutti tranne chi dovrebbe.
Un saluto,
Stefano
Ciao Luca,
contribuisco alla riflessione con un pezzo che avevo scritto in febbraio su Nazione Indiana e sul mio blog:
http://giovannacosenza.wordpress.com/2011/02/22/dieci-cose-da-ricordare-quando-si-scende-in-piazza/
Caro Luca. Linko un post su fb (pubblico e accessibile) che scrissi nel 2009 pochi mesi dopo il terremoto: lì ci sono in definitiva tutti i temi che hai sollevato e in particolare una riflessione personale sul ruolo degli eventi traumatici nei cambiamenti storici. E anche su come l’uso dei social network rappresenti una chiave di volta per una presa di coscienza.
Penso sia molto importante per capire cosa fare proprio quello di cambiare prospettiva (questa meravigliosa parola, come dici tu…).
Ancora secondo me non siamo pronti ad agire perché ancora dobbiamo fare un bel lavoro di analisi. Non abbiamo ancora messo a fuoco troppe cose. Ancora non sappiamo cosa bisogna fare perché ancora non abbiamo capito cosa sta succedendo e chi siamo noi. La tua preziosissima riflessione è un contributo che ritengo molto importante, proprio perché cerca di cambiare prospettiva.
Quello che vorrei sottolineare è quello che scrissi in quel post:
https://www.facebook.com/note.php?note_id=79379383811
“Siamo in un tempo in cui abbiamo bisogno di riconoscerci in un comune sentimento. “Un Paese vuol dire non essere soli”. Questo è importante.
Ma ho acuta anche la sensazione, forse accentuata dall’osservare una realtà che appare sempre più grottesca e deforme, di essere una comparsa in una sorta di rappresentazione teatrale, di sogno surreale di un presente fuori dal tempo da cui potrei risvegliarmi da un momento all’altro. Eppure i corsi e ricorsi della storia dovrebbero insegnare, come è già accaduto mille volte, che dopo la decadenza il vero caos probabilmente deve ancora avvenire prima che un nuovo ordine, non per questo migliore, venga stabilito. Perché dovremmo pensare di poterne uscire senza traumi, di essere diversi dagli uomini di epoche passate, a volte appena passate, persino recenti e già dimenticate?
Ognuno crede che si ricorderà e invece se c’è una cosa che ho imparato, è che si dimentica. Ricordi personali e pezzi di storia. La storia siamo noi. E noi ci dimentichiamo presto di noi.”
Seconda considerazione, che faccio da tempo e che sta venendo fuori chiaramente anche in questa discussione, riguardo alla atomizzazione delle identità e dei flussi di pensiero su internet. Questo secondo me è un problema tecnologico veramente critico che ancora, per quanto ne so, non è stato risolto e che non permette veramente di costruire una INTELLIGENZA COLLETTIVA che riesa a catalizzare davvero intorno a un progetto le persone, anche se siamo sulla buona strada. Pensa alla fatica e a lavoro “manuale” che tu stesso hai fatto per raccogliere per non disperdere i contributi sparsi nei commenti e post su almeno 3 o 4 piattaforme su cui hai pubblicato e fatto conoscere il tuo post. O meglio i tuoi post. Manca una piattaforma, un meta-network che sia capace di far confluire in un unico luogo fisico questi contributi sparsi. Ancora non c’è una vera piazza virtule dove possa trovare casa ogni social net per confluire in un grande collettore che visualizzi il flusso di scambio tra gli utenti che potrebbero scegliere di voler mettere in piazza un argomento di interesse comune. Ma forse ci sarebbero molti problemi, quando si supera un limite. Quando il flusso di informazione è troppo, alla fine si smette di leggere. Insomma ci vorrebbe un sistema intelligente (un moderatore?) in grado poi di selezionare i contributi più rilevanti (importanti, ma anche interessanti!) prelevandoli da ciascun network dove si trovano…
Chiedo scusa per la lunghezza di questi pensieri a “ruota libera”e ringrazio per l’ospitalità! 🙂
“Un ordine sociale può finire soltanto in due modi: il primo è quando viene distrutto dai suoi nemici – quello che sta accadendo ora in Libia. Lo schema è ovvio (e più semplice da spiegare). C’è uno scontro, in genere violento. Una parte vince, l’altra perde. Il futuro è incerto, ma non si può tornare indietro. Il nuovo ordine non è ancora emerso ma il vecchio sta morendo e, come scriveva Gramsci: «In questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati». (Quaderni dal carcere, Quaderno 3, Volume I, Edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Einaudi, ,pagg. 312, ndt).
L’altro modo, e di gran lunga il più sconcertante, è quando un regime viene fatto cadere dal suo interno. In questo caso lo schema è assai più complicato. In genere è una lotta a tre con alleanze che cambiano di continuo. Ci sono i riformisti, quelli che vogliono riformare il sistema perché intendono mantenerlo (Gorbaciov), e ci sono i radicali che dicono di voler riformare il sistema ma in realtà lo vogliono distruggere (l’intellighenzia dissidente). E ci sono i reazionari che non vogliono cambiare nulla perché sanno che il sistema non può essere riformato. Vent’anni fa, nell’agosto del 1991, si compì l’atto finale della lotta fra queste tre forze e il cambio di alleanze fu così frenetico che nessuna conquistò mai il pieno controllo. Gorbaciov aveva cominciato come il classico gattopardo: voleva preservare quello che chiamava “Comunismo” ma voleva dargli un volto umano, voleva dargli quello che non aveva mai avuto: la trasparenza (glasnost) in modo che potesse essere ricostruito (perestrojka). Altri riformisti, in altri Paesi, intrapresero strade diverse…”
Queste sono alcune frasi di Donald Sassoon pubblicate sul “Il Sole 24 Ore“ lo scorso 11 Settembre. Mi hanno dato una prospettiva storica e volevo condividerle con voi. Grazie.
Boh, sarò il soliti cinico scettico rompicoglioni, ma mi sembra che ci sia la massima confusione sotto il cielo (la situazione è ottima diceva Mao, ma sarà poi vero ?). In certi momenti il postatore e i commentatori sembrano volere solo un cambio di guida del governo (stessa maggioranza, ossia, via B. e staremo tutti meglio). In altri momenti, si vorrebbe un cambio di maggioranza. Legittimo, ci sono le elezioni per questo. In altri ancora si aspira a un cambio di maggioranza senza elezioni (come ?, con trasformismi vari ?), per cui nel 2013 si rivoterebbe, e se rivince la maggioranza attuale, come la mettiamo ?. O magari con un colpo di stato (istituzionale, per la carità, cone le forze del bene che si schierano, Carabinieri, Esercito, Forestale, Sturmtruppen di Confindustria ?). In altri ancora (scusate gli “ancora” ripetuti, ma è la situazione che li impone) si vorrebbe un cambio i struttura sociale, ossia una rivoluzione leninista (inserisco in questa categoria di desiderata chi auspica un cambio di regime, che suppongo non sia quello del governo attuale, ma tutto l’arco politico, altrimenti siamo ai giochini di parole). Bene, come ? Con un afflato spontaneo delle masse ? Un flash mob via iPhone (5, ma anche inferiori, siamo democratici). E per fare che ? Scusate, ma prima di imbarcarmi mi dite cosa volete fare dopo, se no con il c… che ci sto. Non per timida ritrosia ma proprio perchè non mi fido dei vari capetti e capettini, guru e gurettini, imboscati nei giornali e accademici garantiti, ne ho già visti troppi ai miei tempi.
Infine, nei momenti di massima depressione, si vuole una palingenesi universale. Prosit. Penitentiam agite. Sparatevi o convertitevi (preferirei che faceste la prima dopo la seconda).
Ci si mobilita e si compiono azioni concrete mettendo in gioco sé stessi solo se esiste negli individui una visione chiara, almeno nei suoi assunti fondamentali, di ciò che realmente si vuole e di ciò che invece non si vuole più.
L’amara realtà è invece che questa visione non c’è. Non c’è forse neppure per le elite intellettuali che tentano di districare la complessità del presente; figuriamoci per le persone comuni che non riescono neppure a saper leggere e comprendere appieno un testo qualsiasi, un articolo di giornale o (figuriamoci!) i post in inglese di questa discussione.
In Italia inoltre, la percentuale di giovani che sanno usare i media digitali e orientarsi nel tumultuoso flusso di idee e informazioni della rete costituisce una esigua minoranza.
Nei paesi del nord Africa la percentuale di individui appartenenti alle giovani generazioni è significativamente più elevata rispetto all’Italia dove prevalgono numericamente generazioni più vecchie e meno alfabetizzate in ogni senso. La questione è culturale: puoi porre in atto azioni concrete solo se sai bene ciò che stai facendo e dove intendi arrivare. Altrimenti ti chiedi se il rischio che corri vale davvero la posta in gioco, e aspetti di capire o che qualcuno ti aiuti a capire forse neppure cercando da solo gli strumenti per farlo. Per lottare e mettersi in gioco occorre aver elaborato un’analisi raffinata delle condizioni di realtà. Su questo fronte non siamo davvero pronti.
Sinceramente, lo smarrimento di cui si parla e che in un qualche modo dovrebbe essere stralegittimo, non ne vedo molto in giro. Mi ritrovo con quanto sostiene @Marco. Dai discorsi da bar a quelli più impegnati, la ricetta è scontata: fuori questo governo e happy end. Anche con qualche calcolo sull’incidenza di punti percentuali su PIL. Paradossale poi leggere, da parte opposta che ancora non si sa bene cosa fare. Le cose da fare sono note e noiose da molti e troppi anni. Con molto però. I cambiamenti culturali non sono indirizzabili, possono al massimo essere assecondati, manipolati e sfruttati secondo le convenienze che aprono. Possono essere vantaggiose per l’interesse pubblico e involvere in strettoie ancora asfittiche. Il Referendum sulle liberalizzazioni ce ne ha dato un classico esempio, pessimo e emblematico. Dopo un mese cavalcavano gli sprechi. Stesse evidenze se si parla di altre problematiche (scuola, sanità, pensioni e welfare in prima lista): non si può toccare niente che montano le grida dell’abuso. Lo smarrimento non dipende dal fatto che non si sa cosa fare (@maria), è che cambiano norme, interventi e fatti dalla sera alla mattina dopo. Tutti quelle che vogliono il cambiamento culturale lo possono fare con piccole cose, che non fanno. Nessuno pretende la pubblicazione on line dei documenti amministrativi della maggior parte di procedure che dal ’90 sarebbe state dovute (almeno se ci fosse stata una pressioni sull’importanza dalla trasparenza amministrativa). Men che meno salgono proteste se un funzionario incompetente rimanda ad un altro ufficio per dissimulare che non è attrezzato per provvedere ad interesse pubblico che quell’ufficio dovrebbe, almeno per correttezza garantire. Perché molti cittadini sanno di collusioni tra progettisti di opere pubbliche e affidatari ma poi se ne guardano bene dal dirlo. Qualcuno potrebbe dire che non sanno che chi progetta non dovrebbe (per legge) avere incarichi professionali con imprese che gareggiano, eppure si lamentano, quindi qualcosa avvertono che non va, ma niente esposti, segnalazioni o denunce, almeno finché non si assestano i giochi e si vende alla strumentalizzazione del comitato politicizzato. Per dire che tutti sono contro la politica, il populismo è arrivato a livelli dilaganti ma alla fine la maggior parte vorrebbero quella rendita politica. Spero di sbagliarmi ma siamo lontanissimi di un cambiamento serio.
Forse bisogna chiarire un punto: l’Italia non esiste davvero. L’unificazione non è stato il risultato di uno spirito condiviso di aggregazione ma l’ennesima conquista di uno Stato su un altro, solo che questa volta non era uno Stato europeo ma peninsulare, il Regno di Savoia. La nostra classe politica, che tante responsabilità ha, purtroppo rappresenta molto bene la maggior parte della popolazione italiana, e non solo quelli che l’hanno votata: primo, siamo fisiologicamente clientelari, fin dall’epoca dei Romani; secondo, siamo individualisti e tendiamo a risolvere i nostri problemi in modo fantasioso fregandocene di quelli degli altri, se non ci riguardano direttamente; terzo, siamo campanilisti e frammentati, divisi in regioni, province, comuni, perfino contrade, tanto che spesso chi viene da un’altra città è ancora visto come “straniero”! Per fare una rivoluzione bisogna avere un elemento in comune e questo noi non lo abbiamo. Basta vedere l’attuale opposizione, alla quale il Governo e Berlusconi in primis ha più volte offerto la propria testa su un piatto d’argento, incapace di produrre una vera proposta alternativa perché non riesce a compattarsi attorno a un programma comune. Siamo tutte prime donne. L’Italia è il Paese dei Presidenti: quasi ogni cittadino lo è, fosse solo l’associazione di bocciofili della domenica. Non abbiamo il senso dello Stato e quindi non vediamo in questa distruzione e degenerazione del nostro Stato un’offesa diretta a noi stessi, abituati come siamo a pensare solo in prima persona. Non ci sarà mai una Rivoluzione Italiana se non sorge un elemento davvero aggregatore…
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Maybe we need to clarify one point: Italy does not really exist. The unification was not the result of a shared spirit of aggregation, but yet another conquest of one state to another, only this time it was not a European state but a Peninsular one, the Kingdom of Savoy. Our political class, which has many responsibilities, unfortunately, represents very well most of the Italian population, and not just those who voted it: first, we are physiologically clientelist, since Roman times; second, we are individualistic and tend to solve our problems in imaginative way, without caring else’s ones if not directly concern us; thirdly, we are parochial and fragmented, divided into regions, provinces, municipalities, even districts, so that often those who come from another city are still seen as “aliens”! To make a revolution we should have something in common and we have not. Just look at the current opposition, to which the government and Berlusconi has repeatedly offered his head on a silver platter: unable to produce a real alternative proposal because it fails to compact around a common program. We’re all prima donnas. Italy is the country of the Presidents: almost every citizen is, even if it was just leader of the association of bowlers on Sunday. We have no sense of the state and therefore we do not see this destruction and degeneration of our state as a direct insult to ourselves, as we are accustomed to think only to ourselves. There will never be a revolution unless an Italian real aggregator arise…
Si è decisamente troppo lungo il post e questo probabilmente non aiuterà a chi ha bisogno di sintesi e direi che sono in tanti. L’analisi mi sembra carente per alcuni punti e troppo prolissa per altri. Le conclusioni però sono quelle che condivido per molti aspetti. Sono quelle su cui lavorano molti di quelli che conosco, che leggo, penso di lavorare anche io in quella direzione e lo faccio all’interno di una amministrazione pubblica che ha un dovere di farlo, ma che ha bisogno di persone che sentano il dovere di farlo. Il problema sta proprio nella legalità, che è una questione culturale che affossa questo paese. Concordo sul fare, sul ricostruire le basi di una società civile, guardando a chi fa volontariato, a quelli che costruiscono reti a chi condivide buone prassi e opportunità a chi costruisce progetti per estendere la conoscenza, a chi sta in mezzo alla gente e ascolta e dialoga con la gente. A chi scrive commenti più corti del mio……
@Andrea, l’amministrazione dove lavori ha adottato le misure minimali per contrastare e prevenire abusi alla legalità, con cui tanti si riempiono la bocca? Se si, menzionare quali e con quale livello di indipendenza viene assicurata la validità, a chi viene delegato il riscontro e come. Sarebbe già un successo che ne avesse per la trasparenza amministrativa, ma dato che si è menzionata la legalità, cercasi risposta convincente.
Ti segnalo anche il mio articolo fatto qualche settimana fa sul tema: perchè gli italiani non si ribellano?
http://therebelekonomist.blogspot.com/2011/09/gli-italiani-stanno-troppo-bene-per.html (Gli italiani stanno troppo bene per ribellarsi)
Credo che nel carattere degli italiani ci sia un’attitudine psicologica, acquisita e interiorizzata nei secoli, che ci allontana dal senso di responsabilità collettiva.
Per un certo periodo ho vissuto in Germania. Quando mi trasferii mi sembrò subito evidente che la cultura tedesca globalmente intesa promuovesse la responsabilità collettiva, dove l’accento non era tanto posto su “collettiva” quanto su “responsabilità”. Peraltro, non vi è responsabilità collettiva senza responsabilità individuale. Ora, in Germania il punto di svolta per l’assunzione di responsabilità individuale avvenne cinque secoli fa con la Riforma.
[Disclaimer: delle religioni mi interessano le influenze culturali esercitate sulle comunità in cui si diffondono. Trovo efficace contestualizzarle storicamente: confrontandole con l’evoluzione delle culture locali è possibile ricavare chiavi di lettura dei comportamenti collettivi.]
Ancora prima di ogni dottrina, la Riforma fu ribellione aperta al mercato delle indulgenze. Ciò detto, la regola luterana previde, e rivendicò, l’assunzione di responsabilità individuale nell’accesso al testo sacro; specularmente abolì l’obbligo esclusivo di affidare l’interpretazione del testo sacro al rappresentante del clero. Lutero tradusse la Bibbia in tedesco (a livello linguistico, la Bibbia di Lutero è il testo fondante del tedesco moderno, l’equivalente della nostra Divina Commedia) e promosse l’apprendimento di lettura e scrittura presso i fedeli, perché si potessero accostare autonomamente al testo sacro. Per inciso, poiché leggere è un dovere morale al quale la gente è sollecitata da quasi cinque secoli, questa è una delle ragioni per cui, statisticamente, nei paesi protestanti si legge più che altrove.
Ora l’Italia.
Per l’italiano medio il concetto di collettività si estende alla famiglia, eventualmente anche a un’appartenenza locale; in secondo ordine, e meno frequentemente, appartenenza religiosa o partitica – che peraltro sono ormai numericamente minoritarie. Fatichiamo, invece, a provare un senso di appartenenza nazionale: a dimostrazione di questo cito, per esempio, la diffusione ubique dell’evasione fiscale. Ne deduco che l’assunzione di responsabilità collettiva sia molto meno netta, essendo circoscritto il concetto stesso di collettività (non tratta esattamente lo stesso argomento ma segnalo Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia – Roberto Cartocci, Il Mulino).
In Italia alla Riforma corrispose la Controriforma e la riaffermazione del cattolicesimo. Oltre a essere una religione, il cattolicesimo (che al contrario del protestantesimo promuove modalità di controllo e non di responsabilità – vedi il caso dell’interpretazione del testo da parte del sacerdote) impronta ininterrottamente la nostra cultura da millenni ed è l’unica realmente condivisa su tutto il territorio nazionale, da nord a sud, senza eccezioni e a livelli di diffusione capillari.
A mio parere, dunque, uno straniero, specie se di cultura protestante o facilmente esposto ad essa, si stupisce della nostra scarsa reattività perché è molto più abituato di noi al concetto di responsabilità collettiva. Lo ribadisco; la teologia non mi interessa, mi riferisco piuttosto a un costume interiorizzato in modo “subliminale” attraverso una dottrina.
ps: ho visto la puntata di oggi di Le Storie, diario italiano, su RAI3, ospiti Aldo Schiavone ed Ernesto Galli della Loggia. Per quello che vale, mi riconosco nelle posizioni di Schiavone
http://www.corriere.it/unita-italia-150/recensioni/11_settembre_05/schiavone-galli-della-loggia-pensare-italia_bef881e2-d7a7-11e0-af53-ed2d7e3d9e5d.shtml
Vorrei segnalarvi questo nuovo divertentissimo video realizzato dal grande Bruno Bozzetto!
Il titolo “Meritocrazia” dice tutto…
http://www.youtube.com/user/BrunoBozzettoChannel?feature=mhee
Piantiamola di sopravvalutare l’Italia.Tutto ciò che c’è qui è facilmente riproducibile in altre parti del mondo, a partire dai paesi confinanti con l’Italia.
Vista dall’estero, l’Italia è un ottimo produttore di merci di qualità – Vale a dire merci estere (non per forza cinesi, anzi) che si beccano il marchio di Made in Italy perchè incartate in Italia
è una meta turistica di prima importanza – infatti di turismo non se ne vede. Gli stranieri che circolano per le strade italiane non sono turisti ma clandestini. I turisti preferiscono mete più appetibili
è un luogo della cultura antica e tradizionale – Uahahahahhhhah, quella c’è d’appertutto, anche la Francia ha una cultura antica e tradizionale, così come la Germania, la Svizzera. Tutti i paesi europei ce l’hanno (e non solo europei).
è un paese di mafia e spazzatura, certamente conta poco politicamente – L’unica cosa vera, ed ecco perchè qualunque cosa succede qua, non ha ripercussioni sul mondo.
Ovviamente, l’assunzione di partenza, quella secondo la quale l’Italia non è una vera democrazia, appare piuttosto estrema. Molti italiani pensano di essere in una democrazia e sono convinti che la situazione si possa riformare per via elettorale – Ci crediate o no, la Scandinavia è in una situazione simile. Solo chi è di sinistra ha il diritto di parlare. Chi è di destra viene subito criminalizzato solo perchè di destra (l’aggettivo di ‘estrema destra’ è spesso sfruttato a sproposito ed in modo superficiale). ed ora la sinistra per far bella figura sfrutta il caso di Breivik, il pazzo norvegese (che a sua volta sfrutta la sinistra per mettersi in mostra) mostrando patetica magnanimità nei suoi confronti, in un circo mediatico così famigliarmente italico (se non fosse in Norvegia).
Secondo me gli italiani non si ribellano perchè sanno bene che che la speranza è dannosa e che rende ciechi al fatto che l’Italia in se è un paese povero, arido, senza materie prime ed incapace di produrre anche per chi lo abita. Si finirebbe quindi al quarto mondo di volata, senza alcuna possibilità di ricrescita, e non saremo considerati degni neppure dello sfruttamento.
Le rivoluzioni del nord Africa sono una barzelletta, prima avevano la dittatura, ora hanno la sharia che è storicamente la peggior dittatura mai esistita assieme al ‘codice di Hammurabi’ dell’antico Egitto.
Chissà se oggi, dopo aver cacciato l’eletto dal popolo Berlusconi e averlo sostituito con l’uomo dell’usura bancaria e finanziaria europea che sta massacrando di tasse le famiglie, massacrando i diritti dei lavoratori e facendo fallire il sistema dell’economia reale italiana, la sinistra si ritiene soddisfatta.
quello che ho da dire io al’italia, e che tutti si lamentano, si lasciano andare, fino a quando non si trovano in mezzo alla strada, senza cibo ne riparo: visto che siamo noi a pagare, i loro stipendi, dovremmo essere noi a licenziare tutte quelle persone che non contano nulla nella politica. essere avvisati dei cambiamenti, di quello che vogliono fare, e andare al voto, poi la maggioranza vince, come ad es: l’euro, prodi la messa ma senza avvisare nessun italiano, senza andare al voto, in italia abbiamo di tutto non c’era bisogno di mettersi in unione europea con altri stati, perche sappiamo camminare noi italiani. i senatori a vita, che li paghiamo a fare, non stanno più al governo, abbiamo cosi tanto bisogno di tutti questi parlamentari ? io credo proprio di no, basta solo uno con la sua squadra, decide quello che si fa lo comunica, poi la votazione e si vince sulla maggioranza. io sono un operaio padre e marito, che per fortuna sto ancora lavorando, e che ho un stipendio. ma la vedo dura per i prossimi anni, la crisi si farà sentire ancora di più , quello che voglio dare al mio paese e alla nazione: via gli extra comunitari, dal primo al’ultimo. in pensione dopo trentanni di lavoro e credo che bastino, i propri contributi versati per la pensione, sia giusto versagliela direttamente sul loro conto, e ci pensa la persona a gestirsi i propri soldi. meno ore lavorative da 8 a 6 cosi diamo lavoro anche ad altre persone sui 3 turni, meno tasse alle aziende dal 55% al 10% cosi possono dare più soldi ai dipendenti, che avranno la possibilità di costruirsi un futuro migliore per la propria famiglia, per la sanità, più fondi per le ricerche, le scuole istruzione gratuita, portare i militari in italia per un maggiore controllo, aumentare le pattuglie sulle strade, processi brevi nel senso che chi è indagato dovrà essere sottoposto ai test della verità e non potrà rifiutarsi perche dovrà essere d’obbligo, sulle telefonate intercettazioni usare tutto quello che serve per incolparlo ho discolparlo, queste sono le cose da fare per migliorare il nostro paese, la nostra nazione ma chi ci governa adesso fa tutto questo per tenerci sui roghi, cosa possiamo fare una rivoluzione? ma non di pace, quella arriverebbe dopo , non pagare più le tasse be sarebbe una bella idea , io vorrei essere al posto di quella persona che comanda per rendere migliore la vita di ogni uno di noi. se invece le cose continuano ad andare avanti così spero tanto che si possa almeno aprire una comunità dove possiamo vivere in pace dove ognuno di noi possa lavorare dove non ci saranno più bisogno dei soldi. mi piacerebbe che qualcuno mi rispondesse per avere un confronto se sbaglio ho dico il giusto
Sono passati ben 3 anni da questo post (tra l’altro ci sono arrivato per caso) e la situazione non è cambiata… anzi forse è peggiorata. Gli italiani stanno sempre peggio (le aziende chiudono, la disoccupazione è esplosa e le grandi imprese fuggono (vedi Fiat). E gli italiani di cosa litigano? Di Juve Roma… forse è il caso di dire che ci meritiamo di vivere in questa situazione, tanto non fremo mai niente per cambiare nulla!
tutti sfottono tutti questo è il nostro costume una follia infinita
Altro che democrazia…
Il popolo non conta nulla neanche votando.
E allora diciamoci chiaramente:
Che siamo in dittatura
E l ignoranza regna sovrana.
Se il popolo non può scegliere di che democrazia si parla.
Andate a quel paese…..
Siamo alla frutta. Buon 2019
Ho letto questo blog per caso (2011) scritto prima dell’avvento di Monti (ora siamo nel 2020). Gli italiani (un presidente della Repubblica, ex Comunista con precisione, non certo democratico, dato il suo passato), tolto Berlusconi e compagni di mezzo con un classico colpo di Stato indolore come “mani pulite”, hanno sperimentato un governo di tecnici che hanno combinato ciò che hanno combinato: nulla. A questo sono succeduti i governi “democratici” del Pd, ex Pci mai pentiti ma destrizzati e liberalizzati al punto che la gente non ne ha potuto più e li ha puniti non votandoli alle politiche del 2018 (50% di voti in meno). Hanno usato il voto per cacciarli gli italiani: ma siccome i grillini sono risultati il partito più votato (anche loro una costola dell’ex Pci) con il gioco delle tre carte si sono alleati al Pd (che aveva perso le elezioni) e ora governano. Gli italiani non si dovevano ribellare e andare in Parlamento a buttarli fuori reclamando le elezioni? Non l’hanno fatto. Perchè? Per ragioni di democrazia, anche se questo governo è stato un altro colpo di Stato. La bugia del parlamento che è sovrano è solo una bugia perchè i grillini non avevano affatto vinto le elezioni con una legge bislacca fatta proprio dal Pd . E si sarebbe dovuti andare al voto. E ora al governo abbiamo quelli che abbiamo. E che Dio ce la mandi buona. Gli italiani non si ribelleranno fino a quando non toglieranno il pane dalla bocca ai loro figli. E allora saranno dolori perchè saranno le organizzazioni criminali a guidare la rivolta, come paventato dai servizi segreti di recente e per la grave emergenza economica.
[…] Nel 2011, in settembre, su questo blog ho scritto un pezzo in inglese intitolato: “The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen”. Aveva avuto un certo impatto e ho raccolto le risposte in questo altro post: “Perché gli italiani non si ribellano. Che altro possono fare…”. […]
04-01-2022 ANTONIO
in parte condivido quanto espresso nelle precedenti.
contesto insurrezioni violente, siamo in democrazia, cerchiamo, impariamo ad usarla, esprimiamoci con essa.
la democrazia è un bene prezioso, difendiamolo anche se oggi è in dubbio
si abbiamo un governo abusivo, anche peggio. ma abbiamo fatto poco o nulla per contrastarlo
sarebbe molto se in futuro si succedesse un governo votato dal popolo. lo spero vivamente.
ritengo che quanto accade in Italia sia tutto merito popolare. votiamo per una miriade di partiti che non anno alcun senso politico. forse vorremmo una buona e sana politica, un governo capace. la maggioranza, non conosce minimamente chi vota. dovremmo maturare politicamente e non votare per una miriade di partiti ma considerare che con un numero più coerente e ponderato di correnti espressive si valuterebbe chi ci può meglio rappresentare.
ma oggi, ci meritiamo di meglio!?
non è il caso che impariamo ad usare veramente la democrazia, partecipando attivamente. coalizzare, maturare, esprimere opinioni tra di noi popolo per capire il da farsi e domani essere maturi per votare un governo migliore, anche per il domani dei nostri figli. (facciamo un popolo)
abbiamo visto, sentiamo sappiamo che governi si insediano. se noi popolo non siamo capaci di dare i giusti indirizzi. poi non ci lamentiamo
oggi la nostra democrazia ci ha resi schiavi, forse. forse. forse domani, un domani ritorneremo alla democrazia di libertà dove ogni uno può esprimere se stesso ed esserne padrone.
a tutti, auguro che questo sia il miglior anno della vostra vita