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Il lavoro nel futuro. Upskilling e dintorni

Oggi ho partecipato a un convegno di Upskill4Future con Fondazione Sodalitas e Impronta Etica. Ho detto e soprattutto imparato un po’ di cose. Qui metto soprattutto appunti, che poi si possono approfondire e qualificare.


Secondo un’indagine di PwC, i lavoratori di un insieme di paesi piuttosto  sono divisi nella lettura del loro futuro: circa il 40% pensa che le loro capacità lavorative saranno obsolete tra cinque anni, il 50% è molto ottimista per il futuro. https://www.pwc.com/gx/en/issues/upskilling/hopes-and-fears.html È uno dei modi di introdurre la polarizzazione. La distanza crescente tra chi ce la fa e chi resta indietro. Una distanza che alimenta l’incertezza, la paura, la rabbia. Soprattutto quando la comunicazione politica alimenta le emozioni e radicalizza le opinioni. 

La polarizzazione però non è un’idea. È un fatto. I datori di lavoro, dice sempre PwC, investono sulle competenze dei laureati nel 46% dei casi, mentre fanno altrettanto solo nel 28% per i non laureati: le distanze nelle competenze aumentano.

Nel frattempo, secondo Ipsos, il 45% delle piccole e medie imprese italiane dice di raggiungere appena la sopravvivenza. Ma poiché le esportazioni italiane aumentano, il Pil cresce oltre le aspettative, ci sono imprese che stanno bene e che riescono a crecere: le imprese che hanno migliori condizioni economiche, fanno più profitti e generano maggiore produttività, hanno forti strategie per la digitalizzazione e la sostenibilità, spesso esportano, di certo innovano. E anche qui la polarizzazione avanza.

Del resto, l’Ocse lo dice da un po’: il ceto medio perde terreno, mentre aumentano i posti di lavoro per i professionisti più competenti e per le forme di occupazione meno remunerate.

Ansia e incertezza prevalgono, probabilmente, quando si leggono i fenomeni per anticipare i problemi. Una sorta di fatalismo attivo sembra pervadere una parte dei lavoratori, ormai parcellizzati in destini molto diversi tra loro: i dipendenti di aziende o enti di dimensioni importanti, i giovani preparati che vivono nella precarietà, i professional che costruiscono una carriera su capacità e relazioni, gli esclusi che lottano e spesso perdono. E così via. Senza scoprire nulla di nuovo il punto è come la società si adatta al cambiamento.

I fenomeni di adattamento più rilevanti ovviamente sono:

  • Innovazioni nella tecnologia, nei modelli di business, nell’interpretazione della direzione da prendere
  • Mismatch tra domanda e offerta di lavoro, per motivi cognitivi, organizzativi, informativi
  • Aggiustamenti mancanti o troppo lenti nel reddito: si possono polarizzare i guadagni indefinitamente?

I cambiamenti si leggono a partire da tre finestre sull’economia

  • Economia della conoscenza – il valore è nella ricerca, nel design, nell’informazione, nell’immagine
  • Economia della cura – il valore è nella fiducia, nella qualità delle relazioni, nella dedizione, nella motivazione
  • Economia delle piattaforme – il valore è nelle infrastrutture (città, tecnologie di rete, filiere globali, infrastrutture sociali)

Una osservazione è possibile. L’upskilling avviene per i lavoratori più motivati. Impara chi lo vuole fare: non si può obbligare nessuno a imparare. Ma è vero anche l’opposto: quando imparano i lavoratori sono più motivati. E poiché le indagini Gallup da anni dicono che i lavoratori non sono molto motivati le strategie per aumentarne l’impegno corrispondono alle strategie per migliorarne la felicità. I lavori migliori sono quelli che nei quali le persone vivono un percorso nel quale si occupano di cose sempre più difficili con competenze sempre più profonde: tutto il resto è noia o ansia.


Vedi:

What ‘upskilling’ means for the future of work


Vecchi post sul lavoro (ce ne sono molti di più e forse seguendo i link in questi post se ne trova la maggior parte):

Il lavoro del futuro: intelligente o distante

Il lavoro del futuro. La ricerca continua…


Foto:”Jobs Help Wanted” by Innov8social is licensed under CC BY 2.0.

1 Commento

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  • Un piccolo commento su “il 45% delle piccole e medie imprese italiane dice di raggiungere appena la sopravvivenza”. Cosa *dicano* le imprese italiane e’ rilevante solo fino a un certo punto. Converrebbe limitarsi a controllare cosa dicono i numeri. Per sapere che la meta’ degli imprenditori e commercianti italiani si lamenta basta andare al bar, non e’ necessario l’ipsos.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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